Sono circa 2400 i residenti che vivono all’interno di un complesso che è diventato un esempio emblematico di come la tecnologia digitale possa permeare ogni aspetto della vita quotidiana. In questa comunità – oramai “ingabbiata” – l’ingresso, mediante porta, nelle proprie abitazioni e la fruizione di tutti i servizi offerti dalle consuete case “domotizzate” sono gestiti esclusivamente attraverso un’applicazione mobile.
Senza questa app l’accesso ai propri appartamenti è, di fatto, negato. Ma non è tutto, perché questa stessa app regola anche le comodità al di fuori delle quattro mura domestiche, come l’apertura dei cancelli e garage, l’accesso alla palestra, al parco e a tutte le altre strutture condominiali.
Il prezzo del progresso che conviene. Ma a chi???
Motore alla base di questa repentina trasformazione è, come sempre, quella malsana concezione di progresso e convenienza. La casa oggi diventa “intelligente”, rispondendo a ogni comando vocale o gesto, anticipando le esigenze e monitorando costantemente ogni angolo della nostra vita domestica, anche mentre siamo fuori casa.
Tanta comodità, però, ha un prezzo che va ben oltre quello pagabile col denaro. L’accesso a tutte queste funzioni, infatti, è subordinato all’accettazione delle condizioni d’uso e della politica sulla privacy dell’app. In sostanza, per usufruire dei comfort di una “casa intelligente” è letteralmente obbligatorio rinunciare alla propria riservatezza: questo perché i permessi da concedere all’app le permettono di accedere ad ogni telefono in maniera completa, prelevando dati sulla posizione dal GPS e persino audio dal microfono. Ciò significa che 24 ore al giorno e 7 giorni su 7, l’applicazione saprà sempre dove siamo, con chi e persino di cosa stiamo parlando. E tutto ciò è ancor più preoccupante, dato che l’app è sotto la responsabilità e il controllo di una grossa azienda americana, il che suscita timori di una possibile sorveglianza da parte di una multinazionale d’oltreoceano.
Sedotti e bidonati: la gabbia del digitale
Per tutti coloro che stessero pensando di rifiutare l’utilizzo dell’applicativo o di accettare queste condizioni, l’avvertimento è molto chiaro: non saranno più in grado di accedere alle proprie abitazioni. “Ci hanno detto che da una determinata data la chiave elettronica di cui eravamo in possesso non avrebbe più funzionato e che le nuove chiavi sarebbero state date unicamente ai residenti registrati su questa applicazione. Io pago un affitto in Europa e tutte queste informazioni vengono trasferite fuori dal mio Paese”, ha affermato un povero residente di questi quartieri.
Questa condizione ha suscitato, insomma, una forte frustrazione, non solo tra i residenti (molti dei quali sono stati “costretti”, alla fine, a cedere la loro privacy per poter semplicemente entrare e vivere nella propria abitazione). Anche perché la trasformazione radicale del quartiere è avvenuta dopo che le famiglie avevano già acquistato le dimore: il che le ha viste passare dalle rate di un eventuale mutuo a quelle del prezzo della digitalizzazione e subire passivamente una letterale rivoluzione delle proprie vite quotidiane, facendo pagare loro un costo molto più alto in termini di riservatezza personale.
Fonti online:
ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Arianna Graziato del 31 ottobre 2022), Il Sole 24 Ore, Liceo Federico Quercia (scritto di Anita Allegretta sul concetto di progresso nel mondo antico), Wikipedia, sito del GPDP (Garante per la Protezione dei Dati personali).
Canali YouTube: Smart Dublin, Garante per la protezione dei dati personali.
Antonio Quarta
Redazione Corriere di Puglia e Lucania