Principale Arte, Cultura & Società Mont’ e Prama tra archeologia e responsabilità collettiva

Mont’ e Prama tra archeologia e responsabilità collettiva

Mont’ e Prama tra archeologia e responsabilità collettiva
di Claudia Babudri

Statue di guerrieri, modelli di nuraghi, bétili .
Il patrimonio culturale di una regione si evidenzia nel panorama culturale italiano, portando con sé spunti di riflessione e il peso della sua responsabilità.

Sinis di Cabras, Sardegna nord – occidentale.
La storia degli scavi di Mont’e Prama inizia nel novembre del 1977, per caso.
Anche se inizialmente con scarsi finanziamenti, la ricerca portò all’apertura di due saggi, prossimi tra loro ma non adiacenti. Dalla terra emerse la parte superiore di un torso, rotto in tre parti per l’impatto su una lastra squadrata in pietra chiara. Vennero trovate altre lastre, frammenti di statue, e i resti di lastrine usate come recinzione. Successivamente, altre indagini, maggiormente finanziate, furono organizzate nel 1979. Durarono tre mesi: furono scoperti altri resti di nuraghi e una necropoli di epoca punica e romana unita a ceramica coeva, suppellettili e una collana con uno scaraboide. Oggi, Mont’e Prama torna a regalarci pezzi della sua storia. Una nuova campagna di scavo è stata avviata il 4 aprile sotto la direzione dell’archeologo Alessandro Usai, dal 2014 responsabile scientifico dello scavo. Dalla terra sono emerse due nuove statue, dal particolarissimo scudo incurvato “simile a quello del bronzetto nuragico trovato a Cavalupo (Vulci), al museo etrusco di Villa Giulia” (Usai).

Nuovi guerrieri si uniscono all’esercito di statue ritrovate in precedenza, tornando alla luce dopo secoli. Per il Corriere di Puglia e Lucania ho avuto il piacere di intervistare Alessandro Usai, funzionario archeologo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio  di Cagliari , responsabile scientifico degli scavi.

Mont’e Prama torna a stupirci. Cosa rappresentano per la storia della sua terra e, per quella d’Italia, queste scoperte? Cosa significano per lei?

Da archeologo ragiono in modo professionale, ben conoscendo lo sfondo culturale in cui mi muovo. Dal punto di vista professionale sono portato a dare valore soprattutto alla conferma del metodo di ricerca, molto più che alla scoperta in se stessa: sono arrivato a questo punto percorrendo tappe ben programmate su una chiara linea tracciata sul terreno dalle esperienze precedenti, dai rinvenimenti e non-rinvenimenti, altrettanto importanti in quanto fonte di informazione. Inoltre, mi pongo davanti la responsabilità della gestione delle scoperte: recuperare i reperti dal terreno e portarli in un luogo sicuro, avviare programmi di restauro a breve, media e lunga scadenza; studiare, pubblicare e presentare tutti i dati e le interpretazioni; preparare l’esposizione per la pubblica fruizione. Un lavoro impegnativo: sarebbe più comodo non scoprire nulla e non procurarsi problemi per la vita presente e futura.  Ma fare scoperte è importante non solo per ammirare le bellezze e grandezze antiche, ma anche per agli altri, per la gente. Da sardo, penso soprattutto che ogni nuova scoperta crea un problema di “digestione culturale” nei miei concittadini, amanti del loro passato anche se poco informati. Bisogna riuscire a capire che il passato non è un vanto, ma una responsabilità, di cui ciascuno dovrebbe farsi carico, non solo l’archeologo.

In relazione alle testimonianze archeologiche e agli studi antropologici su Mont’e Prama, cosa può dirci degli antichi abitanti del sito? Che tipo di società dobbiamo immaginare?

Mont’e Prama  è testimonianza eccezionale delle ultime fasi della civiltà nuragica. Il suo complesso è unico, ma si inserisce in un quadro molto ricco, anzi ricchissimo. Il sito getta luce su questo periodo nuragico terminale nella zona del rinvenimento, il Sinis. Ma è anche tutta la conoscenza sul periodo nuragico che dà significato a Mont’e Prama…altrimenti sarebbe ancora come un’astronave venuta da Marte, come era negli anni ’70. Le tombe di Mont’e Prama ci dicono molto antropologicamente: chi erano, cosa facevano e come vivevano gli abitanti del sito. I maschi (presenti in modo quasi esclusivo) erano in buono stato di salute, con problemi ovvi nel mondo antico, molto atletici, talvolta anche logorati da esercizi fisici, e da lavori, molto intensi. La società era ben organizzata, ma non urbana. La necropoli è composta da segmenti ordinati lungo una strada, all’ombra dei colli su cui stanno a vigilare gli insediamenti e gli antichi nuraghi eretti nei secoli precedenti. Secondo gli studi litologici, la pietra delle sculture viene da cave distanti circa 16 km in linea d’aria (da Santa Caterina di Pittinuri-Cuglieri). Oltre alla capacità di trasporto, questo significa ottimi rapporti con la gente che deteneva quelle cave, oppure forse anche un’espansione verso quei luoghi o un’unificazione con i suoi abitanti.

In base ai ritrovamenti di pozzetti e di materiale litico di scarto, si ritiene possibile la creazione dei torsi in loco. A cosa è legata questa prassi?

I pozzetti sono le tombe: stranissime tombe a forma di cilindro, scavate nel terreno o anche in parte costruite, a deposizione individuale accovacciata e contratta. Dentro alcune tombe sono stati rinvenuti piccoli frammenti delle sculture, che hanno dato adito a discussioni: è possibile che al momento della sepoltura le sculture fossero già distrutte? Oppure è normale che nell’aprire e chiudere le tombe, nello stesso periodo in cui si scolpivano le statue, qualche pezzo si rompesse? Io propendo per la seconda ipotesi. In altri casi è più facile decidere: i frammenti che stanno sopra le tombe sono chiaramente connessi, se non proprio alla distruzione, almeno alla frammentazione e all’ammucchiamento dei frammenti. Invece le scaglie informi, trovate sotto le lastre delle tombe, potrebbero essere connesse alla lavorazione. I blocchi venivano da lontano e potevano danneggiarsi durante il trasporto; la pietra era adatta alla lavorazione ma molto fragile. L’unica possibilità è che la lavorazione avvenisse a destinazione, cioè nella stessa necropoli di Mont’e Prama.

Statua di pugilatore “tipo Cavalupo”

La penisola del Sinis, così come il golfo di Oristano, fu importante centro commerciale tra età del bronzo e del ferro. Oltre alla lavorazione della pietra, quali altre attività sono state riscontrate in loco? 

Per l’età nuragica non sappiamo moltissimo. Gli indizi fanno intravedere qualcosa di importante, ma la lista delle prove è scarna. Nella zona del villaggio nuragico di Su Murru Mannu, sul quale nei secoli successivi si sviluppò la città punico-romana di Tharros, è stato trovato un frammento miceneo dell’età del bronzo e poi alcuni frammenti ciprioti del’inizio dell’età del ferro. A Mont’e Prama è stata rinvenuta una fibula, cioè una sorta di spilla di sicurezza, prodotta nella penisola. Le fibule erano oggetti esotici, anche e soprattutto perché dovevano unirsi a vesti esotiche, con tessuti e colori diversi da quelli locali. Sempre a  Mont’e Prama è stato trovato uno scarabeo (o per meglio dire un sigillo scaraboide) di produzione egiziana o levantina. Quindi, i contatti sono attestati ma ancora in modo insufficiente. Quanto alle lavorazioni, la necropoli non è il posto migliore per indagare questo aspetto: sarebbe meglio indagare gli insediamenti sui quali abbiamo un quadro generale delle lavorazioni nuragiche circa l’intera Sardegna.

Il bronzetto di Cavalupo che da il nome ai pugilatori della necropoli meridionale di Mont’e Prama

Quali collegamenti storici e archeologici possiamo individuare tra i vari siti indagati nella penisola?

Mont’e Prama è inserita in un territorio geografico ma, soprattutto, relazionale. Con tutta evidenza si connette con il sistema insediativo nuragico che copre a tappeto la parte meridionale della penisola (attuale territorio di Cabras), ma si trova alla periferia del sistema e si proietta verso una zona centrale di rarefazione (attuale territorio di Riola Sardo) oltre la quale è ubicato il sistema territoriale del Sinis settentrionale (San Vero Milis). Ancora più a Nord ci sono i sistemi del Montiferru meridionale (Narbolia e Santa Caterina con le cave). È una rete insediativa, quindi economica e politica, fittissima e in massima parte inesplorata. Le relazioni potevano essere di condivisione e collaborazione, ma anche rivalità e scontro. È un mondo complesso, vario e mutevole. Anche questo è affascinante ed anche questo merita conoscenza e rispetto, anche se non riserva scoperte che finiscano sulle prime pagine dei giornali nazionali e internazionali.

Dal punto di vista tecnico, come sono state condotte le ricerche archeologiche? Quali metodologie sono state utilizzate ai fini della scoperta e della ricerca?

Come spesso accade, la prima scoperta del 1974 fu casuale. Le ricerche degli anni 1957-79 furono condotte al meglio delle possibilità di allora, ovvero in modo artigianale. Con la ripresa degli scavi nel 2014 molte cose sono cambiate, non necessariamente in meglio. In particolare c’è moltissima enfasi sulle indagini geofisiche, sull’ormai famoso georadar a 16 canali. Tuttavia il geofisico si è assunto unilateralmente il compito dell’interpretazione archeologica e questo ha prodotto guasti molto gravi. Per quanto mi riguarda, io non rifiuto la geofisica, ma le conferme o smentite arrivano solo con lo scavo archeologico. Ho riscontrato che spesso non c’è corrispondenza tra “anomalie geofisiche” e realtà archeologica: molte anomalie non hanno riscontro archeologico e molte presenze archeologiche accertate non erano state rilevate come “anomalie geofisiche”. Io preferisco seguire le tracce archeologiche, che sono ben evidenti: le esamino, le indago, seguo le linee che il sito stesso mi offre, allargo e verifico. Se le cose ci sono, vengono fuori, se non vengono fuori, vuol dire che non ci sono. Finora il metodo ha funzionato egregiamente e di questo sono molto soddisfatto. In conclusione, il complesso di Mont’e Prama è sostanzialmente lineare, cioè allineato ad un’antica strada, con almeno due nuclei distinti a breve distanza ad ovest, non connessi con sculture. Infine, stiamo applicando metodologie all’avanguardia nello scavo delle tombe e soprattutto negli studi antropologici che verranno dopo lo scavo.

Vista verticale del settore di scavo in corso con i due busti (i due massi più grandi) dei pugilatori

 Quali nuove informazioni è stato possibile desumere dalle ultime ricerche?

Le ultime ricerche sono appena iniziate. Stiamo lavorando con un cantiere di importo piuttosto basso, al quale seguirà tra poco un altro cantiere d’importo molto più alto e di maggiore respiro col quale completeremo l’indagine del settore iniziato e lo amplieremo ulteriormente. Le informazioni acquisite sono soprattutto conferme, non meno importanti delle novità. Si conferma che il settore Sud della necropoli, iniziato a scavare nel 2014 e poi nel 2016-17, è molto ricco di sculture, si conferma che le sculture del settore sud hanno delle caratteristiche particolari che le differenziano da quelle del settore centrale scavato negli anni 1975-79,  si conferma che le sculture giacciono in stato più o meno frammentario lungo la strada funeraria, accanto alle tombe e sopra di esse, senza estendersi né ad Est né ad Ovest,  si conferma che le sculture sono strettamente connesse alle tombe strutturate dell’ultima fase (o delle ultime fasi) della necropoli nell’ambito della Prima Età del Ferro (nono e soprattutto ottavo secolo a.C., cioè intorno all’800-750 a.C.). Non mi esalto e non ci esaltiamo, ma non restiamo insensibili al fascino delle pietre che prendono forma sotto i nostri occhi. A parte i titoli mirabolanti, le esagerazioni e gli svarioni grossolani di certa stampa e di certi commenti, credo che tutti possano partecipare di questa legittima e misurata soddisfazione.

Testa di pugilatore

Per quanto riguarda il complesso scultoreo dei “giganti”, l’archeologia ne ha precisato la natura di guerrieri, arcieri e pugilatori. Si tratta di una élite venerata in loco?

Non mi piace il termine “giganti” e non lo uso. Da sardo, sono affezionato alla cultura popolare della mia regione che da millenni favoleggia di giganti che costruivano i nuraghi, sepolti nelle loro grandi tombe megalitiche. Si tratta di miti affondati nei tempi più remoti ed oscuri, che ben rendono l’ammirazione popolare per i grandi monumenti propriamente nuragici e propriamente “ciclopici”. Mont’e Prama è un complesso nuragico, ma della fase terminale, quando i nuraghi erano già antichi, direi quasi archeologici, ed erano essi stessi oggetto di ammirazione, richiamo identitario e perfino culto. Inoltre il termine improprio, pompato da certa stampa e dagli ambienti del marketing, si riferisce solo alle statue e ignora gli altri gruppi che compongono l’insieme delle sculture: i “modelli di nuraghi” (cioè le rappresentazioni stilizzate e idealizzate degli antichi monumenti, proprio con funzione di simbolo identitario) e i bétili (cioè le riproduzioni delle pietre sacre troncoconiche delle antiche tombe dello stesso tempo dei nuraghi, alludenti al culto degli antenati). Quindi le statue rappresentano i contemporanei, i maschi vestiti e armati di tutto punto e i giovani protagonisti di giochi di abilità e coraggio, con scopo autocelebrativo anche in virtù del legame col passato eroico rappresentato dai modelli dei nuraghi e dai bétili. I discendenti degli eroi si presentano quindi anch’essi come eroi, o vogliono crederlo e farlo credere. Il culto degli antenati si connette al culto dei contemporanei. Ma non possiamo andare oltre. Non sappiamo se i defunti sepolti a Mont’e Prama fossero o meno un’élite e tanto meno se fossero venerati come tali.

Testa (a destra) e gamba (a sinistra) del pugilatore

Se, come ha affermato lei, la ricerca del passato è una psicanalisi individuale e collettiva, quale contributo apportano questi guerrieri di pietra alla Sardegna di oggi? Che relazione possiamo tracciare tra la modernità e l’antichità?

Vedo che avete citato un mio piccolo scritto al quale tengo molto perché gli ho affidato il mio messaggio al popolo sardo. Molte cose le ho già dette. Io vorrei che queste statue di pietra e i fantastici modelli dei nuraghi, scolpiti negli ultimi tempi della civiltà nuragica, insegnassero ai sardi a far la pace con la storia, ad uscire dal pendolo vizioso dell’esaltazione e della frustrazione, quindi della recriminazione e rivendicazione. Vorrei che i sardi accettassero serenamente le luci e le ombre della loro storia, smettessero di rivendicare un posto migliore nel mondo di oggi solo perché “allora NOI eravamo i migliori del mondo”. Vorrei che questi frammenti di pietra, o meglio i racconti che ne ricavano gli studiosi, diventassero veramente patrimonio culturale e non solo ami per pescare turisti.

La storia e il passato intese come lezione morale e responsabilità per un popolo e la società a cui fa parte. Il passato, non mera attrazione turistica, che ritorna, pulsante e vivo nelle radici antiche di una terra che, come quei guerrieri di pietra, deve custodire, proteggere e valorizzare con coscienza e serietà il suo patrimonio culturale per   renderlo immortale nel tempo. Perché la storia, siamo noi.

Redazione Corriere di Puglia e Lucania 

Corriere Nazionale

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