Principale Arte, Cultura & Società Il pettirosso di carta

Il pettirosso di carta

Il pettirosso di carta è il romanzo di debutto di Antonio Scribano, scrittore nato a Comiso nel 1988.

Il protagonista si chiama Apheron, un nome di certo insolito per tessere la trama di una vita in un contesto come quello siculo. Apheron è un sognatore che ama disegnare. Rende i suoi disegni così vivi da riuscire a immaginare di entrare attraverso essi, in un mondo fatto su misura per lui. Niente draghi, gnomi o elfi. Un fantasy un po’ sui generis e per nulla scontato. Ho avuto la grande fortuna di incontrare Antonio, a cui ho voluto dedicare del tempo per conoscerlo meglio e per conoscere meglio il protagonista del suo libro. Quindi da questo punto lascerò parlare lui.

“Una mattina ti svegli, e decidi di scrivere un libro? Qual è il processo che ti ha portato dall’idea alla realizzazione?”

“Bella domanda! Più che altro tutto nasce dalla voglia di raccontare la mia vita da adolescente. Lo sai, l’adolescenza non è mai un periodo facile. In più sono nato da due genitori sordi. Quindi diciamo che ho sempre avuto questo desiderio, o se vogliamo, bisogno di raccontarmi. Le prime idee però erano più orientate verso la realizzazione di un fumetto, anche perché sono più portato per il disegno. Poi alcuni amici mi hanno spinto e invogliato a scrivere un racconto. E ho pensato “perché no?”. Questo ha innescato il processo di realizzazione durato circa dieci anni.”

Una delle prime cose che mi è saltata all’occhio sicuramente è il nome del protagonista, Apheron, che si scosta da tutto lo scenario paesano che si va a creare. Come mai hai scelto un nome così particolare? Anche e soprattutto considerando che viene inserito in un paesino siculo.

“Il suo nome è particolare. In realtà leggendo nella storia, si arriva a capire che è un difetto di pronuncia dei suoi genitori di un’etnia differente da quella dei loro compaesani. Anche perché tutti i personaggi hanno nomi italianizzati, vedi “occhialunga”, e in lui volevo evidenziare la diversità. Tra le altre cose, Apheron deriva dal termine greco “Apeiron”, che secondo il filosofo Anassimandro è il principio da cui tutto deriva.”

Quanto ti rispecchi nel protagonista? Quanto c’è di autobiografico?

“Tanto, forse tutto. La storia del quartiere in cui abitavo da adolescente, le varie vicissitudini con i quartieri vicini. Stenterai a crederlo, ma mi sono reso conto di quanto mi rispecchiasse solo dopo averlo pubblicato. Tuttavia non amo sostenere che il protagonista sono io, anche se mi rivedo tanto in lui, con il suo essere impacciato, il suo essere insicuro.”

Ho notato tante influenze nella lettura. Non amo paragonare gli scrittori, ma è come se avessi visto un episodio di Montalbano che raccontava la vita ad Hogwarts, il tutto scritto da Calvino. Se dovessi scegliere tre cose che ti hanno ispirato, o anche solo condizionato nella scrittura, quali sarebbero?

“In dieci anni di stesura ho cercato di scrivere qualcosa di mai visto prima, qualcosa di unico e originale. Poi è chiaro che leggendo, guardando film o anche semplicemente guardando il mondo è impossibile non esserne influenzati anche in maniera non consapevole. Qualcuno addirittura ha visto qualcosa di pedagogico, poiché il racconto permette di osservare la crescita personale del protagonista, che cercando uno scopo finisce per trovare sé stesso, questo potrebbe rifarsi alle teorie letterarie del romanzo di formazione se la vogliamo intendere così. Nel raccontare, mi sono basato su due parole: tradizione e mistero. Come sai, la Sicilia è ricchissima di tradizioni e leggende, che ho studiato e che ho voluto riportare in termini di contesto. Se a questo aggiungi un pizzico di magia, il gioco è fatto.”

L’aspetto della tradizione mi ha affascinato tanto, anche perché sono un appassionato di leggende soprattutto in ambito siculo. Da dove viene l’idea di unirne tante tra loro, solo per farne uno sfondo invece di renderle protagoniste?

Fin da piccolo sono rimasto sempre affascinato da tutto ciò che mi circondava. Alcune volte non ci rendiamo conto di quanto abbiamo quì in Sicilia, forse perché siamo troppo abituati ad aver tutto sotto gli occhi, un esempio tra tutti l’arte barocca. E oltre un piano prettamente estetico, spesso disconosciamo la storia e le leggende del nostro territorio. Quindi ho voluto, seppur in maniera minore, rendere partecipe la curiosità di chi legge.

Per questo aspetto ho avuto un po’ di difficoltà nel trovare qualcuno che pubblicasse il mio libro. Perché tutti mi consigliavano di aggiungere elementi fantasy come draghi , elfi e fate. Ma è roba sentita e risentita. Volevo qualcosa di autentico, quindi ho optato per l’auto pubblicazione.”

Ho salutato Antonio dopo un piacevolissimo pomeriggio trascorso a parlare, mentre camminavo verso casa scrutavo i silenzi della città praticamente deserta, e per quanto avrei voluto scollegare un po’ il cervello, quest’ultimo ha deciso che non mi avrebbe dato pace. Se in un primo momento ho cercato insistentemente di bloccare il flusso di pensieri che cercava di attraversarmi, in un secondo momento, forse meno lucido, ho deciso di lasciarmi andare. E questo è quanto sono riuscito a ordinare.

Il viaggio, il dissidio interiore, le sfide, la scoperta di sé stesso e un pizzico di “magia”. Tutti questi elementi fanno pensare alla trama di un romanzo cortese medievale. Ora però, allo scenario bucolico medievale, provate a immaginare di immergere questa sequenza in un contesto verghiano, e avremo ottenuto “Il pettirosso di carta”. Un romanzo di formazione in cui il protagonista, Apheron, tra gli smarrimenti da cui cerca di scappare, incontra sé stesso.

Come specifica lo stesso autore, la magia di cui si parla non è qualcosa di stabilito o tangibile, l’unica cosa certa è che risiede in ognuno di noi.

Ma allora cosa distingue Apheron dagli altri? Cosa lo rende diverso?

Lui indaga, scava a fondo. Riesce a percepire una scintilla laddove tutto sembra essere ignifugo. Esce dal guscio confortante in cui spesso tendiamo a rinchiuderci, il più delle volte per paura.

Cerca quella scintilla che possa riuscire a dar fuoco alla sua anima, e per quanto si illuda di trovarla nei diversi e stravaganti personaggi che incontra lungo il suo cammino, scoprirà che tutto in realtà risiede nella sua interiorità.

Erroneamente siamo portati a pensare che un libro sia solo un libro, che le parole si aggroviglino in geometrie fini a loro stesse, e che i personaggi -specie se un po’ sui generis- siano solo specchio della finzione da cui si potrebbe trarre qualcosa di secondario. Ma se provassimo ad immedesimarci, arriveremmo presto a scoprire che nella finzione della fantasia risiede più realtà di quanto ci sia dato vedere.

In parole semplici, ogni giorno possiamo scegliere se essere come Apheron, scrupolosi indagatori di noi stessi, oppure indossare un paio di paraocchi e fingere che tutto sia al suo posto. La prima scelta è lodevole e la seconda sicuramente non è biasimabile. Ma la differenza sostanziale sta proprio in questo, smettere di essere passivi della vita e iniziare a scegliere chi essere, giorno dopo giorno. Dopotutto Apheron cercava di evadere da una realtà scomoda, ma il viaggio che intraprenderà si rivelerà un “nostos” (in sintesi, viaggio di ricerca e di ritorno) che come un mulinello lo riporterà di fronte alla causa, ma soprattutto soluzione, dei suoi smarrimenti: sé stesso.

Riccardo Nobile

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