Taranto – Particolare attenzione della nostra cultura, in quest’ultima settimana passata, è stata rivolta alla nostra ‘lingua’, che come dice il prof. Vetrò “è per il 65% di origine spartana, per il 34% romana e per l’un per cento legata a quelle 40 lingue di tutte le dominazioni dai pirati mussulmani, arabi, tedeschi, ecc.
Il riferimento è legato a due libri, l’uno presentato presso la bibilioteca Acclavio, contenitore oramai acclarato agli abitudinari della cultura tarantina, il 18 maggio scorso, con la presenza di due giornalisti, Tiziana Grassi e Matteo Schinaia. Autrice Anna Vozza col suo libro; “Ve cònde nu cùnde” un libro di memorie, di suggestioni, di storia tarantina in dialetto tarantino.
Una cultura stratificata, come negli ipogei della città vecchia. Anna Vozza con le sue declamazione porta a spasso i due giornalisti che si confrontano con la biografia popolare che diventa da personale collettiva.
L’altro libro di grande spessore è quello di Enrico Vetrò, “50 sfumature di tarantinità” presentato il 30 maggio us presso la sala Cisl “Paolo VI” in via Regina Elena. Il libro di Vetrò è una traduzione nella parlata ‘cataldiana’ di 25 classici di tutti i tempi.
Siamo in quel terreno che ci è consono di difesa della tarantinità, del senso di comunità, perchè la parlata di Taranto è unica forma linguistica specifica utilizzata in una piccolta area geografica. Già uscendo da Taranto i lemmi svaniscono come piume al vento-
Qual’ è l’approccio col dialetto?
Quando se ne parla in modo ambivalente, come linguaggio che stabilisce un senso di comunità locale e che può essere apprezzato come una forma di espressione culturale, ma può anche essere un ostacolo alla comunicazione, specialmente quando si tratta di interazioni con persone che parlano un’altra lingua o che non sono familiari con il dialetto.
Secondo tale impostazione, il dialetto può persono essere considerato un segno di classismo o disprezzo culturale nei confronti di chi non lo parla o lo comprende.
Questo approccio è sbagliato!
Il dialetto, che viene come ricordato da Vetrò viene dal greci Dialecticos e dal latino Dialecticum e vuol dire parlata. Certo può essere incomprensibile, ma se si opera con testo a fronte in italiano, se ci si limita a sentire i suoni come nelle letture della Vozza poetessa, allora si comprende tutto.
Basta porsi in ascolto e sentirete le evoluzioni del tempo, i tramonti mozzafiato, la natura incontaminata, i cieli azzurri della nostra infanzia, è allora diventa tutto più bello, persino magico. La nostra lingua!