Principale Arte, Cultura & Società La finestra che non mente, fra ex Ilva e Cimitero

La finestra che non mente, fra ex Ilva e Cimitero

di Rosaria Scialpi

La finestra non mente e lascia entrare la realtà nella mia casa dei ricordi.

Ed io ricordo benissimo i primi temi e la traccia che imponeva a noi, piccoli e ingenui scolari, di descrivere ciò che vedevamo dalla finestra con forte aderenza al vero, al tangibile che si staglia con violenza nella fantasia vorticosa dell’infanzia. Io, dalla mia di finestra, non vedevo altro che quella maledetta fabbrica, i suoi fumi e il cimitero. Che bizzarre coincidenze! Da un lato il pane al veleno e dall’altro l’eterno riposo, imprescindibilmente connessi, come sempre in questa terra di nessuno. Erano gli anni delle prime proteste e delle prime prese di coscienza. Lo slogan imperante dei primi anni Duemila recitava: <<Ti svegli la mattina/Respirando la diossina!>>.

Quella diossina che si insinuava nelle narici, nelle ossa, nel sangue e persino nelle pagine. Pagine che restituivano il ritratto di una realtà fuligginosa, intrecciata a cammini di rosso ruggine che ci facevano apparire e sentire arrugginiti già alle elementari. Insomma, leggere di Coketown in Dickens e affacciarsi a quella finestra catapulta in realtà estremamente simili.

La bellezza appariva irraggiungibile e impenetrabile da una finestra in cui la diossina mortifera e le emissioni odorigine della raffineria avevano la meglio anche sull’intenso profumo del ragù domenicale. Ma la mia finestra sulla realtà, non solo quella fisica della mia camera, mi restituisce, oggi, volti di bambini-zombie, all’epoca miei coetanei, che, improvvisamente, mostravano un capo sguarnito di capelli; mentre gli altri indossavano tatuaggi-trasferelli, loro, su quelle piccole e smunte braccia, mostravano le cannule.

Abito in questo quartiere dal giorno della mia nascita, avvenuta nel maggio di ventisei anni fa. Da più di sedici anni, dalla finestra di casa mia, continuo a vedere quel solito cimitero e quelle solite ciminiere. Il quartiere, intanto, si spopola. Chi rimane, spesso, combatte inconsapevole una battaglia quotidiana con la morte, seduta alla sua stessa tavola, alla sua <<parca mensa>> da operaio.

Questo quartiere ha ormai il volto segnato dalle scomparse precoci, dagli abbandoni improvvisi che erano una “arrivederci” e sono diventati un “addio”. Non sono pochi gli studenti della De Carolis, che ai miei tempi era l’unica scuola media del quartiere, ad essere entrati in quella fabbrica e a non esserne usciti più. Giovani, giovanissimi, frequentemente già genitori. E di tanti altri, nelle interviste, ho raccolto il grido di rabbia, soffocato, oggi, dalla terra del San Brunone.

Nel frattempo, la tanto osannata “umiltà del popolo” ha lasciato il posto alla delinquenza, figlia della noncuranza e dell’abbandono delle istituzioni.

Allora, come si può chiedere a un bambino o a una bambina di descrivere minuziosamente ciò che vede dalla finestra? Non è forse una piccola crudele ferita inferta sulla pelle di chi, ogni giorno, cerca di scorgere, con la fantasia, i fumi di un drago magico al posto di quelli offensivi delle ciminiere?

In luoghi come questi, in cui la bellezza non è percepibile e non è nemmeno avvicinabile, la fantasia è l’unica ancora di salvezza. Verrà, poi, il tempo della consapevolezza, della rabbia simile a quella dei Gallagher sul palco e della capacità di perdono di Miyazaki che invia una katana a Weinstain. Ma, almeno da piccoli, lasciateli sognare. Lasciate loro credere che quel drago ci sia davvero e che quelle collinette della scarogna siano il ritrovo delle Janare.

Lasciate che si avvicinino alla realtà maligna e allo spietato gioco del profitto gradualmente, il che non significa farli vivere nella menzogna e nella negazione del contingente storico-sociale, ma di non imporre le brutture in un mondo di sospensioni immaginifiche, perché i bambini, contrariamente a quanto si creda, non sono così ingenui da non vederle e trarre conclusioni autonomamente.

Permettete, però, loro di incanalare nel proprio animo il bello. Forse così, un giorno, il cielo sarà davvero sgombro dalle nubi rossastre che hanno dominato le notti della mia infanzia.

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