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“In viaggio verso dove” di Antonella Albano – Recensione

“In viaggio verso dove” di Antonella Albano – Recensione

di Evelyn Zappimbulso

La sofferenza del distacco, la nostalgia, il desiderio del ritorno, l’incontro con “l’altro”, la riscoperta e l’affermazione della propria identità, il superamento dei propri limiti. “In viaggio verso dove” (dicembre 2021), l’ultimo romanzo della scrittrice tarantina Antonella Albano abbraccia un topos antico in chiave moderna. Un viaggio, appunto, che culla il lettore nella rievocazione di un Odisseo, eroe peregrino per 20 anni in mezzo al mare della vita. Un po’ anche come l’Enea di Virgilio, profugo di guerra tra vittorie e lacrime. Entrambi come Amanda della Albano, che tra un ricordo amaro e il diario confessore delle lettere alla Zia Linda si mette in viaggio e porta in salvo sé stessa, libera da gabbie e rimorsi.

Laureata in lettere classiche, Antonella Albano ama scrivere. La sua penna scivola come un fiume impetuoso che trascina il lettore negli abissi più intimi e fa riflettere. L’autrice, “insegnate a tempo pieno”, porta sempre un pezzo della Scuola nei suoi scritti. Ha iniziato come correttrice di bozze per la Laterza e nel 2013 esordisce con Vampiri, supereroi e maghi. Metafore e percezione morale nella fiction fantastica” per la casa editrice Aracne di Roma. Nello stesso anno pubblica per Lite Editions il racconto “Prigioni”. Nel 2014 il suo romanzo d’esordio, “Io, Liam”, per Il Ciliegio. Nel 2016 ha auto pubblicato “Amori e altri misteri”, un mystery romance. Nel 2018 “La luna di River”, un urban fantasy, che ho avuto il piacere di leggere e presentare.

Antonella approda con il suo mio primo romanzo di narrativa: “In viaggio verso dove”, nel quale un’insegnante, in bilico tra l’essere ed il dover essere molla ormeggi e si incammina nel suo di viaggio, tra campi di grano antico e una bicocca che cura e ama come un grembo gonfio. Ritorna a colori nel fluido narrare la Valle d’Itria, con i suoi trulli bianchi e i muretti a secco, gli stessi che custodiscono il segreto della luna di River.

C’è un amore forte, che supera impeti di cambiamento e desideri di realizzazione e ferma tutti, anche il lettore, in un monologo delicato sul finire del romanzo, quando Lorenzo, il marito di Amanda, si affida all’istinto e si domanda anche lui “Che voglio … Che cosa voglio io?” Perché dietro “la buccia” di un insegnate o di un imprenditore, di una donna o di un uomo, c’è vita che vibra e va assecondata lentamente per sentirne il suono che ha.

Bellissimo il passo in cui l’insegnate Amanda parla ai suoi “ragazzi”: “Io voglio che voi rischiate il tutto e per tutto per le vostre passioni e per la vostra felicità”. Ecco lo stupore, il viaggio che unisce il reale all’ignoto. Un viaggio in sella alla narrazione di una esistenza che si ribella alla penombra e cerca luce, meta, terra. Un po’ come Marco Polo de Il Milione. Un viaggio “passaggio” (metafora medioevale), come “purificazione” a tratti cristiana a tratti dantesca. Un viaggio sentimentale, perché “la vita non è né bella né brutta, ma è originale” (cit. “La coscienza di Zeno” di Svevo).

Amanda aggiungerebbe “è ruvida felicità, è il gusto di far bene le cose”.

Amanda impasta, semina, coltiva la terra e raccoglie frutti. Ne raccoglie uno grandioso, puro, vero. Si è messa in viaggio anche per zia Linda, sola e coraggiosa. Per capire “cosa distingue gli eroi da temerari”. Perché quanto si “rimane vivi” dopo un dolore grande, anche “la speranza può far male.”

Il libro sarà presentato martedì 15 febbraio alle ore 18 alla Ubik di Taranto.

Redazione Corriere di Puglia e Lucania 

Corriere Nazionale

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