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Misteri storie e leggende della Basilica di San Vincenzo in Prato, la casa del mago

di Angela Golia

Un luogo segreto e misterioso, conosciuto poco anche dai milanesi, in quanto nascosto tra viuzze strette e appartate ma nello stesso tempo, in prossimità della movida dei Navigli e di corso di porta Genova…

In via San Calocero, si nasconde, ergendosi maestosa, tra caseggiati antichi e moderni, la basilica di San Vincenzo in Prato, una delle più antiche basiliche paleocristiane, edificata probabilmente nel IV secolo d.C., ma chiamata anche all’inizio dell’Ottocento, la Casa del Mago.

Ha una facciata a salienti, semplice, direi essenziale, con l’uso di soli mattoni, un materiale povero e di basso costo, tipico della Bassa Pianura; l’unica concessione di  maggior ricchezza, la si ritrova nella presenza dei tre portali di ingresso in rame sbalzato del Novecento, realizzati dallo scultore Geminiano Cibau.

Ed è proprio dietro questa apparente semplicità, che si nascondono storie misteriose ed affascinanti, forse intrecciate a miti e leggende ormai dimenticati e che vengono narrate da alcuni straordinari “gioielli archeologicinascosti nel suo cuore architettonico.

Ma andiamo per grado a conoscerla…ed entriamo insieme…

Eccola…

E’ una piccola ma raccolta basilica, direi quasi intima, misura 40 per 20 metri circa, sopravvissuta con l’originale struttura perché a ogni restauro non fu mai completamente modificata, l’unica che rimane a testimoniare il più antico aspetto della cristianità milanese.

Infatti, la pianta è a schema basilicale, non ha la canonica croce latina, è a tre navate con copertura a capriate, che si riflettono sulla partizione esterna della fronte a salienti.

All’interno le navate sono divise da colonnati che sostengono, su una serie di notevoli capitelli di recupero romani ed altomedievali, nove archi a tutto sesto.

Questi stessi capitelli, ora corinzi, ora compositivi, ci informano della sua antichità in quanto provengono dal vicino anfiteatro che si trovava in via De Amicis, vicino alle colonne di San Lorenzo.

Come è possibile trovare materiali ed elementi architettonici di un edificio pagano in una chiesa?

Era consuetudine tra il III e IV secolo d.C., (quando con l’Editto di Teodosio, nel 380 d.C., la religione cristiana diventa religione ufficiale e tutte le altre professioni vengono invece ritenute eretiche), il riutilizzo di materiali provenienti da edifici romani ormai dismessi, poiché legati ai giochi e ai divertimenti di un popolo pagano ora avversato, distruggendone i luoghi-simbolo ma recuperandone i materiali per risparmio anche economico.

Si, questo avvenne non solo per l’interno ma anche all’esterno, intorno alla chiesa ed ora, un’altra storia davvero interessante ci attende, partendo dal retro, dall’abside, proprio in corrispondenza dell’antica e unica sopravvivenza romanica della chiesa …

Laddove oggi c’è un parco giochi per bambini che allieta questo luogo remoto e lontano, qui, tutto avvenne, in un tempo antichissimo, all’epoca del vero principio di Mediolanum, quando la nostra metropoli conobbe una fondazione mitica ad opera del popolo dei Celti che guidati da Belloveso decisero di insediarsi proprio nella pianura di mezzo, un territorio ricchissimo d’acqua, verdeggiante con boschi rigogliosi.

Si, in antico l’attuale parco della basilica, era un “pratum”, una radura ricca di olmi, scelto dai Celti come nemeton cioè come bosco sacro, che era nel loro immaginario la rappresentazione simbolica del Paradiso celeste sulla terra, per la presenza oltre che di pascoli e radure, anche di fonti di acqua.

In questo luogo, fu eretto un tempio druidico, chiamato medelhan, dove veniva venerata la divinità chiamata Taranis o Belenos che era assimilabile al dio pagano romano Giove o Apollo, dio della luce e del fuoco che si univa a Belisama, dea madre come divinità della terra e della fertilità.

L’unione tra il padre Taranis e la madre Belisama veniva rievocata nel tempio druidico dai sacerdoti, i quali, attraverso rituali, ne richiamavano la presenza per stimolare la fertilità della terra, con il propiziare sia della pioggia rigenerante che dei raggi del sole che nutre e genera.

In questo luogo sono stati trovati dei menhir, pietre megalitiche che venivano collocate in luoghi considerati fortemente energetici, cioè dove si percepiva la presenza di correnti telluriche che venivano proprio canalizzate dalle particolari pietre, che assorbivano l’energia sia dal basso che dall’alto, come vere antenne catalizzatrici.

E qui vi assicuro possiamo vedere proprio un menhir, un menhir particolare…

Il sacro cristiano è sempre presente e lo ritroviamo all’interno della basilica…sopra l’altare, ci colpisce un affresco staccato che proviene dalla chiesetta di San Calocero ormai distrutta e che rappresenta una Crocifissione detto “Madonna del pianto”, attribuita alla scuola degli Zavattari nella metà del Quattrocento.

Perché fu chiamata Madonna del Pianto?

Si racconta che agli inizi del Cinquecento, quando il ducato di Milano fu sottratto a Ludovico il Moro, lunghi conflitti tra i francesi e gli spagnoli devastavano la città per il desiderio di conquistarla, ed è proprio in questo frangente che avvenne il miracolo.

Per ben tre giorni, la Crocifissione cominciò davvero a sanguinare ed il sangue che sgorgava era così copioso che si decise di raccoglierlo entro un’urna d’argento…e poi iniziarono i miracoli con una folla innumerevole di fedeli che attendeva il proprio miracolo personale…

Ma altri due oggetti direi magici sono qui conservati: la Madonna dell’Aiuto, affresco staccato dalla chiesa distrutta di San Calocero e la spettacolare Pietra santa, di antichissima origine, collocata proprio al centro di un battistero moderno realizzato da Paolo Mezzanotte, architetto della Borsa di Milano..

Ma queste sono altre storie che attendono il loro tempo per essere raccontate.. e allora alla prossima…

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