
Oggi, l’incontro tra Trump e Netanyahu. Argomento principale: la seconda fase dell’accordo tra Israele e Hamas di cessate il fuoco e del rilascio degli ostaggi.
Tante le ipotesi su questo incontro, previsto nel pomeriggio di oggi, tra il leader israeliano Benjamin Netanyahu e il neoeletto presidente statunitense Donald Trump. Ma, soprattutto, tanti gli interrogativi e le speranze che si giunga a un cessate il fuoco definitivo a Gaza e al rilascio degli ostaggi israeliani, ancora nelle mani di Hamas.

Di certo le dichiarazioni di ieri di Netanyahu, alla sua partenza da Israele, esplicitano le sue reali intenzioni: ridisegnare la mappa del Medio Oriente. Ma la situazione è molto più complessa di quanto possa apparire, malgrado l’appoggio dato da Trump allo Stato ebraico in passato.
Netanyahu
Sempre più isolato, il leader israeliano, oltre ai problemi giudiziari, deve far fronte alle pressioni della sua coalizione di destra, che rifiuta la tregua con Hamas a Gaza, e alle pressioni di buona parte degli israeliani, stanchi di questa guerra, che reclamano il ritorno a casa degli ostaggi.
Provvidenziale, dunque, per lui l’incontro di oggi con Trump, estremamente ben voluto in Israele, sia per rafforzare la propria popolarità, sia per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal processo in corso, che lo vede imputato per corruzione.
L’arrivo di Netanyahu a Washington ( prima visita di un leader straniero nel secondo mandato di Trump), avviene in un momento estremamente delicato per lui e può giovargli questa manifestazione di stima da parte del presidente statunitense.

Colpito, a novembre, da un mandato di arresto dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, nel corso della guerra a Gaza, Benjamin Netanyahu cerca dunque il riscatto identitario, facendo leva sull’appoggio di Trump.
Trump
Trump, dal canto suo, dopo aver esaltato il suo operato di pacificatore nei difficili rapporti con Hamas, al fine del raggiungimento della tregua a Gaza e della restituzione degli ostaggi, ha espresso ai giornalisti le sue perplessità in merito a questa tregua che appare sempre più vacillante.
Inoltre l’istrionico presidente Usa deve fare i conti con il blocco coeso del mondo arabo, decisamente contrario a un trasferimento forzato della popolazione di Gaza.
Trump, che in passato ha dato prova di grande solidarietà allo Stato ebraico, trasferendo l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme e firmando gli accordi di Abramo, ora deve affrontare una situazione giunta decisamente a una svolta e che necessita di una normalizzazione.
Preoccupano le ambizioni nucleari dell’Iran, ma, ancor di più, la posizione dell’Arabia Saudita, crescente potenza del mondo arabo.
I sauditi, infatti, sono accesi sostenitori della creazione di un Stato palestinese a Gaza e in Cisgiordania.
Uno Stato, dunque, con delimitazioni territoriali ben diverse da quelle delineate dagli stati europei e che certamente non andrebbe incontro alle pretese territoriali di Israele e dei suoi coloni.
L’attesa.
Tutto, comunque, è da vedere e cresce l’attesa per questo incontro che potrebbe rappresentare una svolta nell’incandescente situazione del Medio Oriente