Principale Estero Gli Stati africani amici di Putin che hanno preso posizione sulla guerra

Gli Stati africani amici di Putin che hanno preso posizione sulla guerra

L’esempio più eclatante è quello del Sudan, o della Repubblica Centrafricana, diventata la portaerei di Mosca in Africa. Altri paesi hanno assunto posizioni contrarie all”invasione militare più nette come il Sudafrica che ha chiesto a Mosca di ritirare “immediatamente” le truppe dal territorio ucraino nonostante i due paesi abbiano legami economici molto consolidati

© ASHRAF SHAZLY / AFP – Mohamed Hamdan Dagalo

L’Unione africana ha condannato l’intervento russo in Ucraina, ma poi gli stati del continente vanno un po’ in ordine sparso. C’è chi tace, salvaguardando gli interessi con la Russia, c’è chi condanna nonostante gli scambi commerciali siano significativi. L’esempio più eclatante è quello del Sudan.

Nei giorni dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina il vicepresidente del Consiglio sovrano, Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, volava a Mosca per incontri ad “alto livello” per rafforzare la cooperazione tra i due paesi che, peraltro, non è mai venuta meno.

Khartoum e Mosca hanno concordato una collaborazione stringente in tutti i campi e a tutti i livelli, da quello bilaterale a quelli internazionali. Ma ciò che più conta sono state le parole di Hemetti suonate come un appoggio all’operazione militare: “La Russia ha il diritto di agire nell’interesse dei suoi cittadini e di proteggere il suo popolo”.

Il ministro degli Esteri di Khartoum si è subito affrettato a ridimensionarle per non “deteriorare” il rapporto già precario con l’occidente. L’Unione europea ha subito chiesto parole chiare di condanna e il Consiglio sovrano si è limitato a una dichiarazione di intenti indicando la via del dialogo tra le parti come mezzo di soluzione della crisi: “Il Sudan chiede una soluzione diplomatica per porre fine alla crisi e sostiene gli sforzi in corso tra i due paesi”. Non parla né di guerra né di invasione russa dell’Ucraina.

Ma non è finita. Il Sudan si è astenuto dal votare a favore di una richiesta al Consiglio per i diritti umani di tenere un dibattito urgente sulla “situazione dei diritti umani in Ucraina a seguito dell’aggressione russa”.

Khartoum non vuole irritare il Cremlino. I rapporti tra i due paesi sono forti e per il Sudan – isolato dall’occidente dopo il colpo di stato – è fondamentale l’appoggio di Mosca. Non a caso è tornata di attualità la disponibilità del paese africano a consentire l’apertura di una base navale sulla costa del Mar Rosso. Sarebbe la prima base militare russa in Africa. Mosca, tuttavia, sta trattando anche con Madagascar e Mozambico.

Nella capitale della Repubblica democratica del Congo, la gente è scesa in piazza per manifestare a favore della Russia, senza che lo stato – come di solito fa – mandasse le unità anti-sommossa per disperdere i manifestanti. Dunque, un’iniziativa tollerata dal governo di Kinshasa.

Altri paesi, invece, hanno assunto posizioni più nette come il Sudafrica che ha chiesto a Mosca di ritirare “immediatamente” le truppe dal territorio ucraino nonostante i due paesi abbiano legami economici molto consolidati. Il Sudafrica ha investimenti in Russia per 5 miliardi di dollari, mentre quelli russi arrivano a 1,5 miliardi di dollari. Non si parla, però, di sanzioni.

Anche il Kenya non ha usato mezze parole. L’ambasciatore keniano Martin Kimani al Consiglio di sicurezza è stato chiaro: “L’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina sono state violate”. Gabon e Ghana si sono accodate alla condanna. Poi c’è il Mali, il Burkina Faso e la Repubblica Centrafricana. Questi tre paesi tacciono. In tutti e tre gli stati la presenza russa, attraverso i mercenari della Compagnia Wagner e i consiglieri militari del Cremlino, è molto forte. Per quanto riguarda il Mali è fondamentale visto la decisione della Francia di abbandonare il paese, lasciandolo, di fatto, in mano ai russi.

La Repubblica Centrafricana è diventata la portaerei di Mosca in Africa. Il paese è il trampolino di lancio dell’offensiva russa in tutto il continente e un risultato lo ha già ottenuto strappando un pezzo di impero proprio alla Francia. Occorre ricordare che la Russia rimane il più grande esportatore di armi nella regione subsahariana. Le consegne di armi a 12 stati hanno rappresentato il 30% delle importazioni totali di armi nel continente. In Nord Africa, Egitto e Algeria sono i primi destinatari delle esportazioni di armi russe. Mosca, inoltre, sostiene l’industria bellica del Sudan, terzo produttore di armi nel continente.

Lo scontro con l’Occidente non è mai stato sotto traccia e Mosca combatte con le armi che possiede. La Russia a differenza dell’Unione europea, della Cina e della Turchia non ha strumenti di soft power, in particolare economici, ma se lo deve conquistare con quello che possiede. I mercenari della Compagnia Wagner, oltre che essere combattenti per conto di Mosca, rappresentano la modalità con quale si manifesta l’influenza del Cremlino negli stati in cui operano, dove ha interessi strategici. Ma sono anche dei “facilitatori” delle relazioni e dei rapporti tra stati, ritagliandosi uno spazio nell’economia locale, in particolare in quelle aree dove abbondano le materie prime.

Alcuni stati africani hanno bisogno della presenza russa per affermare la propria politica e in cambio offrono risorse naturali strategiche. È ancora presto, tuttavia, per dire quali conseguenze politiche e diplomatiche avrà l’invasione dell’Ucraina sul continente africano. Di sicuro l’innalzamento dei prezzi delle materie prime, in particolare quelle alimentari avrà un impatto preoccupante sulle economie dei vari paesi, fino a minarne la stabilità.

Nel 2020 gli stati africani hanno importato dalla Russia prodotti agricoli per 4 miliardi e dall’Ucraina 2,9 miliardi. Gli strumenti, inoltre, nelle mani dei paesi africani per calmierarne l’impatto sono scarsi o nulli. Dovrebbero immettere valuta, che non hanno, nei mercati oppure fare debito, cosa che non si possono permettere visto il già alto indebitamento. In molti paesi il prezzo del pane è cresciuto fino al 30%. E da questo, è bene ricordarlo, sono nate le primavere arabe e la mobilitazione, nel 2019, che ha fatto cadere la dittatura di Omar el-Bashir in Sudan. agi

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