Principale Politica Una politica in rosa!

Una politica in rosa!

Avv. Giovanna Barca – Le Avvocate Italiane

Qualche giorno fa, l’Islanda sembrava raggiungere il super primato di avere più del 50 % di parlamentari donna.

Sembrava una prima volta storica in Europa, ma il riconteggio ha riportato la maggioranza di uomini sulle donne in Parlamento, lasciando un po’ di amaro in bocca a chi si pregustava, finalmente una maggioranza in rosa!

Dopo un riconteggio dei voti delle elezioni del 26 settembre in una delle sei circoscrizioni dell’isola, tre donne hanno perso il seggio che pensavano di aver ottenuto, facendo scendere la rappresentanza femminile alla Camera sotto la percentuale del 50 %. Dunque, le donne elette non sono più 33 su 63 parlamentari bensì 30, pari al 47,6 %.

Nessun altro paese europeo ha mai avuto più del 50% di parlamentari donne, con la Svezia che si avvicina di più ma si ferma al 47%, secondo i dati della Banca Mondiale. L’Islanda ha comunque superato questa percentuale dopo il riconteggio, con un 47,6% di presenza femminile. Cinque altri paesi del mondo hanno attualmente parlamenti in cui le donne detengono almeno la metà dei seggi, secondo l’Unione interparlamentare: Ruanda con il 61% di donne, Cuba con il 53%, Nicaragua 51% e Messico ed Emirati Arabi Uniti entrambi con il 50%. In Oman, per esempio, solo l’1,2% dei parlamentari è donna, la metà di Haiti, 2,5%. In Kuwait, poi, siamo al 3,1%. Infine, esistono Paesi che non hanno nemmeno una donna in Parlamento. Si tratta di: Micronesia, Papua Nuova Guinea, isole Vanuatu e Yemen.

A differenza di altri Paesi, non dimentichiamo che l’Islanda non ha quote legali sulla rappresentanza femminile in parlamento, anche se alcuni partiti richiedono che un numero minimo di candidati siano donne. L’Islanda è stata a lungo un pioniere nell’uguaglianza di genere e nei diritti delle donne, ed è stata in cima alla classifica dei paesi più egualitari del World Economic Forum negli ultimi 12 anni. Offre lo stesso congedo parentale a uomini e donne, e la sua prima legge sulla parità di retribuzione tra uomini e donne risale al 1961. L’Islanda è stato il primo paese ad eleggere una donna come presidente nel 1980, e dal 2018 ha una legge pionieristica sulla parità’ di retribuzione che impone ai datori di lavoro di dimostrare che stanno pagando lo stesso salario a uomini e donne.

Ma, in Italia, cosa è cambiato dal 1948 ad oggi?

Sicuramente, il nostro Paese, rispetto a quel fatidico 5 % del 1948, si posiziona, oggi, tra le prime 20 nazioni europee. Con la percentuale del 35,7% di donne tra Palazzo Madama e Montecitorio: questo si deve anche e soprattutto alla nuova legge elettorale che stabilisce la rappresentanza di genere. In questo modo, assistiamo attualmente, in Parlamento, a 319 senatori, di cui 112 donne (il 35,11%), e 630 deputati di cui 227 donne (il 36,06%). Sono chiaramente le fasce più giovani a presentare percentuali leggermente maggiori di donne, anche se in ogni caso nella fascia d’eta dove le donne sono più presenti nel nostro parlamento (40-49 anni), non si supera il 33,5%, cioè esattamente una donne ogni due uomini. Fra la fascia di deputati più giovani sorprende osservare che la presenza femminile non tocca il 30% (29,52%), mentre fra gli over 50 le deputate sono solo il 26&, una ogni 3 uomini. Fra le senatrici la fascia d’età più femminile è quella dei 50-59 enni, con il 43% di donne.

Per ciò che riguarda la presenza di sindaci donne, si è registrato un grande aumento dal 1946, anno in cui ne erano solo 10 in tutta Italia, mentre 40 anni dopo ne sono state registrate 1097, con un’incidenza maggiore nel Nord Italia. In aumento anche le donne assessori.

Un successo? Quasi. Perché se si fa un confronto più dettagliato, si può notare come le donne elette in Parlamento siano davvero poche rispetto a tutte coloro che si sono candidate.

Le leggi a favore della parità politica di genere hanno cominciato ad agire in modo concreto nel 1993 quando, con la legge n. 276, a proposito delle Norme per l’elezione del Senato della Repubblica, si stabilì che il sistema elettorale nazionale dovesse favorire “l’equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini”.

Nel 2001-2003 le pari opportunità sono entrate a far parte della Costituzione.

Con la legge n. 52 del 2015 è stato approvato il nuovo sistema elettorale della Camera dei Deputati (l’Italicum), che ha stabilito l’obbligo di rappresentanza paritaria dei due sessi nelle candidature circoscrizionali.

Con la legge n. 165 del 2017, la promozione femminile è diventata un obbligo dei partiti.

Quello che più colpisce di questa situazione è che l’ascesa dell’empowerment politico femminile in Italia abbia più i connotati di una salita in termini di difficoltà, perché avviene senza la spontaneità di una società aperta a sostanziali valori di eguaglianza di genere, ma con il supporto di leggi che tentano di spianare la strada ad una mentalità ancora poco giusta con le donne.

Un dato, questo, che spegne gli entusiasmi facili su una situazione che, all’interno di un contesto italiano in cui la donna è penalizzata ancora troppo e in troppi casi, deve ricordarci che i diritti non sono mai una concessione, ma qualcosa da esigere e per cui impegnarsi attivamente.

Purtroppo, a mio avviso, il raggiungimento di un equilibrio tra donne e uomini nelle istituzioni appare ancora lontano. Per rendere più effettiva la rappresentanza femminile bisognerebbe focalizzarsi maggiormente sulle barriere che scoraggiano le donne dal competere nelle elezioni e condurre una campagna elettorale. Difatti, barriere strutturali come la distribuzione diseguale del lavoro domestico e gli stereotipi di genere risultano ancora forti fattori deterrenti per l’opportunità e la legittimazione della partecipazione attiva alla vita politica da parte delle donne. Politiche volte a conciliare lavoro, in questo caso la rappresentanza politica, e famiglia potrebbero aiutare.

Sicuramente è giusto che si debbano stabilire, al momento, delle quote di genere ma sposo pienamente la riflessione della politologa Rainbow Murray, la quale sostiene che il problema è l’eccesiva rappresentanza maschile in politica. Le policy da introdurre sarebbero quindi sì delle quote di genere, ma molto diverse da quelle in uso attualmente. Infatti, la prospettiva sarebbe “rovesciata”, con le quote di genere non da intendersi come un numero minimo di posti destinati ai rappresentanti di un sesso, ma al contrario, come un limite massimo. Tale cambiamento di paradigma potrebbe finalmente permettere di non percepire più le donne in politica come “altre”, una sorta di minoranza da proteggere mediante quote minime, ma come una componente fondamentale della società con lo stesso diritto a partecipare alla vita politica della controparte maschile.

Prossimo obiettivo delle donne da raggiungere? Un forte e vero cambio di rotta ci sarà solamente quando le donne prenderanno effettivamente coscienza della loro forza e delle loro competenze professionali ed abilità di comunicazione politica. Ma questa svolta e radicale virata, per usare un termine nautico che mi piace tanto, potrà avvenire, a mio parere, solamente quando le donne, anche di idee e appartenenti a partiti politici diversi, cominceranno a credere che, per raggiungere obiettivi comuni e  far valere i loro diritti, faranno veramente più squadra ad essere solidali tra loro non screditandosi né farsi la guerra.

Senza alcuna condivisione ed aiuto reciproco, non si può ottenere nulla: prendiamo esempio dalle nostre sorelle islandesi!

 

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