Principale Ambiente, Natura & Salute Tara, il paradosso del Dissalatore. Maggiori emissioni di CO2. E non solo

Tara, il paradosso del Dissalatore. Maggiori emissioni di CO2. E non solo

Il progetto di costruire un dissalatore presso le sorgenti del fiume Tara dovrebbe, nelle intenzioni di chi lo propone, contribuire ad affrontare i problemi derivanti dalla riduzione della quantità d’acqua presente negli invasi che alimentano il sistema idrico pugliese

Una riduzione causata da una forte riduzione delle precipitazioni che, a sua volta, è solo uno dei frutti avvelenati della crisi climatica scatenata dall’incremento dell’anidride carbonica presente in atmosfera e di cui l’altra faccia della medaglia è costituita dal moltiplicarsi dei fenomeni intensi, dalle bombe d’acqua alle alluvioni, con cui ormai facciamo periodicamente i conti..

Paradossalmente, però, il dissalatore costituirebbe una causa non piccola di aggravamento delle emissioni di CO2 e, quindi, del surriscaldamento globale del pianeta da cui scaturisce il dramma della desertificazione dei territori e della siccità. Secondo quanto riportato nel progetto, infatti, per produrre un massimo di 630 litri di acqua potabile al secondo, sarebbero necessari, all’anno, ben 25.380.961 kwh.

Se consideriamo un consumo medio di circa 2700 kwh annui per una famiglia costituita da 3 / 4 persone, il dissalatore consumerebbe perciò quanto 9400 famiglie, circa 33000 persone, qualcosa in più degli abitanti del comune di Massafra.

Per produrre con fonti rinnovabili una parte del fabbisogno energetico, nel progetto è prevista la costruzione di un impianto fotovoltaico con una produzione prevista pari ad un misero 3,9% del fabbisogno.

Considerato che l’impianto fotovoltaico eviterebbe l’emissione di 314 tonnellate di CO2, ne consegue che, proporzionalmente, il dissalatore sarebbe responsabile della produzione di circa 7600 tonnellate di anidride carbonica. Anche considerando il risparmio energetico ipotizzato per il ridotto emungimento dai pozzi del Salento di una quantità di acqua potabile pari a quella producibile a pieno regime dal dissalatore, il fabbisogno energetico netto – e le conseguenti emissioni di CO2 – resta elevato, essendo pari a ben 10.474.975 kwh.

Siamo di fronte a cifre inaccettabili: non è possibile, nel 2023, non considerare la necessità improrogabile di perseguire l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni di anidride carbonica producendo l’energia necessaria per il funzionamento del dissalatore solo attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili e non, come ipotizzato in progetto, attraverso l’installazione di una turbina alimentata da gas naturale.

Il progetto del dissalatore, incluso inizialmente in quelli proposti per l’utilizzo delle risorse del Just Transition Fund non è stato ritenuto idoneo dalla Commissione VIA VAS del Ministero dell’Ambiente che ha giudicato gli obiettivi strategici “Minimizzare le emissioni e abbattere le concentrazioni inquinanti in atmosfera” non influenzati positivamente dall’intervento proposto, così come gli obiettivi “Salvaguardare e migliorare lo stato di conservazione di specie e habitat per gli ecosistemi, terrestri e acquatici” e “Mantenere la vitalità dei mari e prevenire gli impatti sull’ambiente marino e costiero“.

Portarlo ugualmente avanti è a nostro avviso una enorme contraddizione.

A queste valutazioni si aggiunge la preoccupazione per le conseguenze che il prelievo ipotizzato di 1000 litri al secondo, in aggiunta ai circa 500 attualmente utilizzati da Acciaierie d’Italia, potrà avere sullo specifico ecosistema del Tara alla luce delle considerazioni riportate dal rapporto di Arpa Puglia allegato alla documentazione progettuale.

In esso si legge che “...il livello di qualità “scarso” del corpo idrico per quanto riguarda la componente biotica animale e vegetale rappresenta un elemento di criticità. Esso è risultato come caratterizzato da un ecosistema con una scarsa diversità biologica e quindi potenzialmente non in grado di sopportare variazioni di natura strutturale- come importanti variazioni di portata – che potrebbero quindi comprometterne la funzionalità, con il rischio potenziale di comprometterne ancora di più lo stato di qualità già attualmente “non buono” ai sensi della Direttiva 2000/60 CE”.

Si tratta di un rischio che, a nostro avviso, è opportuno non assumere, anche in considerazione della possibilità che si ripetano annate particolarmente siccitose, come quelle già verificatesi nei primi anni Novanta del secolo scorso, in cui la portata del Tara scese ad un minimo di 2017 litri al secondo.

Occorrerebbe invece pensare ad azioni che tutelino e valorizzino, anche ai fini dello sviluppo di un turismo sostenibile, l’area delle sorgenti del Tara.

Se è indiscutibile la necessità di affrontare per tempo le possibili criticità, un contributo rilevante all’apporto di nuove fonti idriche potrebbe venire dall’attivazione, purtroppo attesa da 40 anni, della traversa Sarmento, posta sull’omonimo torrente in Basilicata, con portata massima di 25 metri cubi al secondo, che non fornisce disponibilità in quanto ancora in fase di completamento.

Anche la traversa Sauro, altro torrente lucano, con portata massima di 12 metri cubi al secondo, che attualmente non fornisce disponibilità perché in fase di ricostruzione, potrebbe dare un apporto significativo.

Crediamo sia inoltre necessario implementare le attività volte ad una  accelerazione della riduzione delle perdite che, secondo i dati ISTAT, superano il 43% dell’acqua immessa in rete e che, per quanto a noi noto, in base agli obiettivi fissati da Arera, per la Puglia dovrebbe ammontare al 5% in meno all’anno,  circa 12 milioni di metri cubi, mentre allo stato attuale non arriva a 5.

Cifre consistenti, capaci di compensare ampiamente il mancato apporto riveniente dalla costruzione del dissalatore che dovrebbe garantire una erogazione a pieno regime circa 20 milioni di metri cubi all’anno.

Senza contare l’apporto stimato in 500 metri cubi al secondo che, sia pure per usi non potabili, potrebbe rivenire dall’uso dei reflui affinati dei depuratori Gennarini e Bellavista, atteso dal lontano 1994 per usi irrigui o, come inizialmente previsto e poi prescritto nell’Autorizzazione Integrata Ambientale del 2011 per l’ex Ilva, per far fronte alle necessità idriche dell’impianto siderurgico, la cui proprietà, peraltro, risulta titolare del contratto a tempo indeterminato stipulato a giugno 1991 da ILVA con EIPLI per la fornitura di acqua dal Tara per quantità, 1500 litri al secondo, molto superiori all’attuale prelievo, con obbligo di compensare con acque del sistema Sinni in caso di restrizioni.

Proprio l’EIPLI sta perfezionando con la Regione Puglia il rinnovo della concessione di Grande Derivazione sul fiume Tara n. 335 del 13/02/1965, concordando un uso plurimo, irriguo e industriale, per una portata massima di 1.100 litri al secondo, in base alla seguente ripartizione: 300 litri al secondo ad uso irriguo e 800 litri al secondo ad uso industriale durante l’intero anno.

Se durante i mesi estivi fosse necessario utilizzare tutta la portata concessa per far fronte agli usi irrigui e, contemporaneamente, Acciaierie d’Italia chiedesse di utilizzare tutta la portata disponibile a fini industriali, il prelievo totale dal Tara, considerando  i 1000 litri al secondo da destinare al dissalatore, eccederebbe complessivamente i 2mila litri al secondosuperando così in maniera molto rilevante, ben il 33%, il prelievo di portata sino a 1500 litri al secondo cui si riferisce il giudizio di idoneità del sistema Tara asserito dallo studio del CNR-IRSA che accompagna il progetto. 

Un motivo in più, riteniamo, per giudicare il progetto di dissalatore sul Tara una possibile fonte di pericolo per la biodiversità del fiume.

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