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‘Radure’, il meraviglioso sud nella poesia sintropica di Maria Allo, poetessa sicula da scoprire

La raccolta di Maria Allo dal titolo Radure (Landolfi Editore) ricorda Heidegger, la radura del filosofo. Leggendola, si ha l’impressione che ciò fosse un richiamo evidente. Si intende il titolo col significato heideggeriano di apertura, disvelamento, irradiazione dell’essere.

Ma la radura è anche semplicemente un tratto disboscato. È anche ordine, chiarezza, pulizia e forse sintesi. Forse si può intendere anche in questo modo.

La costruzione del verso di Maria Allo

Maria Allo si dimostra maestra nella costruzione del verso e della prosodia. Si sente l’influsso di Dante, anche se la poetessa non ha l’ossessione di ingabbiare metricamente i suoi pensieri.

Rivela però l’abilità tecnica di saper strutturare le sue corrispondenze (“Pozzanghera nella terra scura:/ sopra rumori e inutili rattoppi./ Ti viene addosso un macigno/ minuscola e fragile una farfalla/ il muovere dell’ombra mentre/ tutto sfoca e colore cambia./ Sono una pietra d’inverno./ Pietra dal taglio perfetto/ nel silenzio della neve/ crepata sull’orlo della vita”) in endecasillabi canonici (quasi mai ipermetri o variamenti accentati e perciò irregolari) alternandoli con novenari e settenari.

Non tutti i poeti contemporanei conoscono la metrica, si danno delle regole oppure le sanno rispettare. La Allo dimostra di saper coniugare felicemente le regole della migliore tradizione poetica con la psicologia del profondo. Come ha felicemente intuito Franca Alaimo nella prefazione, la poesia della Allo è contrassegnata dal “coinvolgimento emotivo” per i luoghi. 

L’io e la Natura

Viene più volte nominato l’Etna. Il mare da un lato viene descritto nella sua bellezza, ma al tempo stesso anche nella sua terribilità, ricordando le morti dei migranti («Cristo svanisce per il gran marciume», «per il sangue rappreso nei fondali», «per noi e la mancata fratellanza»).

C’è nei suoi versi un Sud magnifico. Franca Alaimo non a caso nota l’influsso di Quasimodo. Come cantava Piero Ciampi “il Meridione rugge”. Ciò è vero anche in questa raccolta. Anche se la bellezza è difficile come scriveva Yeats, la Allo riesce a restituirci egregiamente in versi la bellezza della sua terra.

La poetessa siciliana relaziona continuamente il suo io alla natura, si rispecchia spesso nella natura, la sua poesia è innanzitutto conoscenza ed esplorazione del Sé, è percorso di  individuazione. L’autrice scrive l’imprevedibile, l’inafferrabile, l’ineffabile, senza voler rifarsi alla veggenza di un Rimbaud, alla divinazione del simbolismo e del decadentismo, ad un dannunzianesimo di ritorno, ma comunque rimane sempre in attesa di una rivelazione.

Una poesia sintropica

Cerca uno scarto dal senso comune e dal linguaggio convenzionale. Si contraddistingue per la ricchezza lessicale e l’appropriatezza stilistica. Tutto nella sua poesia ha una sua logica ed un suo ordine. Ci sono sostanzialmente due tipi di artisti: quelli che vogliono mettere ordine al disordine e quelli che vogliono aggiungere altro disordine al disordine del mondo.

La poesia della Allo è sintropica in questo senso. Cerca anche l’integrazione (e non l’antinomia) tra istinto e razionalità, ovvero l’espressione più autentica di sé stessa. La poesia della Allo non è riproduzione del reale, ma emanazione, intuizione, rischiaramento.

La scrittura come libertà interiore

Leggendo le sue liriche ci accorgiamo che  all’improvviso un simbolo, una immagine sgorga nell’animo della poetessa ed anche a noi per magia qualcosa ci fa vibrare dentro come una corda.

Talvolta è un’impressione, un dettaglio apparentemente insignificante, un’idea che non si sa dove è nata, però sappiamo che lei sapientemente l’ha fermata. La Allo ci insegna che non si deve scrivere per puro piacere, ma perché è un’attività che può significare l’inizio di una libertà interiore.

Scrivere per la poetessa  significa prendere possesso di sé stessi gradualmente, scoprire sé stessi, conquistare sé  stessi. La sua poesia si pone anche interrogativi metafisici. Esemplare come altre del resto è questa lirica:

Vivere nella nebbia

in un tempo incustodito.

Dove ritrovare ciò che si è perduto?

Su flutti inascoltati scrive memorie

[il mare.

In un grigio silenzio di voci

siamo noi i vivi?

Tendi orecchio al vento:

più ombre che forme in questa terra.

Le foglie cadranno a una a una

come a ogni raffica i rami mancheranno

[di colore.

Ma tu non abituarti mai.

Tendi l’orecchio e ascolta.

Solo nel sapere profondamente

libero in continuo moto

[c’è salvezza.

Molti finiscono spesso col fare della metapoesia e del metalinguaggio o per cadere nel poetichese più stucchevole e più ovvio (sentimentalismo, retorica, narcisismo, autocompiacimento).

Abitare le parole

La Allo fa poesia nel senso più nobile e più alto del termine. Il suo non è diarismo consolatorio ed intimismo patetico. La poetessa cerca comunque di abitare le parole, nel modo più confacente alla sua individualità (ed abitare le parole non significa affidarsi esclusivamente all’ispirazione.

L’ispirazione è un falso mito. Prima che qualsiasi opera abbia una consistenza unitaria definitiva molte sono le revisioni: cancellature, aggiunte, tagli). Scrive perché il mondo è vanità e la scrittura è terapia. La sua poesia fa intravedere l’inaccessibilità dell’essere al linguaggio.

Esiste anche una profondità a cui non si può attingere. Mettere in conto questo non significa predicare l’irrazionalismo, ma premettere che da sola la logica non è sufficiente.

Non ha alcun valore e nessuna efficacia la creazione di freddi schemi concettuali, che catalogano la realtà. Esiste il mistero, l’enigma, l’ignoto, che ci irretisce e ci angoscia. Questo la Allo ce lo ricorda magistralmente. La sua poesia è entità autonoma di conoscenza e produzione, di corrispondenza prelogica e preconscia tra l’essenza delle cose e l’essenza dell’animo umano.

Armonia tra forma e contenuto

C’è armonia tra contenuto e forma. Ai giorni nostri non esiste una “morte dell’arte”, ma il prevalere della poetica sulla poesia e ciò comporta una maggiore consapevolezza del proprio fare artistico e talvolta un eccessivo smontaggio analitico delle opere creative.

Ogni aspetto del reale può ispirare, anche ciò che un tempo poteva essere considerato impoetico per eccellenza. Nel Novecento compare all’improvviso l’inconscio con il surrealismo e il paroliberismo dei futuristi: i sintagmi sono in libertà, non c’è alcuna struttura interna.

Nella poesia sembra essere ammesso quello che ordinariamente non è ammesso nella cosiddetta grammatica. Per seguire i flussi di coscienza i poeti del Novecento spesso procedevano per associazioni, frammenti, immagini-frase.

La Allo si dà delle regole, osservandole sapientemente per strutturare anche l’inconscio individuale e collettivo. La Allo parte dal proprio Sé per indagare il mondo. Per capire a pieno le sue liriche bisogna sapere qualcosa di Jung e di Hillman.

Mai come nel corso di questa modernità l’io si è espanso e contratto a dismisura. Pessoa moltiplica il suo io grazie all’utilizzo degli eteronimi, oggi invece la critica letteraria ha ravvisato nella neoavanguardia un fenomeno di “riduzione dell’io”. In altri poeti neolirici si parla di ipertrofia dell’io.

L’io ha confini?

Non si sa bene dove inizino e dove finiscano i confini dell’io. Sappiamo comunque che inconscio individuale, inconscio collettivo, sovrastrutture ideologiche, bombardamenti massmediatici, iper-informazione, sovrastimolazione sensoriale premono sull’individualità di ognuno, su quel grumo di razionalità, sentimento, radici, che dovremmo chiamare io.

Chiamatelo io, coscienza, Sé, anima, mente, cervello. Chiamatelo come volete. È di questo che la Allo ci parla con il cuore in mano, scandagliando da par suo la psiche.

Ricapitolando l’io è in crisi e il mondo si è fatto così proteiforme e cangiante ad ogni minuto che passa, che è un’impresa titanica rappresentarlo totalmente. La poesia della Allo mi ricorda egregiamente tutte queste problematiche.

La tradizione in Maria Allo

Maria Allo riformula efficacemente i codici espressivi della tradizione, dimostrando di conoscere a menadito la  tradizione aulica, i classici, ma le sue liriche non sono mai intessute di preziosismi, latinismi, grecismi. Le sue conoscenze, la sua cultura umanistica è sempre sottintesa.

Non la sfoggia mai. Potrei affermare serenamente che la sua poesia è permeata interamente dal suo classicismo. Eppure non incorre mai in citazioni a sproposito, in echi e rimandi stucchevoli e ridondanti. In lei non c’è mai eccedenza, non c’è nessun surplus.

Tutto questo equilibrio poetico, tutta questa stabilità sono dovuti alla ponderatezza e all’accortezza. Il linguaggio è sempre sorvegliato. C’è un controllo rigoroso della Parola, che è sempre calibrata, regolata.

Di un tratto nel 1900 ecco una miriade strabiliante di innovazioni sintattiche, morfologiche e lessicali. Ecco affacciarsi l’antilirica, se si paragona la poesia moderna a quella dei secoli addietro.

Un’antilirica, che sempre più si disinteressa della metrica e pone tutto il suo interesse nelle poetiche e nell’ampliamento del lessico. La Allo si oppone fermamente a tutti questi dettami della cosiddetta tradizione del nuovo, cioè della neoavanguardia. L’autrice ci riporta alla tradizione, ci riconsegna in chiave moderna la tradizione con l’innesto efficace della psicologia del profondo.

Questa società è fondamentalmente “efficientista”. L’utile ha sempre la meglio sul  bello e sul buono. Eppure i sentimenti e le emozioni sono indispensabili per vivere in armonia con gli altri.

I sentimenti sono indispensabili, nonostante questo il mercato specula sui buoni sentimenti e a scopo di lucro mette in vendita un sentimentalismo deteriore, come quello presente nei romanzi rosa, nei film strappalacrime e nelle canzoni.

Il punto non è provare sentimenti (perché tutti li proviamo), ma saperli esprimere:  solo il soggetto capace di manifestarli può veramente realizzarsi interiormente. Saper esprimere i sentimenti significa ridurre in modo determinante il non detto.

Tra intuizione ed espressione

Per dirla alla Croce perché un poeta sia veramente tale intuizione ed espressione devono coincidere e a mio avviso è quello che accade nella poesia della autrice. Quando Zanzotto scrive dei fosfeni sappiamo che sono una reazione fisiologica degli occhi alla luce, ma anche qualcosa che riguarda la percezione soggettiva.

Eppure Zanzotto è universale. L’autrice descrive i propri stati d’animo ed il suo mondo, oggettivandoli ed è universale anche essa, come Zanzotto. Sappiamo che anche noi proviamo quelle cose e che ci riguardano. La Allo ci rammenta l’Altro. Dimostra nelle sue liriche l’apertura all’Altro. Ci ricorda la tragedia che avviene nel mare. Ci ricorda i migranti senza mai nominarne la parola.

Come ci insegna l’italianista e scrittrice Gilda Policastro spesso le buone intenzioni ed i buoni sentimenti non sono sufficienti per riuscire a fare veramente poesia. A lei arrivavano molti componimenti sui migranti, ma secondo quanto scriveva sulla sua rubrica molti componimenti erano da buttare.

La Allo riesce ad effondere il dolore senza quella che Sanguineti chiamava effusione. Non bastano le buone e lodevoli dichiarazioni di intenti per essere poeti. La poesia autentica come quella dell’autrice non è sfogo né lamento, ma espressione del dramma, rifuggendo la fisiologia della lacrima.

La Allo si innalza, si eleva spiritualmente, controllando sé stessa e le proprie forme poetiche. La poesia dell’autrice è espressione autentica del dolore.

Probabilmente la migliore opera sul dolore è il “De consolatione philosophiae” di Boezio. All’autore malato appaiono prima le Muse (che gli dettano dei versi), poi la donna Filosofia, che per curarlo adeguatamente lo invita a prendere in esame la fortuna e a considerare con equilibrio le lusinghe e le ingiustizie di quest’ultima.

La Filosofia dice a Boezio che solo ai malati la fortuna rivela il proprio vero volto, la propria perfidia, i propri inganni. Naturalmente per vocazione Boezio scaccia le Muse per dialogare con la Filosofia. La Allo invece decide di ascoltare le Muse.

Di Davide Morelli

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