Le forze della coalizione globale contro lo Stato islamico (ISIS) sono pronte a lasciare completamente l’Iraq entro la fine del prossimo anno, ponendo fine all’Operazione Inherent Resolve varata nel 2014 a guida statunitense. L’accordo giunge in un momento in cui sono in corso attacchi da parte di gruppi armati iracheni sostenuti dall’Iran contro le forze statunitensi. Il consigliere per la Sicurezza nazionale iracheno, Qasim al Araji, ha incontrato l’8 settembre l’ambasciatrice degli Stati Uniti a Baghdad, Alina Romanowski, per discutere della conclusione della missione della coalizione internazionale in Iraq, da tempo caldeggiata da Baghdad anche a causa degli scontri tra forze statunitensi e milizie scite peraltro integrate a pieno titolo nelle forze armate irachene.
Gli Stati Uniti lasceranno l’Iraq entro il 2026
In sostanza, la base per la presenza di forze straniere in Iraq sta cambiando da una struttura multilaterale, basata sulla Coalizione contro l’ISIS, a strutture bilaterali, basate su intese dirette tra Baghdad e i vari paesi stranieri con truppe in Iraq. Questa è una questione cruciale per i curdi. Come ha sottolineato il leader curdo di lunga data, Masoud Barzani, ora a capo del Partito Democratico del Kurdistan (KDP), anche in incontri con funzionari statunitensi, una presenza militare statunitense continua in Iraq è fondamentale per garantirne la stabilità e promuovere i suoi interessi nazionali. L’attuale presenza statunitense comprende circa 2.500 truppe in Iraq e 900 in Siria, originariamente schierate per combattere lo Stato islamico. Il ritiro vedrà inizialmente le forze lasciare le basi chiave ad Anbar e Baghdad entro il 2025, con le ultime truppe rimaste di stanza a Erbil fino alla fine del 2026. Questo ritiro segnerebbe un cambiamento significativo nella posizione militare di Washington, sebbene i funzionari statunitensi riconoscano che la loro presenza in Iraq serve non solo a contrastare lo Stato islamico, ma anche a monitorare l’influenza iraniana nella regione. L’uscita graduale è vista come politicamente vantaggiosa per il Primo Ministro iracheno Mohammed Shia al-Sudani, in quanto si allinea con l’atto di bilanciamento dell’Iraq tra Stati Uniti e Iran, affrontando al contempo l’instabilità in corso. Tuttavia, potrebbe anche segnalare una vittoria per l’Iran e i suoi delegati nel paese arabo, che da tempo premono per il ritiro completo delle forze statunitensi e della coalizione sia dall’Iraq che dalla Siria.