
Con il libro di oggi entriamo in una saga familiare, una grande famiglia, composta da quattordici o quindici tipi, tra maschi e femmine, uno più forte e stravagante dell’altro
Una sorta di vecchia razza, un elogio della stirpe. Il tutto collocato nel periodo che va dal 1855 e il 1882, ovvero tra Risorgimento e unificazione
Come riporta Wikipedia: “ I componenti della famiglia degli Uzeda sono accomunati dalla razza e dal sangue vecchio e corrotto, dovuto anche ai numerosi matrimoni tra consanguinei.
Quanto emerge da questa famiglia è la spiccata avidità, la sete di potere, le meschinità e gli odi che i componenti nutrono l’uno per l’altro alimentando in ciascuno una diversa patologica monomania.
Ogni membro della famiglia ha una storia segnata dalla corruzione morale e biologica, che si evidenzia anche nella loro fisionomia e nelle deformità fisiche che verranno riassunte dall’autore nell’episodio di Chiara che, dopo aver partorito un feto mostruoso lo conserva sotto spirito in un boccione di vetro”.
L’autore (1861 –1927) è vissuto fra Napoli e Catania e colloca proprio in Sicilia il racconto, che è sicuramente il suo più noto.
Fu più conosciuto come consulente editoriale, critico e giornalista sulle pagine di due settimanali che uscivano a Catania e a Roma: il Don Chisciotte e il Fanfulla della domenica.
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La Rete
Il regista Roberto Faenza ne ha fatto un film che riporta titolo uguale e testo molto fedele alla fonte

Un approfondimento culturale
Rai passato e presente – Federico De Roberto e la Sicilia dei Viceré
