Principale Arte, Cultura & Società Cinema & Teatro Grand Budapest Hotel: 9 anni dall’opera di Wes Anderson

Grand Budapest Hotel: 9 anni dall’opera di Wes Anderson

di Federico Manghesi

Le sale cinematografiche di tutto il mondo hanno recentemente proiettato il nuovo film di Wes Anderson: “Asteroid City”. Il film si inserisce in una filmografia di grande spessore.

Infatti, il regista texano è diventato uno dei più apprezzati nel cinema americano degli anni duemila grazie ad uno stile inconfondibile e una serie di film largamente apprezzati da critica e pubblico.

La produzione di Anderson si divide tra film con attori in carne e ossa (come i Tenenbaum e lo stesso Grand Budapest Hotel) e film d’animazione realizzati con la tecnica dello stop motion (Isola dei cani o Fantastic Mister Fox).

Lo stile di Wes Anderson

Lo stile di Anderson si nota subito dalla composizione dell’inquadratura, con un frequente uso di campi larghi, spesso accompagnati dal grandangolo. La scelta di colori accesi per le ambientazioni unita alla ricerca di scenografie simmetriche contribuisce a creare atmosfere teatrali. Si ha talvolta l’impressione di osservare veri e propri quadri.

Grand Budapest Hotel

il film di Anderson che più è arrivato al grande pubblico, quantomeno nell’ultimo periodo, è Grand Budapest Hotel, uscito nel 2014.

Trama

Il signor Moustafa, attuale proprietario del Grand Budapest racconta la sua avventura al fianco del precedente gestore, il signor Gustave. Quando una delle amanti di Gustave viene assassinata, lui viene dichiarato colpevole, in quanto aveva ereditato da lei un quadro di immenso valore. Moustafa e Gustave cercano allora di smascherare i veri artefici del crimine portando alla luce un intricato complotto.

I contenuti

Da una parte il film recupera un classico del romanzo giallo, ovvero la lettura del testamento di una vittima; dall’altra Wes Anderson gira una brillante commedia dall’umorismo sottile, per un film ricco di influenze e proprio per questo difficile da inserire in un solo genere.

In un mondo freddo e crudele, dove anche i crimini più efferati risultano normali, il Grand Budapest diventa un colorato simbolo d’amore. Un baluardo che resiste agli orrori della guerra. Un’effige dedicata al ricordo di un amore passato, che né la guerra né la morte sono mai riuscite a distruggere.Fotografia e gestione dei colori

A colpire in un primo momento lo spettatore è il comparto visivo. Le sale del Grand Budapest sfoggiano colori accesi (rosa, rosso, giallo) mentre il mondo esterno è dominato da colori freddi.

I costumi dei protagonisti sono per buona parte del film, di un viola acceso, mentre gli altri personaggi vestono quasi sempre con colori neutri, quali il nero e il bianco. Queste scelte, tutt’altro che casuali, accentuano la dimensione teatrale e un po’ fiabesca dell’opera.

La regia

Non si può parlare di un film di Anderson senza fare almeno un accenno alla parte registica. Movimenti di macchina netti e misurati (quali zoom e panoramiche orizzontali e verticali), per una regia “geometrica” e precisa, che non lascia niente al caso.

Gli zoom veloci sui personaggi scandiscono il ritmo serrato e avvincente di scene costruite ad arte.

Federico Manghesi

foto deadshirt.net

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