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La guerra del grano può scatenare conflitti e colpi di stato in Africa

Appello del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a riprendere l’export di frumento dai porti ucraini. I prezzi sono tornati ai livelli di due mesi fa, ma non bisogna farsi illusioni.

© EDUARDO SOTERAS / AFP

– I prezzi del grano minacciano la stabilità dell’Africa

AGI – La guerra del grano minaccia la stabilità dell’Africa e il grande continente affamato potrebbe scivolare un una spirale di conflitti e colpi di stato. Il monito è Luigi Di Maio, secondo cui la carenza di pane finirà per alimentare il rischio di terrorismo.

Il ministro degli Esteri assicura l’impegno del governo riguardo il costo delle materie prime, in particolare del grano. “Ci sono 30 milioni di tonnellate di grano bloccate nei porti ucraini dalle navi da guerra russe – dice – quello che noi stiamo facendo è lavorare affinché la Russia sblocchi l’export di grano nei porti ucraini, perché senza quel grano rischiamo che scoppino nuove guerre in Africa. Rischiamo instabilità politica, la proliferazione di organizzazioni terroristiche e colpi di stato”.

Martedì ci sarà una prima sessione di dialogo con i Paesi del Mediterraneo sulla sicurezza alimentare. “Lavoreremo con tutti i partner insieme alla Germania, alla Turchia, alla Francia e tanti altri per arrivare all’obiettivo di sbloccare le quantità di grano che devono uscire dall’Ucraina”.

Il prezzo del grano torna alla normalità…

Coldiretti sottolinea come i prezzi mondiali del grano sono tornati sugli stessi livelli di due mesi fa dopo il via libera del presidente russo Putin all’utilizzo dei porti occupati per le esportazioni anche per i raccolti ucraini. Alla chiusura settimanale del Chicago Board of trade dove il grano sul mercato future è stato quotato 10,4 dollari per bushel (27,2 chili) e con una riduzione del 10% in tre giorni è tornato sui valori di inizio di aprile.

In calo anche le quotazioni del mais destinato all’alimentazione animale che scende a 7,27 dollari per bushel per effetto del calo del 6,4% nei 3 giorni. La partenza delle navi dai porti del mar Nero significa lo svuotamento dei magazzini Ucraini dove si stima la presenza di oltre 20 milioni di tonnellate di cereali tra grano, orzo e mais destinati alle esportazioni sia in Paesi ricchi che in quelli più poveri dove il blocco rischia di provocare rivolte e carestie.

Paesi come Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran che acquistano più del 60% del proprio grano da Russia e Ucraina ma  anche Libano, Tunisia Yemen, e Libia e Pakistan sono fortemente dipendenti dalle forniture di Russia e Ucraina. Una necessità “per lasciare spazio nei magazzini per accogliere i nuovi raccolti in arrivo tra poche settimane per un quantitativo di grano stimato di 19,4 milioni di tonnellate, circa il 40% in meno rispetto ai 33 milioni di tonnellate previsti per questa stagione, che collocano comunque l’Ucraina al sesto posto tra gli esportatori mondiali di grano”.

…ma non bisogna farsi illusioni

L’andamento delle quotazioni “non significa in realtà – precisa Coldiretti – il superamento delle difficoltà, ma piuttosto l’accresciuto interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che ha approfittato degli alti valori raggiunti per realizzare profitti. Le speculazioni si spostano dai mercati finanziari in difficoltà ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati ‘future’ uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto”.

Per Coldiretti “l’emergenza mondiale colpisce l’Italia che è un Paese deficitario e importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame”.

In particolare, l’Italia ha acquistato dall’Ucraina “122 milioni di chili di grano tenero per la panificazione ma anche 785 milioni di chili di mais” secondo l’analisi su dati Istat relativi al 2021.

“L’Italia – afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – è costretta a importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati”.

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