Principale Politica In Parlamento come Zalone del posto fisso. Applausi

In Parlamento come Zalone del posto fisso. Applausi

In Parlamento come Zalone del posto fisso. Applausi

di Evelyn Zappimbulso

Se ci fosse un momento giusto per i parlamentari per pronunciare il più che mai fastidioso “noi ve lo avevamo detto”, forse sarebbe questo.

Con la rielezione di Sergio Mattarella per quasi acclamazione, il Parlamento spodesta leader politici in stato confusionale e, praticamente per sfinimento, costringe i partiti alla conservazione dello status quo. Una mossa fatta per preservare l’ordine esistente che fa comodo a praticamente tutta la classe politica e che al tempo stesso punisce chi non ha saputo muoversi in tempo e, soprattutto, chi ha giocato per distruggere.

Il mix micidiale

Gli avvertimenti c’erano stati ed erano stati tanti: per prevedere il futuro sarebbe bastato conoscere le proprie truppe, ascoltare i capannelli e capire che il mix micidiale tra paura di finire prima la legislatura, perdere lo stipendio e finire massacrati in regolamenti interni che assomigliano a congressi di partito, non avrebbe lasciato scampo. Insomma gliel’avevano detto, ma non hanno ascoltato e oggi i leader si sono trovati a inseguire un Parlamento che, all’epoca di governi che lavorano a colpi di decreto, dimostra di essere vivo e vegeto. E anzi impone la sua soluzione nel caos generale.

Le poltrone

A onor del vero, a rendere quasi una scelta obbligata il ritorno in ginocchio da Mattarella, è stato per primo quello che più di tutti scalpitava per salire al Quirinale: Mario Draghi. L’autoproclamato “nonno al servizio delle istituzioni” infatti, non si è solo messo a disposizione, ma ha anche fatto capire in tutti i modi che la condizione perché tutto restasse immutato (comprese le poltrone) era che il perimetro della maggioranza fosse lo stesso. Che tradotto dal politichese significa: se trovate altre geometrie di alleanze per eleggere il presidente, salta tutto. Eccolo l’inghippo che ha reso impossibile accontentare ogni forza politica. Insomma la coperta è sempre stata corta e quelli che i giornalisti chiamavano con sufficienza “peones” non solo lo sapevano, ma non lo hanno mai nascosto.

Insomma è inizio gennaio e più passa il tempo e più si consolida una consapevolezza: il nome di Sergio Mattarella è l’unico capace di mettere d’accordo forze politiche spaccate su mille fronti.

Che chimera la Politica

Con questo spirito il 24 gennaio è iniziata la settimana di trattative: prima ci si è dovuti liberare dell’impresentabile candidatura di Silvio Berlusconi e poi sono iniziate le indicazioni di “lasciare la scheda bianca”. La strategia era chiara: non possiamo bruciare nessuno, ci presenteremo al tavolo per un conclave e poi arriveremo a un punto di incontro. Che detto da forze politiche già richiamate decine di volte da Mattarella per l’incapacità di trovare accordi in tempi decenti (vedi le innumerevoli crisi politiche, una pure nel mezzo della pandemia giusto un anno fa), sembrava una vera chimera. E così è stato.

Un colpo da bracciante

Il colpo di mano si è realizzato la sera del 28 gennaio.

Ma è tardi. Proprio come richiesto (poco lucidamente) dai partiti, per la prima volta si svolgono due votazioni nella stessa giornata e succede che, mentre i leader hanno sul tavolo una nuova rosa di nomi, il Parlamento sta già votando in massa Sergio Mattarella che prende 336 voti.

I leader con le spalle al muro accettano la resa e perfino Salvini fa l’ennesima giravolta e usa parole di entusiasmo per l’ipotesi del bis cercando, inutilmente, di intestarsi la partita. Mario Draghi suggella la resa in un colloquio con il capo dello Stato. E anche lui, probabilmente, avrà pronunciato un “ve l’avevo detto”, che alla luce dei fatti suona piuttosto come un ricatto sottinteso “o me o la conservazione”.

Ormai è fatta e il resto è tutto in discesa.

Applausi. E seflie.

Redazione Corriere di Puglia e Lucania 

Corriere Nazionale

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