Principale Arte, Cultura & Società Sport & Motori A due mesi circa dalla morte del Siniša

A due mesi circa dalla morte del Siniša

Anno horribilis il 2022 per il calcio italiano e mondiale; abbiamo perso Mario Sconcerti, un grande giornalista e scrittore contemporaneo – la terra ti sia lieve caro Mario – che non piangeremo mai abbastanza; Mino Raiola – il procuratore con la “P” maiuscola – un uomo che ha fatto la storia del calcio italiano e mondiale. Infine, giunti al capo d’anno, Pelé il più grande calciatore di tutti i tempi; Maradona è meglio ‘e Pelé? Una sfida, infinita ed eterna, quella tra due fuoriclasse assoluti, il brasiliano e l’argentino: il Pelusa e O Rei’. Due grandi numeri dieci a confronto, anche se di epoche calcistiche diverse. Adesso, la palla passa al Paradiso. Che Dio faccia la scelta più giusta, decretando il miglior calciatore della storia del calcio mondiale. Non è cominciato sotto i migliori auspici quest’anno, purtroppo; Dolorosa è stata la prematura scomparsa di Gianluca Vialli, ex calciatore e bandiera di Sampdoria e Juventus con la quale ha conquistato una Coppa Campioni; L’ultima per i bianconeri.

Alla lista nera del 2022 dobbiamo aggiungere un altro grande uomo di calcio, il serbo Siniša Mihajlović che, un mese fa, il 16 dicembre 2022 – come un fulmine a ciel sereno – è venuto a mancare a causa di una grave malattia. Soltanto 53 anni per l’ex calciatore di Stella Rossa, Roma, Sampdoria, Lazio, Inter ed ex allenatore di calcio. L’ultima società allenata dal serbo è stata proprio il Bologna; Ironia della sorte, l’avventura da allenatore è iniziata proprio nella città delle Due Torri. Correva la stagione 2008-2009 – Serie A – che si concluderà con la vittoria dell’Inter di Mourinho e una salvezza sofferta per i bolognesi che chiuderanno il campionato quart’ultimi in classifica a soli 3 punti dal Torino. Siniša Mihajlović è chiamato a stagione in corso (novembre) per sostituire Daniele Arrigoni in un Bologna a rischio retrocessione. Viene esonerato pochi mesi più tardi, ad aprile, sostituito da Giuseppe Papadopulo, ma è la prima esperienza da allenatore. Non fa testo, anche perché Siniša è subentrato a stagione in corso. Dopo l’esperienza negativa in Emilia, il serbo ha allenato Catania, Fiorentina, Serbia, Sampdoria, Milan, Torino e Sporting Lisbona con alterne fortune. L’ultima apparizione in Serie A – chiudendo un cerchio invisibile nel quale siamo tutti imprigionati dal pifferaio magico – è stata proprio col Bologna, esonerato il 6 settembre 2022. Licenziamento che ha destato molto scalpore – come è prassi in questo Paese ipocrita e moralista – proprio per l’aggravarsi delle condizioni di salute di Siniša, affetto da leucemia mieloide acuta; Una malattia terribile che combatteva da circa tre anni con grande coraggio, forza, abnegazione e dignità. Circondato dall’amore dei propri cari e di tutti quelli che lo hanno vissuto. Tempo piccolo, ma sufficiente per guadagnarsi sul campo i gradi di grande guerriero. Lascia la moglie Arianna Rapaccioni, sei figli e una dolcissima nipote che avrà il piacere di vivere suo nonno, principalmente, attraverso i racconti, più o meno nitidi, di chi lo ha vissuto e amato veramente: “Un uomo unico, una morte ingiusta: vivrà sempre con noi”. 

A dir poco struggente è stato l’ultimo saluto della famiglia all’ex calciatore di nazionalità serba. Di fronte a una tragedia – così grande – da lasciare senza fiato, tanto da rimanerci soffocati dentro per giorni, mesi o anni, c’è poco da aggiungere; Ogni singola parola potrebbe essere superflua e vuota come lo è la pioggia oltre lo squallore. La morte, in generale, non ha significato e non lo avrà mai. Questa è la cruda verità, siamo solo di passaggio in questo mondo. Con l’addio prematuro di Siniša Mihajlovićpurtroppo, se ne va un altro pezzettino della nostra vita. Qualcosa si è rotto dentro per sempre; Frantumato in piccolissimi pezzi, proprio, come uno specchio rotto da raccogliere, in religioso silenzio, facendo attenzione a non ferirsi data la natura tagliente del vetro. Uomini soli colmi di ricordi appesi a un chiodo traballante sul muro. Le ferite aperte per la morte di Siniša faticheranno a rimarginarsi perché, superata l’età dell’incoscienza, viviamo nel presente – giorno dopo giorno – con la testa rivolta al passato. Il giovane serbo sbarcò in Italia nella stagione 1992-1993, quando fu acquistato dalla Roma dello slavo Vujadin Boskov, altra leggenda del calcio italiano e mondiale. Veniva dalla Stella Rossa di Belgrado, fresco vincitore della Coppa dei Campioni (1991). Resterà per sempre, nella storia del calcio mondiale, l’esultanza gioiosa e spudorata di Siniša con gli occhi irriverenti e sbigottiti, tipici della migliore gioventù, dopo il gol su punizione nel ritorno di Coppa dei Campioni contro i tedeschi del Bayer Monaco. Gol decisivo per andare a giocare la finale contro l’Olympique Marsiglia, poi, vinta ai rigori.

Avevo 16 anni e appresi la notizia dell’ingaggio del forte centrocampista serbo, attraverso le pagine rosa del Gazzetta dello Sport. Erano altri tempi quelli – meno tecnologici, ma decisamente più veri e sinceri – durante, mi nutrivo avidamente dell’inchiostro nero impregnato sulle ruvide pagine dei tre maggiori quotidiani sportivi: La Gazzetta dello Sport, il Corriere e Tutto Sport. Eravamo anime pure dalla lingua biforcuta e i polpastrelli neri come il carbone; Provetti minatori alla ricerca della bomba di mercato. Quell’anno la Roma prese Fausto Salsano dalla Sampdoria; un calciatore tecnico, professionale e molto generoso in campo. Piccolo di statura, veniva dal mare; Centrocampista titolarissimo nella Sampdoria di Vialli e Mancini per oltre un decennio.

In quella Roma giocavano Cervone, Aldair, Carboni, Comi, Nela, Tempestilli, Giuseppe Giannini, Hässler, Canniggia, Carnevale, Muzzi, Rizzitelli e un giovanissimo e, promettentissimo, Francesco Totti.

Infine, c’era lui, Siniša Mihajlović, l’uomo venuto da lontano con quel cognome serbo, Denominazione di Origine Controllata.

I serbi sono dotati di immaginazione, forza fisica, impulsività e molto generosi nell’amicizia. Mihajlović, umanamente e calcisticamente, aveva tutte le qualità del popolo serbo; Un popolo segnato, come pochi altri, dall’imprevedibilità del destino. Siniša è stato, fino alla fine dei suoi giorni, l’uomo del destino; venuto da una terra martoriata da una guerra ingiusta durata più di dieci anni. Perché tutti i conflitti sono iniqui, in tutte le parti del mondo.

«Vi racconto la mia Serbia, prima bombardata e poi abbandonata»

A Roma – sponda giallorossa – verrà ricordato come una meteora. Da calciatore romanista ha suggerito a Boskov l’esordio di un giovanissimo Totti, appena sedicenne.

“Ciao amico mio, mi mancherai (cit. F. Totti)”

Alla Roma, Mihajlović, ha lasciato intravedere, subito, doti da provetto allenatore. Una promessa calcistica non mantenuta per la Roma, ma c’era qualcosa di “magico” in quel calciatore promettente che lo porterà a diventare, prima con la maglia della Lazio e poi con quella dell’Inter, uno dei giocatori più forti e apprezzati della serie A e al mondo. Il clou del repertorio di Mihajlović senza nessun dubbio – erano le punizioni, fondamentale studiato anche dall’Università di Belgrado come amava ricordare, pieno d’orgoglio e fierezza, lo stesso Siniša. Quel fondamentale di gioco è stato sottomesso ai piedi del forte calciatore serbo per circa un decennio. Arte calcistica allo stato puro, un quadro d’autore difficilmente ripetibile.

“Quando tiro calcio do molta forza: la palla sale per poi calare improvvisamente una volta che ho segnato da 65 metri”.

Giocatore tosto, sempre al limite. Non era veloce ma sapeva sempre dove finiva la palla (cit. Dario Hubner). Apprezzato dai colleghi e rispettato dalla stragrande maggioranza dei tifosi, anche rivali. Un uomo che non lo mandava a dire, sincero e diretto; essenziale come un tozzo di pane condito con un filo d’olio extravergine d’oliva e sale q.b.; Artefice del proprio destino, come i grandi uomini. Nella sua vita si è sempre schierato per posizioni nette e recise, a differenza di tanti altri che si vendono per un like.

“Siamo un popolo orgoglioso. Certo tra noi abbiamo sempre litigato, ma siamo tutti serbi. E preferisco combattere per un mio connazionale e difenderlo contro un aggressore esterno. So dei crimini attribuiti a Milosevic, ma nel momento in cui la Serbia viene attaccata, io difendo il mio popolo e chi lo rappresenta”.

Uomo dalle amicizie “speciali” e talvolta scomode; Come quella con Zeljko Raznatović, la tigre di Arkan, capo degli ultrà della Stella Rossa di Belgrado, leader del gruppo paramilitare delle Tigri e criminale di guerra dell’ex Jugoslavia. Alla morte della tigre di Arkan, assassinato brutalmente, Siniša gli dedicò un affettuoso necrologio – si racconta sia stato anche il mandante di uno striscione esposto dalla curva nord laziale inneggiante Raznatović (lui ha sempre negato) – che suscitò molto scalpore nell’opinione pubblica italiana.

«Un eroe per il popolo serbo»

Il 4 marzo del 1999 iniziano i bombardamenti sulle città di Belgrado in Serbia e di Pristina in Kosovo da parte di aerei NATO decollati da aeroporti italiani. Alla fine della guerra saranno più di duemila. Siniša Mihajlović – tesserato della Lazio – dichiara apertamente di essere contrario alla guerra della Nato per fermare il massacro in Kosovo. Anche sul rettangolo verde, diverse sono le dimostrazioni di dissenso del forte calciatore serbo. Un uomo coerente con se stesso, che non dimentica il suo popolo sofferente.

Difensore centrale, mediano, terzino, centrocampista sinistro, allenatore, padre premuroso, nonno incompiuto, figlio, marito finché morte non ci separi, calciatore, vittima, guerriero, uomo e un’altra – l’ennesima – tessera di un puzzle invisibile che alla fine – nonostante le buone intenzioni – sarà sempre più vuoto e incompleto nella vita di ciascuno di noi. L’eternità è il nostro presente, la nostalgia è il futuro o molto più saggiamente – come ricordato da sua moglie Arianna – sei appena passato dall’altra parte: è come se ti stessi nascondendo nella stanza accanto. A presto, Guerriero, Sit tibi terra levis,

Donato C.

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