di Francesco Anonio Schiraldi
Tra la fine del Settecento e il primo Ottocento la Storia ebbe un solo grande protagonista, Napoleone Bonaparte, artefice di un vorticoso destino personale. La parabola del leggendario condottiero corso prese il via dalla problematica eredità della Rivoluzione, l’investitura a difenderla dalle potenze dell’Ancien Régime per allontanarsene e lanciarsi alla conquista dell’Europa. Al culmine di un esaltante percorso arrivò il sogno di un impero universale, la consacrazione ma anche l’opposizione delle nazioni rimaste indipendenti, in primo luogo l’Inghilterra. Inattesa giunse poi la caduta, la riscossa dei ‘Cento giorni’ con la sconfitta di Waterloo, l’esilio e la segregazione nella sperduta isola di Sant’Elena in mezzo all’Oceano.
Nella grandiosa vicenda c’è un paradosso che merita riflessione: mentre Napoleone consolidava la sua egemonia sul continente, nel medesimo contesto e con sforzo tenace l’Inghilterra diventava padrona dei mari, tanto da poter offrire un aiuto diretto alle coalizioni anti napoleoniche.
Ottenuta la vittoria a Trafalgar, la flotta britannica consolidò il blocco dei porti francesi. Le vedette sorvegliavano da vicino, mentre le squadre al largo erano pronte ad inseguire i vascelli che fossero riusciti a sfuggire. Vincitori sui mari, gli inglesi annientarono la marina mercantile della Francia e dei suoi alleati, la supremazia consentì loro di controllare il commercio marittimo e ampliare i traffici. Il blocco navale soffocò le esportazioni francesi, l’Inghilterra si impadronì dei mercati. L’impero napoleonico ne riportò gravi danni, il colpo più terribile fu la perdita del traffico coloniale, notevole per importazioni ed esportazioni.
Adesso torniamo indietro nel tempo, soffermiamoci sul III secolo a.C. Abili nelle arti marinaresche e nei commerci, i Fenici si insediarono sulle coste dell’Africa dove Karthada o Karkedon, per gli occidentali Cartagine, diventò dominatrice del Mediterraneo occidentale. Il crescere della sua potenza, soprattutto commerciale, non poté che condurre allo scontro con l’altra «superpotenza» dell’epoca, ossia Roma.
Teatro delle ostilità fu la Sicilia dove i Romani, facendo leva sulla consolidata potenza militare, stanarono e allontanarono dalle loro basi i Cartaginesi, espugnando anche l’ultima roccaforte Agrigento. La guerra terminò rapidamente sull’isola, ma proseguì altrove con le ripetute incursioni puniche sul litorale italico: senza tentare una vera invasione, i cartaginesi approdavano, minacciavano e taglieggiavano le popolazioni. Il commercio di Roma e dei suoi alleati fu quasi paralizzato, Roma avvertì direttamente tutto il peso della sua debolezza marittima.
Eliminata ogni titubanza, i Romani si proposero di allestire una poderosa flotta da guerra, con lo scopo di colpire anche sul mare l’odiata rivale. Con quella perseveranza che costituiva la loro forza, i Romani si impegnarono a realizzare quanto progettato, non solo, pensarono anche ad acquisire le maestranze necessarie per conservare in numero e in efficienza la flotta.
La costruzione dell’armata navale fu un avvenimento grandioso, con somma energia, genio e prontezza di esecuzione i Romani salvarono la patria da un pericolo che minacciava di travolgerla. Si trattò di una eccezionale messa in opera: possiamo dire che in un anno, fra il 261 e il 260 a.C., i Romani risolsero il cruciale problema che Napoleone Bonaparte non seppe mai risolvere, ossia trasformare una potenza continentale in una potenza marittima. Sappiamo che sul mare, infatti, l’imperatore dei francesi rimase sempre nella morsa della potenza navale inglese.
La flotta cartaginese al comando Annibale si scontrò con quella romana presso Milazzo, fu il primo vero combattimento navale di Roma che fece sua la battaglia grazie all’invenzione dei ponti d’abbordaggio, che permettevano ai legionari di lanciarsi sulla tolda avversaria e combattere come sulla terraferma. Grande fu la vittoria, ma ancor più grande la fama che ne derivò, Roma era diventata una potenza marittima tale da poter condurre validamente a termine il conflitto contro la più grande nazione marinara di quei tempi