
«La bellezza salverà il mondo», citando Dostoevskij, e quella parola dal suono affascinante e antico su cui stavamo per un attimo incartandoci a cena: Kalokagathìa. Ovvero quella perfezione fatta di bellezza dentro e fuori che, evidentemente non solo appannaggio degli umani, è forse la migliore spiegazione del perché il nostro è indubbiamente il Paese più bello del mondo considerando quanto di irripetibile possediamo come luoghi e paesaggi nonché millenaria eredità culturale e artistica. Cioè quanto, avendo avuto solo la fortuna di essere nati e poi cresciuti in questa culla di civiltà e nei suoi valori, è stato il nutrimento della nostra mente, tanto dal divenire così parte integrante di noi da potersi considerare praticamente una componente genetica del nostro DNA di italiani.
Quell’ingrediente personale e collettivo, la cosiddetta Weltanschauung, che poi, un tutt’uno con le tante e diverse località di appartenenza, fa di ogni angolo nelle nostre campagne, sperduto borgo o città una tessera di quell’ inarrivabile mosaico a mille colori che ci ha guadagnato l’appellativo universalmente riconosciuto di Belpaese. Anche se forse sarebbe più corretto parlare di Nazione più bella del Mondo parlando appunto anche di quella componente immateriale fatta di culto, tradizioni e comune sentire senza i quali l’Italia non sarebbe ciò che è, e noi non saremmo ciò che, per fortuna, ancora siamo.
Sia pure entrambi, Italia e italiani, sotto attacco diretto di un pensiero unico e globale che, attraverso una mirata propaganda di massa (la profezia del “Grande Fratello” di Orwell ora sempre più vicina a compiersi grazie all’ IA) sta cercando di drogare e spegnere la nostra coscienza critica, modificando la nostra visione della vita e delle cose e demolendo tutti i riferimenti e le certezze che avevamo prima. Quanto è già bastato in democrazia e per la legge dei numeri, a trasformarsi in quel consenso che ha fornito un facile alibi a scempi di ogni genere ai danni della nostra “bellezza fuori”. Come quelli, per esempio, oggetto della denuncia continua di Vittorio Sgarbi contro le pale eoliche che minano persino il nostro patrimonio artistico e i nostri orizzonti sul mare, oppure contro i pannelli fotovoltaici che stanno minacciando quei paesaggi e colture che sono un primato assoluto dell’Italia a livello mondiale e voce importantissima del nostro PIL nazionale. E il tutto per inseguire un non certo solo ideologico e utopico Green Deal che, in realtà, si sta sempre più rivelando un Green Kill sotto ogni profilo e sta distruggendo l’economia reale dell’Italia e dell’Europa.
Tornando all’incipit e alla kalokagathìa, una lunga premessa, la nostra, per spiegare il perché non potevamo certo disertare l’appuntamento di giovedì scorso con chi, della difesa ad oltranza della nostra “bellezza dentro” attaccata dal «globalcapitalismo», ha fatto una sua missione scrivendo libri che sono un’analisi lucida delle conseguenze di una «mondializzazione, incarnata nel pensiero unico, pensiero politicamente corretto ma eticamente corrotto». Il che fa del suo pensiero, assolutamente indipendente e originale, un chiaro appello a riscoprire e riaffermare i nostri valori fondanti e identitari, ma ora a concreto rischio scomparsa per la poderosa campagna globale messa in atto dalla plutocrazia planetaria che sta cercando di «trasformare le persone in consumatori» per dirla alla Joel Bakan.
Stiamo parlando del filosofo, saggista e opinionista italiano del «pensare altrimenti per essere altrimenti» Diego Fusaro che «allievo di Hegel e Marx e al di là di destra e sinistra» e, spaziando da Aristotele ai più moderni pensatori anche attraverso blog, radio e tv, è autore di libri di assoluto interesse e dai titoli inequivocabili circa i temi affrontati, tanto da divenire persino voci entrate nel linguaggio corrente, come ad esempio «GlEbalizzazione» o «Demofobia» per citarne due e tra i nostri preferiti. Insomma un intellettuale scomodo che, benché anche definito «il filosofo più bello della tv» diciamo che, al pari del prof. Franco Cardini o Marcello Veneziani giusto per menzionarne un paio, non è certo ospite quasi fisso delle principali trasmissioni nazionali come altri. E questo – possiamo facilmente dedurre – a causa delle sue posizioni nette e sicuramente non in linea con il mainstream imperante e verosimilmente manipolatorio.
Eppure basta leggerlo questo «controcorrente» Fusaro, per rendersi conto che le sue lucide analisi del presente e dei tempi che viviamo sono, perfetto mix tra psicologia e indagine sociologica «il ritratto forse più vero dell’italiano medio». E cioè di quell’italiano sempre più lontano dalla vita politica perché sfiduciato o confuso e divenuto afono, addirittura nel privato, per la preoccupazione di denunce o anche solo di uno stigma sociale ad opera di quel “politically correct” che, grazie proprio al mainstrem corrente e omologato, è ormai divenuto, con buona pace del nostro straordinario linguaggio e del buon senso comune, il nuovo metro di giudizio universale divenuto valido anche per noi.
E dunque impossibile, sala piena e gente persino in piedi, non esserci all’appuntamento organizzato da quella bellissima realtà che è il Centro d’Aiuto e Associazione “Comitato Progetto Uomo” O.N.L.U.S. di Bisceglie, non solo per ascoltarlo ma magari intervistarlo. E forse ancor meglio, sapendo che Fusaro insegna Storia della filosofia presso la IASSP (Istituto di Alti Studi Strategici e Politici di Milano) cogliere l’occasione per sapere cosa ne pensasse del tentativo di molte associazioni sul territorio, di riproporre “Bari, Ponte di Pace tra Oriente e Occidente nel nome universale di S. Nicola” (come nel 1990) rispolverando la figura del Cardinale pugliese Francesco Colasuonno (v. Corriere PL.it “Grumo ricorda il suo Gigante dimenticato”) che al servizio del Vaticano sotto quattro Papi fu l’artefice sul campo, appunto, di quella Pace in Europa durata ben 77 anni. E cioè fino a quella credibilmente provocata invasione della Russia ai danni dell’Ucraina di quel maledetto 24 febbraio di tre anni fa.
Da buoni inviati e giusto per chiudere con una cronaca di questo 30 gennaio (v. Corriere Pl.it “Diego Fusaro a Bisceglie e si parla di famiglia”) due ore di incontro con un pubblico caloroso e pieno di domande seguito da una riuscita cena conviviale con gli organizzatori protrattasi fino a tardi… appuntamento dunque con lui solo nella tarda mattinata del giorno dopo. Una doverosa e imperdibile visita del centro storico di Bisceglie e davvero poco il tempo per quanto speravamo, siamo comunque riusciti – perché sulla via dell’aeroporto – a fare anche una puntatina a Giovinazzo per una visita a volo di rondine di questo bellissimo «borgo autentico sul mare e davvero con numeri da sito Unesco» come peraltro uno dei massimi intellettuali italiani, Pierfranco Bruni, l’ha definita.
Ma quanto è bastato, parlando di tradizioni e storia di Giovinazzo anche come elettiva «Città de “Il nome della rosa”» a strappare a Diego Fusaro, che sì di “bellezza dentro” anche come salvezza dell’Italia se ne intende, la promessa di tornarci, come ha fatto più volte Sgarbi, magari anche per un evento qui come quello di Bisceglie. E per ora è tutto.
Enrico Tedeschi