Ho da poco terminato la lettura del libro Una scuola esigente, di Giorgio Ragazzini, che tratta il tema della scuola in modo molto generale, toccando, quindi, diversi punti importanti. Tra questi c’è la questione degli istituti tecnici e professionali, secondo il libro svalutati rispetto ai licei, perché puntano di più sull’aspetto pratico anziché su quello teorico; per questo, tante volte si tenta di “licealizzarli”, anche se, facendo ciò, si mina la loro essenza.
E, soprattutto, si fa un torto agli alunni che li scelgono, perché ricevono un tipo di istruzione diverso rispetto a quello che si aspettavano e che, molto probabilmente, non rispetta le loro attitudini. Ecco: qualche settimana fa, mentre ero alle prese con alcune mie riflessioni sulla lettura appena ultimata, mi sono imbattuto in una vicenda che vede al centro l’istituto tecnico professionale Galilei-Einaudi-Casaregis, di Genova, che, negli ultimi anni, ha assistito a un aumento costante degli iscritti. E a ciò si aggiungono gli ottimi risultati degli ultimi esami di stato, dove diversi studenti hanno raggiunto il 100 e il 1oo e lode, e la grinta percepita nelle parole dei diplomati: Gianluca Racca Contarini, per esempio, esalta la sua passione per la tecnologia, che ha approfondito in modo autonomo. “So che ci sono ampi spazi professionali – ammette – “c’è molta richiesta, ma vorrei formarmi ancora e arricchire il mio curriculum. Questa scuola, poi, è un’istituzione storica del quartiere, e io abito qui vicino.
Questo mi ha aiutato”. “Speravo nel cento e sono molto soddisfatto, mi sono impegnato tanto – racconta un altro studente, Samuele Carmarino, dell’Einaudi – “ho basi valide in informatica ed economia per lavorare bene da subito: ho già fatto dei colloqui per entrare in azienda, è un bel risultato”. Parole simili provengono da Mattia Bruzzone, del Galilei, e Angelo Bertonasco: “Mi ha ispirato il corso di robotica, anche se il corso si incentra su progetti piccoli. Ho coniugato queste competenze con i miei interessi artistici. La mia passione è l’artwork digitale, e ci sono molti punti di contatto con quello che ho studiato”, dice il primo. “Fin da piccolo, ho sempre amato le costruzioni Lego e le animazioni, e questa passione mi ha spinto a fare bene a scuola: tra l’altro, ho passato una bella esperienza all’Iit di Morego. Mi affascina la programmazione, anche pensando all’esplosione dell’intelligenza artificiale.
Ora andrò a Ingegneria informatica”, sostiene il secondo. Potrei andare avanti con le testimonianze, ma la musica sarebbe sempre la stessa. Invece, vorrei riportare il punto di vista della preside dell’istituto, Rosella Monforte, che ritengo molto significativo: “Tre anni di pandemia hanno pesato, ma abbiamo reagito e il nostro obiettivo è sempre stato quello di non lasciare nessuno indietro. Quello che abbiamo mantenuto e ampliato, nonostante il Covid, è sicuramente il forte legame con le imprese: chi si diploma da noi ha già un piede nel mondo del lavoro ed è un grande stimolo. Però, insistiamo con i ragazzi sull’impegno scolastico, senza il quale non si va da nessuna parte. E cerchiamo di aiutarli tutti, uno per uno, con percorsi il più possibile personalizzati.
Per questo, dico che uno dei nostri motti è “non uno di meno”. Per riuscirci, curiamo molto il clima delle relazioni, cercando di rendere la scuola un luogo accogliente, non respingente. L’obiettivo, alla fine, è insegnare ai nostri studenti a vedere il proprio futuro, ad avere sia l’ambizione sia la curiosità”. Peraltro, questa scuola è frequentata da molti stranieri e ragazzi con bisogni educativi speciali o diagnosi ex legge 104, ma la preside appare serena: “Non è mai facile, ma, da tempo, abbiamo un vero e proprio staff dell’inclusione, che conosce metodi, relazioni e norme. Quello che io chiedo a tutti è di non considerare mai la nostra scuola un ripiego o un piano B. Serve una scelta consapevole: si può cambiare in corsa, ma l’importante è sapere quello che si cerca. Da parte nostra, facciamo il possibile per allargare l’offerta formativa, e anche la didattica, puntando molto sulla tecnologia e su modalità diverse di insegnamento. Lavorando bene, alla fine, i risultati si vedono”. Quello che dice la preside, oltre al lavoro che svolge, è molto importante, specialmente quando afferma che “questa scuola non deve essere un ripiego o un piano B”, che è una sacrosanta verità. La scelta dell’istituto deve essere frutto di un ragionamento prolungato e ben strutturato, basato in gran parte sulla valutazione delle predisposizioni personali. Le quali, insomma, sono l’aspetto che conta.
Ed è proprio quello che vuole far capire l’autore del libro che ho citato all’inizio. Se esiste un’offerta formativa diversificata, con possibilità di prepararsi più dal punto di vista culturale o più da quello pratico, c’è un motivo, ed è che siamo tutti individui con caratteristiche e peculiarità differenti (per fortuna); e, per svilupparle, dobbiamo intraprendere il percorso più adatto a noi.
Perciò, non ha senso snaturare un indirizzo formativo, in questo caso quello tecnico-professionale, per la sola motivazione, molto frivola, di non ritenerlo all’altezza. Anche perché, paradossalmente, “licealizzando” tali istituti, gli alunni rimangono delusi perché si aspettavano un percorso diverso. Non a caso, sempre secondo il suddetto libro, nel primo biennio il numero delle ripetenze è molto più alto rispetto a tutti gli altri indirizzi. Ciò porta alla perdita d’interesse da parte degli allievi e al loro allontanamento dalla scuola, con conseguente accesso alla categoria “Neet”, che comprende tutte le persone, di età tra 15 e 29 anni, che non studiano, non si formano e non lavorano.
Si ottiene, quindi, il risultato opposto: non solo non avviene la formazione culturale tanto attesa, ma quest’ultima manca totalmente, sotto ogni punto di vista. Consola il fatto che ci sia un’istituzione scolastica come quella genovese, che punta sulla buona riuscita di ogni suo alunno, perché, sostanzialmente, è questo ciò che conta: avere la possibilità di realizzare le proprie ambizioni, qualunque esse siano, poiché, teniamolo bene a mente, in questo mondo tutte le competenze sono fondamentali; e la loro differenza non è nella qualità, ma nel contributo che possono dare alla società. L’auspicio, tuttavia, è che ci siano altre scuole come quella di Genova e che le loro storie possano servire a cambiare la mentalità collettiva.
Nicolò Caudini