Principale Arte, Cultura & Società Cinque oggetti tradizionali della Russia che in realtà non hanno origini russe

Cinque oggetti tradizionali della Russia che in realtà non hanno origini russe

Russia Beyond (Legion Media, pavloposadskie-platki.ru)

Lo sapevate che i primi stivali di feltro sono stati trovati in un antico cimitero iraniano? E che sono apparsi in Russia solo alla fine del XVIII secolo? Ecco la curiosa origine di alcuni simboli del Paese più grande del mondo

1 / Valenki

Qualcosa di molto simile ai valenki russi, i tipici stivali di feltro, veniva indossata in passato dagli abitanti dei monti Altaj. Gli scienziati se ne sono accorti una trentina di anni fa, durante gli scavi sull’altopiano Ukok, sugli Altaj: sono emersi dai ghiacci i luoghi di sepoltura delle tribù iraniane che vivevano in questi luoghi tra il IV-III secolo a.C.

Il feltro era un materiale molto utilizzato da tutti i popoli dell’Asia centrale, soprattutto dalle tribù turche e mongole. Veniva usato per fare vestiti, tappeti, custodie per le frecce, gioielli e scarpe. Nell’antica Russia le scarpe erano fatte di cuoio, corteccia e pelliccia; a quanto pare il feltro è stato introdotto tra i russi solo con l’invasione mongolo-tatara del XIII secolo. Ciò tuttavia non fu sufficiente per far diventare i valenki un prodotto di “massa”: venivano indossati solo dalle persone più benestanti.

I valenki “alla russa” sono apparsi alla fine del XVIII secolo, quando i Vecchi Credenti della provincia di Nizhnij Novgorod inventarono una tecnica per assemblare il feltro senza cuciture. Con l’introduzione delle tecniche industriali, la produzione di queste calzature si fece più economica. I valenki sono stati associali alla Russia solo dopo la “Grande Esposizione dei prodotti dell’industria di tutte le nazioni” avvenuta a Londra nel 1851. Dopo di che, i valenki sono stati mostrati alle esposizioni mondiali di Vienna (1873), Chicago (1893) e Parigi (1900).

2 / Kokoshnik 

Il simbolo del costume tradizionale russo ha tre presunte “patrie”. Secondo una teoria, il kokoshnik è arrivato in Russia da Bisanzio. Durante la contaminazione religiosa e culturale di quel periodo: le figlie dei principi russi si sarebbero innamorate del diadema bizantino; una descrizione di questo copricapo è stata infatti rinvenuta dagli storici nelle cronache di Novgorod del X e XI secolo.

Secondo altre teorie, i kokoshnik sarebbero stati indossati dai popoli mongoli e mordoviani ben prima dei russi.

Al di là delle sue origini, questo copricapo ha preso piede molto rapidamente in Russia. E ciò è dovuto al rapporto molto particolare che i russi avevano nei confronti dei capelli: nella mitologia slava, i capelli sciolti delle donne non erano ben visti e non era ammissibile che una ragazza stesse con i capelli in disordine. Per questo il kokoshkin divenne in breve molto popolare tra le donne di tutte le classi sociali.

Fu gradualmente abbandonato durante l’epoca di Pietro I, quando la nobiltà fu costretta a indossare abiti europei, così come prevedeva l’editto emanato dallo zar del 1701; tuttavia, il kokoshnik rimase nel guardaroba di mercanti, borghesi e contadini.

3 / Gzhel

La famosa porcellana bianca e blu di Gzhel è apparsa per la prima volta in Russia con Pietro I e sembra che abbia origini olandesi.

Il villaggio Gzhel, vicino a Mosca, era un fiorente centro per la produzione della ceramica; durante l’epoca petrina, qui venivano realizzati dei prodotti con decorazioni brillanti e dalle tinte ocra, smeraldo e marrone; la maggior parte dei dipinti raffiguravano scene di vita quotidiana, nello stile dei “lubok” (stampe popolari). Ma i colori del blu sulle decorazioni sono apparsi solo nella metà del XIX secolo, seguendo la moda della porcellana cinese e dei gusti europei. I fiori di queste porcellane ne divennero il marchio di fabbrica e resero Gzhel famosa in tutto il mondo.

4 / Decorazione a “cetriolo”

L’iconica stampa “a cetriolo” (chiamata anche paisley o buta) è un motivo vegetale a forma di goccia, di origine persiana. Si crede che sia apparso nell’antico Impero sasanide (noto anche come secondo impero persiano), che si esisteva nel territorio dei moderni Iraq e Iran all’inizio del primo millennio. Per vie commerciali l’ornamento si diffuse in India, Oriente e Africa, e arrivò in Europa nel XVII secolo grazie ai colonizzatori britannici. Un secolo dopo arrivò anche in Russia, divenendo molto popolare. Questa stampa alla moda è diventata una delle più ricercate dai maestri russi degli scialli, oggi famosi in tutto il mondo.

LEGGI ANCHE: Dieci curiosità sugli scialli di Orenburg 

5 / Colbacco “ushanka” con paraorecchie 

Ecco un altro oggetto le cui radici risalgono alla cultura kurgan, dell’altopiano di Ukok. Più tardi questo tipo di copricapo si diffuse tra i popoli dell’Asia centrale, come i mongoli, i kirghizi, i bashkiri e i buriati. Si crede che il prototipo del cappello russo con paraorecchie fosse un cappello mongolo a punta chiamato “malakhai”.

Da allora è stato modificato più volte e negli anni ‘30-’40 del Novecento è entrato a far parte dell’uniforme invernale dell’Armata Rossa. E se i mongoli apprezzavano il “malakhai” perché, essendo molto robusto, proteggeva la testa dalle frecce, i contadini russi, i soldati e persino le regine (la madre di Pietro I, per esempio, ne aveva tre nel guardaroba) lo apprezzavano per il fatto che era semplicemente indispensabile per affrontare i rigidi inverni russi.

LASCIA UNA RISPOSTA

Inserisci il tuo commento, grazie!
Inserisci il tuo nome qui, grazie

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.