
L’intenzione entro la fine di quest’anno di alcuni Paesi dell’Unione Europea, in particolare Germania, Francia, Italia, Finlandia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovenia, Spagna e Belgio, di voler riformare il diritto di veto dell’UE, deve farci riflettere. Come in tutte le organizzazioni internazionali, sappiamo che il diritto di veto può bloccare una qualsiasi decisione, a imitazione dei Romani quando i tribuni eletti dalla plebe potevano esercitare tale diritto sulle decisioni prese dal senato, nel caso in cui le leggi andassero contro gli interessi del popolo. Questa soluzione, per intenderci, fu sin dall’inizio pensata come “valvola di sicurezza” da utilizzare in caso fossero attaccati i diritti di una parte dei componenti di un qualsiasi gruppo di rappresentanza politica o sociale. Per esempio, ne gode il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dove i cinque membri permanenti[1] possono opporsi a una qualsiasi decisione interna. Già in quest’ultimo caso possiamo notare la “limitazione” di libertà imposta a tutti gli altri componenti firmatari della Carta dell’Onu (51 nel 1945), che rende oggi questa organizzazione internazionale non solo obsoleta ma addirittura pericolosa; nel migliore dei casi un contenitore vuoto. Sono famosi i veti imposti ora da cinesi e russi, ora dagli Stati Uniti D’America, a seconda degli avvenimenti storici degli ultimi 70 anni.
Nel caso dell’Unione europea, il diritto di veto può essere esercitato dai singoli stati. La giustificazione fornita da chi spinge verso la sua abolizione, sostituendolo con il voto a maggioranza qualificata, è quella di “migliorare l’efficacia e la rapidità del processo decisionale dell’Ue in politica estera”[2]. Naturalmente, si è creato immediatamente un fronte contrario a questo gruppo, composto da Polonia e Ungheria, visto che, proprio per una questione di “rappresentanza” demografica, solo 15 dei 27 Stati membri potrebbero prendere decisioni di politica estera. In altre parole, solo il 65 per cento della popolazione dell’UE avrebbe un reale peso politico nelle decisioni future, quei paesi con una popolazione più numerosa. Dunque si tratta di una maschera, non di soluzione democratica. O meglio: si tratta di una decisione a “libertà vigilata”, o, se preferite, a “democrazia controllata”, un po’ come accadeva nell’ex Unione Sovietica.
Perché, allora, si vuole mascherare questa operazione definendola come “democraticamente” migliorativa? In realtà non è possibile mettere sullo stesso piano una nazione, un intero popolo, con una entità politica o sociale. Ben oltre la “rilevanza” demografica, prettamente quantitativa, come già fatto presente in altra sede, i popoli costituiscono una unicità irripetibile, non sommabile. È un’assurdità che si voglia far passare come implicitamente “normale” l’eliminazione del diritto di veto, quando si sa benissimo che non ci sarebbe garanzia democratica per quei paesi con una popolazione numericamente inferiore; si tratta di una proposta che manca del principio di realtà, a meno che non si dichiari apertamente che si tratta di un progressivo avvicinamento a una dittatura. Solo in questo caso la logica e il principio di realtà sarebbero “rispettati”, dicendo la verità. La chiave che ci fa comprendere meglio di cosa stiamo trattando è nella definizione di “politica estera”.
Fu Luigi Einaudi, direttore dell’allora Banca d’Italia, alias un banchiere, a volere l’art. 11 nella Costituzione italiana, che recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”[3] Tutte belle parole, ma che nella sostanza, a ben guardare, separano la proprietà del territorio dalla sovranità nazionale. Per quale motivo il primo Presidente della Repubblica volle inserire un articolo che avrebbe leso il popolo italiano? Semplice, l’Italia ha perso la Seconda Guerra Mondiale e a tutt’oggi è considerata e trattata alla stregua di una colonia dai paesi vincitori. Per questo motivo non solo non siamo fra i cinque paesi con diritto di veto nell’Onu ma l’Italia ne entrò a far parte solo il 14 dicembre del 1955.
Guarda caso, l’Unione europea rientra perfettamente nella definizione di “organizzazione internazionale” presente nell’art. 11 appena citato. L’Unione europea, infatti, è riuscita a scavalcare le libertà dei singoli popoli grazie alla “politica estera”, tanto amata dagli studiosi del diritto internazionale, e grazie alle politiche fiscali, che hanno aperto in primis le porte all’euro. Utilizzare l’economia è stato l’altro grande grimaldello per realizzare il progetto folle dell’Unione europea, sapendo bene che non sarebbe mai stato possibile realizzare l’unificazione politica. La recente crisi della produzione delle auto in Italia con il caso Stellantis,[4] è lo specchio di quello che sta accadendo da due decenni in tutti i campi dell’economia in Europa da quando esiste l’Unione europea.
Ma è proprio grazie a studi sociologici avvenuti nel secondo dopoguerra negli Stati Uniti D’America, così legati al concetto di democrazia, ma le cui banche mondiali hanno silenziosamente finanziato l’euro – e quindi realizzato di fatto l’Unione europea – che si scoprì con certo disappunto che uomini di potere appartenenti a diverse compagini politiche, fra comunisti, fascisti e democratici, erano catalogabili come “personalità autoritarie”; si comprese che non è il colore dell’appartenenza a “fare” il dittatore ma la sua personalità, che non è la teoria politica a definire il singolo uomo di potere ma le sue motivazioni di carattere psicologico. Tale personalità autoritaria è definita negli studi psico e socio antropologici appunto come “personalità rigida”, il cui comportamento può essere riconosciuto da “quell’atteggiamento dogmatico, assolutistico della persona che la porta a credere in maniera certa, indubitabile in alcune cose, ad affermarle in maniera dogmatica e quindi a non essere duttile a ciò che avviene all’esterno.”[5]
Ecco cosa si cela dietro la maschera di chi ha voluto a tutti i costi l’Unione europea, compresi i nostri governanti degli ultimi due decenni, che per un piatto di lenticchie e per asservimento coloniale hanno svenduto la patria e tradito gli Italiani.
Raffaello Volpe
[1] n.d.r.: i cinque Stati vincitori della Seconda Guerra Mondiale
[2] https://amp.today.it/europa/attualita/italia-8-paesi-fine-diritto-veto-politica-estera-ue.html
[3] https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/principi-fondamentali/articolo-11