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Il miglior modo di contrastare i fenomeni di violenza in ambito lavorativo è diffonderne la conoscenza

DIAMO VOCE A CHI NON HA VOCE

E’ inutile sottolineare che la  società attuale, evidenzia e premia comportamenti prevaricatori trascurando di fatto la dirittura morale.

Di fatto nelle aziende, come nella Pubblica Amministrazione, già teatro di comuni ed accettate (o accertate???) fonti di stress che derivano dalle interrelazioni forzate, dalle dinamiche del gruppo, dalle aspettative di carriera, si rilevano , sempre più di frequente, comportamenti che travalicano i limiti della correttezza, e  della legalità

Il lavoro è uno degli elementi centrali della vita, non solo perché costituisce una parte consistente dell’esistenza, ma anche perché assume grande rilievo a livello personale e sociale, rappresenta un’attività che può portare ad acquisire prestigio personale, sia dal punto di vista monetario sia da quello più strettamente sociale.

Si tratta indubbiamente di una delle principali componenti delle attribuzioni sociali che compongono l’identità di ognuno.

Appare chiaro, quindi, che quando il lavoratore si trovi ad essere oggetto di condotte pregiudizievoli della propria posizione e/o della propria persona, si venga a trovare in una situazione doppiamente difficile e potenzialmente letale.

Infatti, si trova in condizione di perdere alcuni dei propri riferimenti basilari della vita, la propria immagine, il proprio ruolo lavorativo, con tutti i rischi che questo comporta.

Costituiscono una variante importante per il determinarsi degli effetti psicosomatici degli atti di violenza, la costituzione e le caratteristiche personali della vittima: Infatti tanto è più sensibile e fragile tanto maggiori saranno le conseguenze.

Il lavoratore può subire diverse forme di violenza: l’affidamento di mansioni inferiori a quelle stabilite dal concorso effettuato per l’assunzione (demansionamento), ovvero di compiti che ne degradano la professionalità (dequalificazione), l’esclusione da corsi di formazione ed aggiornamento, l’isolamento vero e proprio in locali disagiati senza incarichi significativi, attacchi diretti o indiretti alla reputazione del dirigente dell’ufficio  (mobbing) sino ad arrivare, nei casi maggiormente gravi, a condotte previste dal codice penale come reati.

In tali casi è legittimo chiedere un trasferimento d’ufficio? Di più è legittimo concederlo?

Sappiamo benissimo che quanto alla fattispecie del trasferimento “a richiesta”, in linea generale, la relativa concessione al dipendente resta condizionata alla valutazione del datore di lavoro e, tale valutazione, presenta ampi margini di discrezionalità, ma sappiamo  anche che ciò non può sfociare in una discriminazione del lavoratore.

La situazione  di incompatibilità  determina  sempre effetti controproducenti per tutti, aziende comprese e danni all’erario per la mancata produzione del dipendente coinvolto.

Quando l’azienda o la Pubblica Amministrazione, perde la cultura della corretta gestione del personale si concede ai violenti di attuare i propri comportamenti persecutori.

E’ fondamentalmente la conoscenza dei  fenomeni persecutori sul lavoro: bisogna creare una cultura aziendale orientata alla loro prevenzione, occorre sensibilizzare i dirigenti ed i quadri ed informare ogni lavoratore.

Solo tutto questo permetterà di prevenire e di ridurre il rischio di violenza psicologica nei luoghi di lavoro.

Piuttosto come fa a tutelarsi un lavoratore che subisce mobbing e che addirittura  si mette in aspettativa non retribuita?

In questi casi la mancata concessione del trasferimento d’ufficio per conclamata incompatibilità non configura anch’esso ‘atto discriminatorio e persecutorio ‘?

Invero  la  presenza di diversi ‘certificati danno alla salute’ dovuto all’azione persecutoria subita sul posto di lavoro  legittima lo spostamento ad altra sede per tutelare il bene fondamentale ‘vita’?

Chi è  tenuto a risarcire la frustrazione, l’ insoddisfazione, l’ansia, l’ irritabilità, l’esaurimento fisico, il panico quotidiano per le grida, urla, minacce varie del dirigente verso il dipendente , l’agitazione, il senso di colpa, il negativismo, la ridotta autostima, l’ emicrania, l’insonnia, l’atteggiamento distaccato e apatico nei rapporti interpersonali?

Credo di aver reso un quadro chiaro delle conseguenze emotive di chi vive una situazione simile  nel luogo di lavoro.

Se non vogliamo pensare agli altri pensiamo ai nostri figli che se sottoposti a carichi di lavoro e di stress eccessivi, iniziano a rendersi conto di come le loro aspettative non coincidano con la realtà lavorativa ed ecco dunque la ‘fuga dei cervelli’, pochi soldi e molte umiliazioni!

L’entusiasmo, l’interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire.

Iniziano a farsi strada  sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato nonostante la loro competenza e volontà di lavorare per la comunità. Orgogliosi di essere al servizio di un Ente locale che poi passa quando vedi l’incompetenza di alcuni dirigente apicali nel gestire la cosa pubblica e le risorse umani ivi distaccate.

Occorre individuare le strategie operative, ovvero mettere in atto ciò che necessita per non incrementare un clima e una cultura aziendale che favorisca e alimenti simili comportamenti.

Ci vuole un’attività comunicativa che bandisca e condanni a pieno tali fenomeni: questo sarà  il mio impegno, la denuncia di tutti i casi di abuso  sul luogo di lavoro!

Il mercato del lavoro ha bisogno di regole chiare, obiettivi umani, condivisi e raggiungibili.

Le società e gli Enti locali in primis devono ambire ad un PROFITTO ETICO!

Non ci dobbiamo dimenticare che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 del c.c.).

Tale norma assoggetta ad una responsabilità contrattuale il datore di lavoro, imponendogli determinati obblighi di protezione nei confronti del dipendente.

Le “misure necessarie” cui fa riferimento la norma di cui sopra sono collegate da Cass. n. 1307/00 all’obbligo di non recare danno “alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana” , ex art. 41 Cost.

Il Testo Unico Salute e Sicurezza sul Lavoro, di cui al D.LGS 81/2008.

Vi anticipo che questo  è  solo il primo di una lunga serie di interventi in merito  alla questione.

Mi auguro che quest’articolo ed i prossimi che andremo a pubblicare a difesa di coloro che non hanno voce possano essere letti dalle competente autorità preposte: dagli ispettorati al lavoro, dai Sindacati, dagli organi politici e dalla Corte dei Conti.

Antonio Peragine

direttore@corrierepl.it

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