Principale Economia & Finanza In Italia ci sono 1,3 milioni di minori in povertà assoluta

In Italia ci sono 1,3 milioni di minori in povertà assoluta

L’Istat segnala un peggioramento della salute mentale dei giovanissimi. Il 2021 segna un parziale recupero dell’occupazione persa nel 2020. Più smart per donne e a Nord.

© Karine Pierre / Hans Lucas / Hans Lucas via AFP  –

AGI – Il totale dei minori in povertà assoluta nel 2021 è pari a 1 milione e 384mila: l’incidenza si conferma elevata, al 14,2%, stabile rispetto al 2020, ma maggiore di quasi tre punti percentuali rispetto al 2019, quando era pari all’11,4%. Lo evidenzia l’Istat nella nona edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) spiegando che pur in uno scenario economico mutato, la povertà assoluta si mantiene stabile, riguardando più di 5 milioni 500mila individui (9,4%). Il Nord recupera parzialmente il forte incremento nella povertà assoluta osservato nel primo anno di pandemia, anche se non torna ai livelli osservati nel 2019 (6,8%, 9,3% e 8,2% rispettivamente nel 2019, 2020 e 2021).

Nel 2021 nel Mezzogiorno le persone povere sono in crescita di quasi 196mila unità e si confermano incidenze di povertà più elevate e in aumento, arrivando al 12,1% per gli individui (era l’11,1% nel 2020). Infine, il Centro presenta il valore più basso, sebbene anche in questa area del Paese l’incidenza aumenti tra gli individui passando da 6,6% nel 2020 a 7,3% nel 2021.

Peggiora la salute mentale dei giovanissimi

Nel 2021 si osserva un peggioramento nelle condizioni di benessere mentale tra i ragazzi di 14-19 anni. In questa fascia d’età il punteggio rilevato (misurato su una scala in centesimi) è sceso a 66,6 per le ragazze (-4,6 punti rispetto al 2020) e a 74,1 per i ragazzi (-2,4 punti rispetto al 2020). Aumenta, infatti, la percentuale di adolescenti in cattive condizioni di salute mentale (punteggio dell’indicatore di salute mentale inferiore al primo quintile della distribuzione, pari a 52 punti), che passa dal 13,8% nel 2019 al 20,9% nel 2021. Lo evidenzia l’Istat nella nona edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes).

Nel 2020 il Paese con maggior numero di morti

Nel 2020 l’Italia è tra i paesi con il maggior numero di morti per abitanti (1.236 decessi per 100mila abitanti rispetto alla media europea di 1.161 decessi). Questo dipende anche dal fatto che l’Italia è il paese più vecchio d’Europa; infatti, eliminando le differenze tra paesi nella struttura per età, l’Italia scende agli ultimi posti della graduatoria europea (tasso standardizzato di mortalità pari a 933 decessi ogni 100mila abitanti contro una media Ue27 di 1.040). Nel 2021 l’eccesso di mortalità segue un andamento analogo, con un picco tra marzo e maggio e uno da ottobre, si tratta di picchi meno pronunciati rispetto al 2020.

Il terzo picco pandemico è stato raggiunto in media ad aprile 2021 (+12,4% in media Ue27), quando in Italia la variazione dei tassi standardizzati di mortalità rispetto al 2015-2019 si attesta su valori non trascurabili (+17,9%) ma decisamente più contenuti rispetto a quanto osservato nel 2020. Il quarto picco pandemico si raggiunge a inizio dicembre 2021 (+24,1%), con eccessi di mortalità più pronunciati nei paesi dell’Est Europa.

Con il Covid peggiora l’occupazione

La pandemia ha comportato un peggioramento dei livelli occupazionali del nostro Paese e un ulteriore aumento della distanza con la media Ue27.  Nello specifico, secondo l’Istat, con la pandemia nel secondo trimestre del 2020 il tasso di occupazione 20-64 anni ha un brusco calo: in media europea -1,9 punti percentuali rispetto al trimestre precedente, ma in Italia si arriva a -3 punti percentuali e, ancor di più, in Spagna (-4,5 punti percentuali). La Ue27 torna ai livelli occupazionali pre-pandemia (ultimo trimestre 2019) nel secondo trimestre 2021, mentre in Italia ciò avviene nel quarto trimestre. Lo svantaggio tra Italia e media Ue27, già massimo rispetto a tutti i paesi prima della pandemia, si amplifica ulteriormente passando da -9 punti percentuali nel quarto trimestre 2019 a -11 punti nella prima metà del 2021.

Più occupati rispetto al 2020

Il 2021 segna un parziale recupero dell’occupazione persa nel 2020 (+128 mila occupati tra le persone di 20-64 anni in media annua) e la ripresa è stata più forte per le donne, che sono stati anche i soggetti più colpiti nel 2020 dagli effetti della pandemia sul mercato del lavoro. Il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni sale al 62,7% (+0,8 punti percentuali), ma resta ancora al di sotto del livello pre pandemico. La dinamica mostra tuttavia un progressivo miglioramento nel corso dell’anno e nel quarto trimestre 2021 il tasso di occupazione torna superiore a quello del 2019 (+0,4 punti).

Ripresa più marcata per donne e giovani

La ripresa del 2021 è stata più marcata per le donne (+1,1 punti percentuali sul 2020 rispetto a + 0,6 punti per gli uomini), i giovani (+2,1 punti tra i 20-34enni rispetto a +1,0 tra i 35-49enni e +0,1 tra i 50-64enni) e gli stranieri (+1,5 rispetto a +0,8 degli italiani), che erano stati i soggetti più colpiti dalla crisi del 2020. I divari territoriali, già diminuiti a causa dei peggiori effetti della pandemia sulle regioni del Centro-nord, continuano a ridursi e nel Mezzogiorno il tasso di occupazione torna ai livelli – ancorchè bassi – del 2019 (48,5%).

Tra i laureati la ripresa nel 2021 è stata più intensa rispetto agli altri livelli di istruzione e il tasso di occupazione raggiunge il 79,2% (+1,5 punti). L’Istat, inoltre, evidenzia che le donne tra i 25 e i 49 anni sono occupate nel 73,9% dei casi se non hanno figli, mentre lo sono nel 53,9% se hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni. La situazione di maggior difficoltà rimane comunque nel Mezzogiorno, dove lavora solo il 35,3% delle donne con figli piccoli, quasi la metà rispetto al Centro (62,7%) e al Nord (64,3%).

Blangiardo: “Persi 21.782 laureati al Sud”

“Le politiche giovanili, nel nostro paese che invecchia, hanno di rado ricevuto attenzione prioritaria e risorse adeguate. Il quadro fornito dagli indicatori del Bes suggerisce che è tempo di cambiare strategia. Fuori da ogni retorica, si può dire che le politiche per il benessere dei giovani siano, oggi più che mai, politiche per il benessere del paese tutto intero”, ha commentato il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, in occasione della presentazione della nona edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) sottolineando che “ai giovani più istruiti e qualificati, l’Italia non offre ancora opportunità adeguate”.

In particolare, spiega Blangiardo, “nonostante le limitazioni alla mobilità imposte durante il primo anno di pandemia, e l’incertezza che ha caratterizzato il 2020, le emigrazioni all’estero dei giovani laureati italiani si sono intensificate rispetto al 2019, in netta controtendenza rispetto ai trasferimenti di residenza della popolazione nel complesso. Le direttrici principali dei flussi di giovani laureati continuano a essere verso l’estero e dal Mezzogiorno al Centro-nord. Il bilancio delle migrazioni dei cittadini italiani 25-39 anni con un titolo di studio di livello universitario si chiude con un saldo dei trasferimenti di residenza da e per l’estero di -14.528 unità. In particolare, il Mezzogiorno, soltanto nel corso del 2020, ha perso 21.782 giovani laureati”.

Più smart working soprattutto a Nord e per le donne

Nel 2021 prosegue il ricorso al lavoro da casa come strumento per proseguire le attività produttive contenendo i rischi per la salute pubblica. La quota di occupati che hanno lavorato da casa almeno un giorno a settimana, che era pari al 4,8% nel 2019, passa dal 13,8% nel 2020, al 14,8%. Questa modalità di lavoro coinvolge soprattutto le donne (17,3% rispetto al 13% degli uomini), gli occupati del Centro e del Nord (rispettivamente 17,7% e 15,9% in confronto al 10,5% nel Mezzogiorno) e quelli con un titolo di studio elevato che sperimentano il lavoro da casa in più di un caso su tre.

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