Il Giappone e la poesia hanno un lungo sposalizio la cui storia arricchisce il mondo poetico di originalità e freschezza d’immaginazione. La contemporaneità congiunge spesso l’arte poetica del Sol Levante con la bellezza del componimento brevissimo chiamato Haiku ossia quella poesia che canta il mondo della natura attraverso componimenti di soli tre versi di diciassette more(non sillabe), forma poetica sviluppatasi in Giappone a partire dal XVII secolo. Il successo di questa briosa forma di comunicazione poetica giapponese si è estesa a tutto il mondo ma le sue origini sono più complesse e si incuneano nella notte dei secoli, sino a portarci all’VIII secolo d.C. e ad un’opera poetica giapponese arcaica nota come Man-yo-shu: “Raccolta di una miriade di foglie” o “Raccolta di tutte le epoche”. Trattasi di una famosa antologia di poesie, la più antica del genere poetico classico giapponese.
Il legame millenario tra il Man-yo-shu e la moderna poesia giapponese sta nel genere stesso da cui la tradizione trae la genesi dell’Haiku ovvero quel genere di poesia classica giapponese nota come waka(“Poesia giapponese”) poi divenuto tanka (“poesia breve”), così ribattezzato dal poeta e critico letterario nipponico Masaoka Shiki (1867-1902).
Il Man-Yo-Shu è un’antologia di poesie che attraverso i secoli si è mantenuta come viva testimonianza dell’antica arte poetica nipponica: l’opera, in venti libri e contenente più di 4496 poesie, di cui 4173 “tanka”(31 sillabe in cinque versi secondo lo schema : 5-7-5-7-7), è attribuita a Otomo-no-Yakamochi, uno degli astri poetici del suo tempo. Il periodo di composizione dell’opera, pur non essendo incerto, è avvolto in quelle sfumature fumose e idilliache che danno al suo autore quei tratti leggendari propri dei poeti innovatori e anticipatori.
L’opera sarebbe comunque stata compilata dall’autore,per proprio uso, attorno al 760 d.C. Trattandosi di una raccolta privata e non ufficiale, cioè eseguita per ordine imperiale, contiene elementi più intimistici,a tratti lirici quindi rappresentativi degli stati soggettivi dell’autore.E’ interessante notare come il Man-yo-shu rimane un’opera composita:un buon quarto delle sue poesie sono di autore anonimo, le rimanenti sono dovute all’ispirazione di 561 poeti, tra cui più di 70 donne. L’apporto femminile a questa grande opera poetica arcaica non va sottovalutata perché congiunge idealmente l’ispirazione lirica tra luoghi e regioni della Terra lontanissime tra loro in un unico grande cilindro che collega le grandi poetesse greche arcaiche(Saffo) a quelle nipponiche, apparse dopo ma altrettanto rilevanti per comprendere l’incontestabile presenza femminile nell’arte poetica d’epoche antiche.
La composizione del Man -yo -shu, a eccezione di alcuni componimenti di epoche assai più remote, sembra risalire al periodo che va dalla riforma dell’era Taikwa(645) al 760, data della probabile sua compilazione. Ma difficoltà immense e, a tratti, insuperate, offre il testo nel quale la pura lingua giapponese dei versi è scritta con caratteri cinesi presi ora foneticamente, ora ideograficamente, ora usati in modo scherzoso e capriccioso come i nostri rebus. Un dato rimane inconfutabile: il Man-yo-shu è d’importanza fondamentale linguistica per lo studio del giapponese antico e storica per lo studio delle istituzioni politiche, i contesti sociali, la civiltà e cultura dell’antico Giappone. L’opera permette un approccio di studio della lingua nipponica antica e questo elemento determina il valore filologico dell’opera stessa per noi occidentali. Il suo valore letterario sta nella freschezza e autentico afflato poetico di questa mirabile “Raccolta di foglie”, pregi che non furono più eguagliati. Il lirismo domina incontrastato e la maggior parte delle poesie del Man-yo-shu parlano d’amore, seducono le beltà della natura, cantano la gloria della casa imperiale,la venerazione degli dei. Non è estraneo alla raccolta l’influsso del buddhismo che già dominava la cultura indigena del tempo e dà alla raccolta una languida e malinconica vena di pessimismo subito oscurato dalla bellezza lirica e dai temi profondi e vitali delle poesie.
Anche la cultura cinese si è infiltrata nella genesi della composizione dell’opera ma è doveroso constatare che l’influsso del buddhismo e della civiltà cinese si riconosce meno proprio quando la poesia del Man-yo-shu riflette più genuinamente pensieri e sentimenti dell’epoca. Se la civiltà cinese offrì modelli ammiratissimi alle istituzioni sociali e politiche degli isolani e ai letterati per la loro prosa, non è men vero che la poesia giapponese classica restò al riparo da ogni influsso straniero, almeno per quel che concerne la lingua. Ma la poesia cinese rimarcò la sua influenza ampliando notevolmente la varietà dei temi di quella indigena.
La Natura è una delle protagoniste incontrastate del Man – yo-shu così come lo sarà delle poesie Haiku. I fiori, gli usignoli, la luna, le campagne, gli insetti e migliaia di altri soggetti sono vive creature palpitanti nei componimenti della raccolta e furono per la prima volta additati ai poeti giapponesi da quelli cinesi e già dai temi bucolici o amorosi delle poesie della raccolta è possibile appurare quale profonda risonanza la civiltà poetica cinese trovò nella sensibilità degli isolani.
Il Man – yo – shu, compilato a metà dell’VIII sec., è il precursore artistico della moderna poesia giapponese che trova nell’haiku la sua espressione più scherzosa e vitale. Un arco di novecento anni collega questi due estremi della poesia nipponica. L’haiku, nato dal genere poetico del waka e del tanka, non è che lo sviluppo poetico della grande opera del 760 d.C., contenente a sua volta migliaia di poesie brevi “tanka” e, pertanto, vera progenitrice delle innovazioni di questo genere poetico fatto di poesie che in realtà non sembrano tali e aforismi che non sono aforismi ma componimenti dell’anima dove è più importante il non detto.
Yari Lepre Marrani