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Una coscienza mediatica

Rousseau rimpiangeva lo stato di natura. I soprusi e la proprietà privata erano le cause della disuguaglianza tra gli uomini.

Successivamente Marx aveva analizzato i rapporti di produzione, descritto l’alienazione, il pluslavoro e il plusvalore. Per Marx la disuguaglianza era determinata dalla divisione sociale del lavoro.

L’analisi socio-economica di Marx per alcuni versi (non per tutti) è valida ancora oggi se si pensa al fatto che anche nella nostra società il valore di scambio predomina sul valore d’uso e che ancora oggi esiste il “feticismo delle merci” (anche se viene occultato e non si può intuire di primo acchito, giungendo a dire che le legna nella società industriale contava più dei contadini come ai tempi del filosofo).

Durkheim dimostrò che la società industriale difettava di coesione sociale, di “solidarietà meccanica” e che per questo motivo aumentavano a dismisura “i suicidi anomici”.

Freud è stato invece illuminante nello spiegare certi meccanismi psicologici con cui il cittadino si rapporta al potere.

Mi riferisco ai meccanismi di divinizzazione e/o uccisione del padre.

Quando l’essere umano diviene adulto il capo può assumere le veci del padre e di conseguenza il complesso edipico può spiegare certe dinamiche sociali insite nelle dittature.

Ma per spiegare accuratamente le società post-industriali occorre ricordare il sociologo Mills, che descrive il conformismo e la mancanza di autonomia dei “colletti bianchi” e gli intrallazzi dell’ “élite del potere”, vera e propria oligarchia di lobby finanziarie ed economiche.

In sociologia ci sono stati studiosi che hanno dato più enfasi alla società piuttosto che all’individuo ed altri che invece hanno sostenuto l’individualismo.

Alcuni pensatori marxisti hanno spesso scritto e dichiarato che se la classe operaia non aveva coscienza di classe allora erano gli intellettuali che dovevano fornirle la coscienza di classe.

Nel frattempo però – come fu evidenziato dalla scuola di Francoforte – la cultura si trasformava radicalmente.

L’umanesimo si lasciava sopraffare dall’industria culturale e dalla cultura di massa.

Anche la stessa cultura diventava merce deperibile. Il best seller aveva la meglio sul talento e sulla qualità.

Avveniva di conseguenza la mercificazione dell’intellettuale. Successivamente la stessa industria culturale è stata sovrastata dai mass media e dalla civiltà (?) dell’immagine. McLuhan non a caso ha coniato l’espressione “villaggio globale” e ha anche scritto che “il medium è il messaggio”, volendo dire che le nuove strutture comunicative possono influenzare più dei contenuti.

Per lo stesso studioso perché le menti non vengano obnubilate occorre una “ecologia dei media”. Ma forse tutto ciò non è sufficiente.

L’ecologia dei media indotta da organi di controllo non è sufficiente senza una coscienza mediatica da parte della popolazione.

L’ecologia dei media non può essere solo un processo top-down, ma deve essere anche bottom-up. Oggi non si tratta soltanto di coscienza di classe.

Molto probabilmente lo stesso concetto di classe sociale è anacronistico.

Si può al massimo parlare di ceto.

Attualmente la vita di un cittadino è determinata da mezzi di produzione, rapporti interpersonali, società, psiche, sistema legislativo e nuovi mass media.

Ed i mass media hanno un ruolo cruciale nel decretare l’acquiescenza e l’impegno della società civile.

Qualsiasi tipo di rivoluzione o cambiamento radicale può avvenire solo se c’è una vera coscienza mediatica, un’attivazione di senso critico e di autonomia di giudizio da parte di chi recepisce passivamente gli stimoli dei nuovi media.

Davide Morelli

foto pensieri-liberi.netsons.org

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

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