Dettagli della Cattedrale di Bari
di Claudia Babudri
Entrando nella Cattedrale di Bari forse li avrete notati. Si tratta dei resti di un antico ciclo affrescato, ubicati nell’abside alla vostra sinistra. Discreti, vi guardano dalla parete, oltre gli scranni del coro della chiesa. Ritrovati in seguito ad alcuni interventi di ripristino delle murature effettuati nel 1919, sono stati approfonditi in tempi recenti dalla docente di archeologia paleocristiana e altomedievale presso il dipartimento di studi classici e cristiani dell’Università degli Studi di Bari, Gioia Bertelli (in Itinerari Angioini tra Puglia e Basilicata , Adda, 2016).
La Cattedrale di Bari è dedicata a San Sabino dalla fine dell’XI secolo. L’edificio, costruito in stile romanico, fu eretto nel 1034 al posto della struttura paleocristiana precedente (l’archeologia ne ha individuato tracce architettoniche e musive). Proprio in relazione agli affreschi a cui si accennava, non si può parlare della Cattedrale senza nominare gli importanti contributi di due uomini straordinari, entrambi arcivescovi. Il primo fu Romualdo Grisone. Di origine barese, rivestì la carica di arcivescovo di Bari dal 1280 al 1309. La prestigiosa carica gli fu riconosciuta solo nel 1282 da Papa Martino IV, comportando due anni di “vacanza” del seggio in cui l’arcidiocesi di Bari fu privata di alcuni possedimenti rivendicati da Romualdo in seguito alla sua nomina ufficiale. Gli affreschi sono raggruppabili in tre fasce: una superiore, una centrale più estesa e l’altra inferiore. Le prime due sono ascrivibili al periodo di Romualdo. L
o strato superiore è il più lacunoso. Presenta ciò che resta di due figure femminili agli estremi e al centro un elemento verticale e una figura maschile. La scena, di difficile interpretazione, potrebbe narrare una Crocifissione oppure, per i resti di una quinta muraria ad uno dei lati, una Annunciazione. Al centro, vi è la scena più corposa: San Giovanni in trono è affiancato da una santa aureolata e da due vescovi (riconoscibili da ciò che resta della mitra e del ricciolo del pastorale). Si ritiene che l’opera sia stata effettuata da un maestro di età angioina “il cui substrato bizantino risulta ammorbidito o quasi cancellato da innesti pittorici diversi”. Tale maestro fu riconosciuto dalla docente Maria Stella Calò Mariani in Giovanni da Taranto , personaggio attivo alla fine del Duecento e il primo ventennio del Trecento in Puglia. La datazione è confermata anche dalla Bertelli in virtù di una cifra ricorrente, una specie di alto bordo nella realizzazione dei panneggi dei personaggi ridondante nelle raffigurazioni di fine XIII secolo come i patriarchi del Giudizio Universale di Santa Maria del Casale a Brindisi.
Al di sotto dell’iscrizione latina affrescata nero su bianco testimoniante il recupero da parte di Romualdo delle proprietà dell’arcidiocesi perse, l’intervento in basso a destra è ascrivibile alla metà del Trecento e quindi a Landolfo, successore di Romualdo. Landolfo fu consacrato ad Avignone e il suo background culturale spiegherebbe le scelte pittoriche inserite in quest’ultima sezione. Oltre alla Vergine che allatta Gesù e ad una figura femminile riconosciuta in santa Caterina di Alessandria (dal particolare della piccola ruota dentata su cui fu martirizzata), individuiamo anche una figurina che regge la propria testa.
Si tratterebbe di santa Valeria di Limoges, discepola di san Marziale, decapitata dal fidanzato per il troppo fervore cristiano. Santa Valeria è la patrona di Limoges e la sua presenza in Cattedrale si spiegherebbe in virtù dell’esperienza e della cultura spirituale francese acquisita dal nostro Landolfo. Il ciclo pittorico oggi restaurato, aspetta in Cattedrale, sorvegliato dal monumento funerario ad alto rilievo di Romualdo Grisone ai suoi piedi, silente custode dei secoli passati.
Redazione Corriere di Puglia e Lucania