
di Francesco Antonio Schiraldi
In una lettera del 2 agosto 1861 al senatore Carlo Matteucci, il marchese Massimo D’Azeglio scriveva così: «A Napoli noi abbiamo altresì cacciato il sovrano…Ma ci vogliono, e sembra che ciò non basti per contenere il Regno, sessanta battaglioni…so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni, e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore e bisogna cangiare atti e principi. Bisogna sapere dai napoletani un’altra volta per tutto, se ci vogliono, sì o no» (Massimo D’Azeglio, Scritti e discorsi politici, vol. III, pp.399-400)
Queste parole di D’Azeglio erano state suscitate da ciò che il Governo garbatamente chiamava «brigantaggio», ma che in realtà aveva i caratteri di una vera guerra civile. Nel 1861 la ribellione al Sud aveva già acquisito una forte coloritura filo borbonica, era però anche una reazione cattolica contro un comportamento provocatorio e vile verso il clero, pur prodigatosi talora a favore del nuovo regime. Molti «briganti» erano semplici contadini che reagivano alle feroci esecuzioni del generale piemontese Cialdini, oppure si opponevano con disperazione al rincaro dei prezzi e alla recinzione delle terre comuni.
Un risultato indiretto del Risorgimento fu che la classe dei proprietari terrieri si impadronì del governo effettivo del territorio, venuto meno il paternalistico controllo del governo di Napoli. Il moto unitario non era stato prerogativa delle masse bensì delle classi colte, queste formavano adesso l’elettorato, dominavano l’amministrazione locale, gestivano le assunzioni, l’appalto delle imposte e quello delle opere pubbliche e potevano ignorare la legislazione sociale borbonica. Ciò significava recintare la terra comune dei villaggi a esclusivo vantaggio dei ricchi possidenti, le famiglie contadine venivano private dei pascoli che con i Borbone e gli ‘usi civici’ avevano rappresentato una base per la loro sussistenza. Tale sopraffazione della borghesia nelle campagne, assentita dai nuovi governanti ai fini di consenso politico, non poteva che esacerbare gli animi e provocare la sollevazione contadina. «Una rivoluzione di borghesi!: ecco la principale accusa del popolo ai moti del 1860», scrisse con enfasi lo scrittore e saggista italiano naturalizzato svizzero Marc Monnier.
In breve nell’Italia meridionale furono inviati 90.000 militari, un numero superiore a quello dei soldati impiegati nel 1859 contro l’Austria, ma insufficienti ad adempiere l’incarico loro assegnato. Si spesero somme enormi in una feroce repressione che contribuì a dividere più che a unire nord e sud: «Nel nord d’Italia si processano i criminali prima di mandarli a morte; con che diritto al di là del Tronto, li si impicca prima di processarli?». Queste le parole con cui Massimo D’Azeglio, uomo politico e letterato, censurava gli errori e orrori post unitari
foto Scuol.net