di Raffaele Gaggioli
Man mano che il possibile cessate il fuoco tra Hamas e Tel Aviv diventa sempre più difficile, le tensioni dentro e fuori Israele continuano ad aumentare. Per cominciare, c’è il problema del passo di Philadelphia. Sebbene anche le forze militari israeliane abbiano espresso dubbi al riguardo, Tel Aviv è infatti intenzionata ad occupare militarmente il territorio che collega l’Egitto con la Striscia di Gaza per impedire ad Hamas di ricevere altri rifornimenti militari.
Da un lato, questo complica le trattative con Hamas per un possibile cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi israeliani ancora in Gaza. Dall’altro lato, questa mossa è apertamente osteggiata anche dal governo egiziano, semi-alleato con Israele, in quanto violerebbe gli Accordi di Camp David (una serie di trattati che nel 1978 normalizzarono i rapporti diplomatici tra il Cairo e Tel Aviv).
Oltre alla continuazione della guerra con Hamas e alla rottura dei rapporti diplomatici con l’Egitto, Israele potrebbe dover fronteggiare anche un’ulteriore escalation del conflitto in Medio Oriente. Sin dall’inizio della guerra in Gaza, la Repubblica Islamica d’Iran e i vari gruppi terroristici da lei sostenuti hanno infatti più volte minacciato di intervenire direttamente nel conflitto.
Hamas e gli altri gruppi terroristici attivi nei territori palestinesi fanno infatti parte dell’Asse della resistenza, una complicata rete di alleanze tra Teheran e diversi gruppi armati opposti ad Israele. Per questo motivo, Tel Aviv ha dovuto sia aumentare il numero di soldati lungo i suoi confini, sia preparare le sue difese aeree per fronteggiare il lancio di razzi e altri ordigni da parte di questi gruppi.
Secondo alcuni osservatori internazionali, il pericolo maggiore per Israele è rappresentato dai gruppi terroristici di Hezbollah e degli Huthi. Il primo è attivo nel sud del Libano, può contare anche sul supporto della Siria e ha a sua disposizione abbastanza truppe per attaccare direttamente via terra Israele.
Il secondo è invece attivo in Yemen. Anche se gli Huthi sono più isolati delle loro controparti libanesi, il gruppo ha già dimostrato in passato di essere in grado di colpire obbiettivi a centinaia di chilometri di distanza con i suoi missili.
Anche se entrambi i gruppi hanno perso molti uomini e mezzi per mano dei bombardamenti occidentali ed israeliani, le loro capacità militari non sembrano essere state compromesse in particolar modo. Per questo motivo, i militari israeliani temono che l’Iron Dome (il sistema di difesa anti-missilistico israeliano) potrebbe non essere in grado di fermare completamente un attacco missilistico congiunto da parte dei due gruppi terroristici.
Tutti questi fattori non sembrano però aver convinto Netanyahu ad adottare una politica estera più prudente. Al contrario, il suo governo ha deciso di allargare le operazioni militari al territorio palestinese della Cisgiordania. Secondo il primo ministro, la regione è stata infiltrata da Hamas e da altri gruppi terroristici.
Tuttavia, diverse associazioni umanitarie e rivali politici di Netanyahu lo hanno accusato di stare semplicemente cercando di favorire i suoi alleati dell’estrema destra messianica. L’operazione militare in Cisgiordania è stata infatti accompagnata da un aumento dell’espropriazione di terre, case e altre proprietà e delle violenze da parte dei coloni ebrei nei confronti dei palestinesi nell’area.
Inoltre, quanto sta succedendo in Cisgiordania indebolisce l’Autorità Palestinese (gruppo politico opposto ad Hamas, che è riconosciuto a livello internazionale come governo legittimo delle regioni palestinesi). Secondo i critici, Netanyahu sta cercando di rendere la creazione di uno stato palestinese indipendente impossibile.
Questi episodi di violenza hanno anche causato la morte di una cittadina americana in Cisgiordania. Un cecchino israeliano ha ucciso Aysenur Ezgi Eygi, attivista americana di origine turca, mentre stava protestando contro l’occupazione israeliana.
Anche se il presidente americano Biden non sembra intenzionato ad interrompere il supporto militare per Israele, questo incidente ha danneggiato ulteriormente i rapporti tra Tel Aviv e Washington. Il governo americano starebbe anche considerando di avviare una trattativa unilaterale con Hamas per liberare i rimanenti ostaggi di origine americana a Gaza, escludendo così Israele.
Proprio la sorte degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas sta aumentando le tensioni nel governo e nella società israeliana. Sembra infatti che la posizione dura di Nethanyau sia sempre più impopolare.
Il ministro della difesa Yoav Gallant e i comandanti dell’esercito oramai accusano apertamente il primo ministro di preoccuparsi solo di salvare la sua carriera politica, piuttosto che garantire la sicurezza di Israele e la salvezza dei rimanenti ostaggi. In particolar modo, l’influenza di Ben Gvir e di altri politici di estrema destra starebbe complicando inutilmente la strategia militare israeliana.
Inoltre, è stato anche recentemente rivelato che Netanyahu aveva rifiutato un accordo per la liberazione degli ostaggi già lo scorso luglio. A seguito di questa rivelazione e della scoperta dei cadaveri di sei ostaggi in Gaza, gli israeliani sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni dell’attuale primo ministro al punto che il governo ha dovuto bandire le dimostrazioni di protesta di fronte alle residenze dei ministri.
Con la guerra ancora in corso, non è chiaro quando potranno tenersi le prossime elezioni in Israele. Tuttavia, né Netanyahu né i suoi alleati sembrano disposti a mollare la presa.
Raffaele Gaggioli
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