Principale Politica L’eccesso d’individualismo e la degenerazione della democrazia

L’eccesso d’individualismo e la degenerazione della democrazia

Nei giorni precedenti il voto regionale (Lombardia e Lazio), si è molto parlato del profilo personale dei candidati governatori e degli equilibri interni alle coalizioni che li sostenevano. Nulla si è invece discusso sui partiti. Ebbene, tra le tante chiavi di lettura possibili del risultato elettorale c’è anche questa: l’importanza dei partiti politici in quanto tali. Non è un caso, forse, che il risultato migliore lo abbiano ottenuto i partiti meno strutturati, quelli affidati al carisma del leader. Tuttavia, sembra, che le leadership non sono sine die ma hanno scadenze sempre più brevi.

Platone, nella Repubblica, si chiedeva chi fossero i governanti perfetti e quale fosse la forma di governo perfetta. Certo non lo era la democrazia. Perché la maggioranza dovrebbe avere ragione sulle decisioni che riguardano il bene comune della polis, quali competenze ha il popolo per decidere, è sufficiente il numero a suo favore per far sì che le decisioni siano giuste? O non potrebbero comunque essere sbagliate a maggioranza?

Certo in questa posizione c’è molto scetticismo aristocratico sulle facoltà intellettuali del demos, il popolo. Ma cos’è il demos se non l’insieme dei lavoratori che nulla sanno del bene, del giusto, del bello, e proprio per la loro subalternità culturale sono i più esposti alla demagogia e alla manipolazione?

Per tutti questi punti deboli la democrazia, secondo Platone, sarebbe sfociata prima o poi nella autocrazia. Nella polis democratica tre gruppi entreranno in inevitabile conflitto: i ricchi, i parassiti della politica (i fuchi), e appunto il demos. Quest’ultimo individuerà presto un suo protettore, un prostates, che inizialmente sarà in grado di guidare il demos, difendendone i bisogni e gli interessi, per poi assumere via via tutti i poteri e diventare tiranno. Il prostates non esiterà a forzare a suo vantaggio il primato raggiunto, arricchendosi, eliminando gli avversari politici, costituendo una sua milizia personale.

Per legittimarsi verso il popolo mostrerà un volto affidabile, ma eliminerà i migliori anche tra i suoi sostenitori e si circonderà di mediocri. Userà i poeti come strumenti di propaganda a suo favore per rabbonire il popolo. Se né il popolo né il tiranno chi insomma ci potrà guidare? Chi dovrà avere la capacità di scorgere ciò che è giusto nella vita pubblica e in quella privata?

Continua Platone – mai le generazioni degli uomini avrebbero potuto liberarsi dai mali, fino a che non fossero giunti ai vertici del potere politico i filosofi veri e schietti, oppure i governanti della città non diventassero, per un destino divino, filosofi?

Invero il pensiero platonico non è stato altrettanto preveggente, almeno per noi italiani. Ciò non toglie che la guida politica, intesa come testimonianza personale di coerenza etica nei comportamenti sia pubblici che privati, dovrebbe essere comunque una prerogativa di quegli uomini che scelgono di rappresentare gli elettori nelle istituzioni (come i filosofi di Platone).

Dunque, per Platone, la democrazia è una delle possibili forme di governo della polis greca. Essa si differenzia dall’aristocrazia, governo dei migliori, dall’oligarchia, governo dei pochi, dalla timocrazia, governo dei forti, e dalla tirannide, governo di un singolo, perché è il governo del popolo in cui ogni individuo è libero.

Quindi, la libertà può sembrare un criterio auspicabile nella scelta del proprio modo di vita o del proprio governo. Ma seguendo il ragionamento di Platone, ma anche di Socrate, appare ben presto che la democrazia rischia di trasformarsi in un’anarchia in cui i governanti sono scelti in modo casuale, o comunque poco oculato, è l’eccesso della libertà, in niente altro sembra convertirsi se non nell’eccesso della servitù, per l’individuo e per lo Stato.

Per gli uomini che scelgono poi di ricoprire cariche istituzionali, cioè pubbliche, non tutto ciò che non è reato è ammissibile. Bisogna considerare che esiste oltre alla legge scritta un’altra legge non sempre scritta che deve essere altrettanto rispettata: l’etica.

La credibilità della persona pubblica, che è chiamata al governo e alla produzione di norme legislative per tutta la collettività, dipende da questa coerenza tra etica e comportamenti. Questa coerenza, come elettori, la dobbiamo pretendere.

È indispensabile ridare un’etica alla politica sia partendo dai comportamenti che dall’abolizione dei privilegi della casta, ben definita da Platone come l’insieme di coloro che: «alla fine non si danno più pensiero né delle leggi scritte né di quelle non scritte, affinché nessuno sia loro padrone in nessun modo».

Se Socrate e Platone preferivano l’aristocrazia, ovvero un governo affidato ai filosofi, considerati migliori in quanto più vicini alla verità, l’opzione appare poco realistica nelle democrazie contemporanee ma rappresenta lo stesso un auspicabile suggerimento.

Pino Presicci – Membro della Scuola Politica “Vivere nella Comunità”. Roma

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