Principale Cronaca Il clandestino mondo del Cyberlaundering

Il clandestino mondo del Cyberlaundering

Il crimine che sfrutta il mondo digitale per nascondere i propri profitti: un approfondimento sul riciclaggio di denaro.

 

Dal Mondo – Avete mai sentito parlare di un fiume invisibile di denaro sporco che scorre sotto la superficie del web? Un fiume che lava via ogni traccia di crimine trasformando i proventi illeciti in ricchezze apparentemente lecite? Ecco, stiamo parlando del cyberlaundering, il fenomeno del riciclaggio dove l’identità si dissolve nel digitale e la verità si nasconde dietro una miriade di transazioni online.

Cyberlaundering, è una terminologia che combina due parole inglesi, “cyber” e “laundering”. “Cyber” si riferisce al mondo digitale, al cyberspazio, ovvero all’insieme delle reti informatiche e dei sistemi informatici interconnessi e “Laundering”, in italiano “lavaggio”, indica l’operazione di riciclaggio di denaro sporco, ovvero di provenienza illecita, cui fine è quello di renderlo apparentemente lecito.

Come si manifesta? Attraverso varie metodologie in continua evoluzione. Nonostante ciò, è però possibile individuare le tre fasi che caratterizzano il processo.

Nella fase iniziale, “placement” (inserimento), il capitale illecito viene immesso nel sistema finanziario legale. Nel contesto digitale, questo avviene attraverso versamenti su conti correnti online, l’acquisto di criptovalute oppure l’impiego di piattaforme di pagamento che garantiscono l’anonimato degli utenti.

Successivamente, passando alla fase di “layering” (ostracismo), il cui scopo è confondere le tracce del denaro sporco per rendere difficile l’identificazione della sua provenienza, vengono effettuate transazioni complesse e distribuite, spesso coinvolgendo giurisdizioni e valute diverse, con l’intento di rendere il percorso finanziario il più tortuoso possibile.

Infine, nella fase di “integration” (integrazione), il capitale “pulito” viene reinvestito in attività economiche legittime, quale può essere l’acquisto di beni immobili o la creazione di nuove imprese, facendo apparire il denaro come conforme alla legalità.

Tale attività illegale ha assunto dimensioni sempre più complesse e sofisticate, con particolare riferimento ai trasferimenti di denaro tra Italia e Cina.

Le relazioni commerciali tra i due paesi, al culmine di intensi legami economici, non solo hanno creato opportunità significative per occultare la provenienza di capitali illeciti, ma, le discrepanze normative tra le due giurisdizioni hanno e continuano a complicare la possibilità di indagini efficaci, permettendo ai cyber-criminali di sfruttare le lacune legislative per perpetuare le loro attività.

La diffusione delle criptovalute, aggiunge un ulteriore strato di complessità, poiché, nonostante la Cina abbia imposto severi divieti al settore, rimane un mercato rilevante. Quì i cyber-criminali, per eludere il controllo delle autorità, attuano varie metodologie e tra questi, la creazione di società off-shore in paradisi fiscali, utilizzate come “facciate per mascherare” l’origine del denaro consentendo di effettuare i trasferimenti che appaiono legittimi, e la falsificazione di documenti commerciali, come le fatture simulate.

In questo contesto, una pratica diventata molto comune, è l’uso di prestanome per l’apertura di conti correnti da cui ricevere e trasferire i fondi illeciti. La conversione di denaro sporco in criptovalute consente di aggirare i sistemi tradizionali, mentre l’adozione di servizi di pagamento online consente di effettuare trasferimenti frazionati e costanti, rendendo la tracciabilità delle transazioni estremamente difficile.

A quanto esposto si aggiunge il Silk Road 3.0, una piattaforma e-commerce non indicizzata dai motori di ricerca e accessibile solamente attraverso uno dei software che consente la navigazione sul web in forma anonima, Tor.

Silk Road 3.0, rappresenta un’evoluzione inquietante di un fenomeno già noto: il marketplace del dark web, dove il confine tra legale e illegale si dissolve in un business sotterraneo vibrante e pericoloso.

Le transazioni effettuate su Silk Road 3.0 si fondano principalmente sull’uso di criptovalute, quale il Bitcoin, che consentono non solo un velo di anonimato ma trasferimenti rapidi e senza tracciabilità.

Per camuffare i propri trasgressivi intenti, vengono orchestrate poi operazioni di mixing e tumbling. Attraverso queste procedure, i bitcoin vengono mescolati in un labirinto di transazioni, rendendo quasi impossibile risalire all’origine delle criptovalute impiegate.

Tuttavia, la natura insidiosa del cyberlaundering non si limita ad una mera questione di anonimato ma alimenta fortemente le vene del crimine organizzato sempre pronto ad estendere i propri tentacoli di un sistema che finanzia traffici di droga, armi e persino persone.

In simili contesti, il mondo legale subisce le conseguenze di un’economia intaccata e fortemente esposta a destabilizzazione che genera effetti a catena, come uno spettatore passivo.

Ostacolate dall’ambiguità del dark web e dall’oscurità delle criptovalute, le autorità preposte, trovano difficoltà nel combattere la battaglia contro questo avversario sfuggente e insidioso. Infatti, ogni tentativo di tracciare i flussi finanziari illeciti si scontra con un muro segreto ed astuto rivelando un mondo dove le regole del gioco sono stabilite da chi opera senza scrupoli.

Silk Road 3.0 non è soltanto un mercato, è il punto di incontro di una rete complessa e pericolosa, dove l’innovazione tecnologica unita all’illegalità dà vita ad un’alleanza letale.

 

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