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Cassano delle Murge tra il XVII e il XVIII secolo: Le vie del rame

Tra gli abitanti di Cassano delle Murge, durante il XVII secolo, grande importanza ha la figura del “ramaro”, ovvero l’artigiano impegnato nella produzione, riparazione e vendita di oggetti in rame.

Tuttavia, per capire il perché la presenza di tali artigiani fosse così rinomata, e perché essi fossero inizialmente tutti calabresi, occorre fare un salto indietro nel tempo.

Nel 1598 il principe Andrea Matteo Acquaviva vendette per 35.000 ducati il feudo di Cassano a Vito Maria Scaragio, dottore di Bitonto; questo feudo poi passò alla famiglia de Curtis.

Il titolo di Principe di Cassano, a cui probabilmente si deve il nome del Palazzo sito in Piazza Aldo Moro, pervenne per successione in casa Ayerbo d’Aragona a seguito del matrimonio celebrato nel 1609 tra Gaspare Ayerbo d’Aragona, marchese di Grotteria e Locri (RC), e Girolama de Curtis, principessa di Cassano.

A seguito di certe rivolte popolari, Gaspare Ayerba d’Aragona trapiantò proprio a Cassano, nel 1648, una nutrita schiera di uomini a lui fedeli provenienti dalle sue terre d’origine; tutti dediti alla lavorazione del rame, essi si sistemarono presto nel paese, abitando la zona circostante la chiesa di Santo Stefano, sino alla chiesa Madonna dei Martiri, dando, così, il nome alla porta che venne aperta nelle mura cittadine nel 1725: “Porta Calabrese”.

Tale mestiere viene documentato anche in “Statistica del Regno di Napoli nel 1811”, nel quale è dichiarato quanto segue:

Ad Andria, Molfetta, Cassano, Altamura ed altri pochi luoghi della provincia si lavora il rame per i vari usi a quali si destina; ma non si fonde che nel solo Cassano.”

Tale affermazione rende comprensibile quanto i ramari siano stati importante per l’economia locale, tanto da rappresentare, secondo i dati catastali del 1752, un terzo dei pochi artigiani presenti nel comune di Cassano delle Murge.

Sempre dagli studi del catasto onciario del 1752, inoltre, si evince che a Cassano sono presenti ben ventiquattro ramari, tutti capi-famiglia, più altre nove persone che svolgono lo stesso mestiere.

Presenti in ogni classe sociale, versavano, perlopiù, in una buona condizione economica, tant’è che Michelangelo Ruffo, il ramaro del posto con il reddito più alto, viene segnato nei registri come il quinto cittadino a pagare le tasse più alte sui suoi possedimenti; questo risulta segnato solo dopo un nobile e tre esponenti del clero.

Emerge dai dati contenuti nei registri, che ogni ramaro possedeva la casa in cui abitava oltre la propria bottega, a cui si aggiungevano diversi altri immobili e appezzamenti di terra spesso dati in dote alle proprie figlie in occasione del matrimonio il quale era, solitamente, vincolato perlopiù al connotato economico che sentimentale.

Del ramaro è nota la regola di tramandare il mestiere al figlio, di solito prediligendo il primogenito. Quando non vi era un figlio a cui far dono dei segreti del mestiere e ciò che ne derivava, di solito l’attività veniva “rilevata” dal marito della figlia maggiore, ramaro anch’esso.

A distanza di tre secoli, molti cognomi di queste famiglie si sono indubbiamente estinti; altri son ben noti e presenti nei registri anagrafici cassanesi odierni; tra questi si annoverano: Viapiano, Lionetti, Napolitano, Rizzi e Marsico.

Tale attività, nel corso degli anni, divenne tipica del paese di Cassano delle Murge tanto da rappresentare, da sola, il fattore trainante dell’economia per i due secoli successivi.

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