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La Mediterranizzazione del pensiero per un futuro di pace e di collaborazione tra tutti i Popoli del Mediterraneo

A 100 anni dalla sua nascita molte istituzioni hanno siamo rivisitato   in tutta la sua straordinaria attualità il pensiero di Edgar Molin, filosofo e sociologo francese, straordinaria personalità della cultura europea, teorico della transdisciplinarità dei saperi e di una “riforma del pensiero”, per vincere la sfida della complessità.

Una voce che ha accompagnato e spesso anticipato, con analisi profetiche, la crisi della modernità. Tra le sue più conosciute ed apprezzate riflessioni che hanno toccato tutti i campi del sapere e che a dispetto del tempo trascorso non sembrano affatto datate, citiamo la crisi  dello stato nazione, l’imperfezione della costruzione europea, il rapporto tra globalizzazione del mondo e globalizzazione delle idee, il pensiero mediterraneo come “arte di vita” e i rischi di un riduzionismo che tradisce la complessità della vita e impedisce di cogliere la complessità dei problemi.

Per Edgar Morin il mondo contemporaneo è il mondo della complessità.  in cui gli stati nazione sono pericolosamente in crisi e nei quali è diventato difficile governare.

Questo scenario pone in evidenza una contraddizione di fondo tra il potere assoluto degli stati nazione e la necessità di un’autorità sovranazionale; è questa, infatti, la ragione principale che impedisce agli stati nazione di governare la complessità rimanendone, piuttosto, schiacciati.

C’è allora da auspicare la costituzione di un’autorità planetaria con poteri di orientamento e decisione su questioni importanti quali, ad esempio, quelle della degradazione della biosfera, la tutela dell’ambiente per salvare il pianeta dalla sua lenta agonia.

Appare inoltre di tutta evidenza, anche alla luce della grave crisi economica attuale, che non esistono sistemi di regolazione adeguati e che sarebbe necessario un tipo di istituzione che, con poteri decisionali di regolazione, stabilisca, per esempio, la soppressione dei paradisi fiscali, che provocano danni gravissimi agli Stati defraudati  con la sottrazione di ingenti risorse fiscali, somme che al contrario  potrebbero essere impegnate ed utilizzate per soddisfare importanti esigenze sociali.

Sul piano politico non possiamo non registrare come  l’Onu sia  paralizzata nei suoi compiti istituzionali per via del permanere del diritto di veto da parte delle Nazioni che fanno parte di tale consesso e che spesso blocca iniziative importanti come l’assistenza economica, la tutela della salute, la tutela delle donne, il rispetto  dei diritti umani in favore alle nazioni povere, la tutela dell’ambiente, il sostegno a  progetti di pace o comunque finalizzati a ridurre le fibrillazioni tra nazioni in perenne conflitto.

Occorre, dunque, una riforma dell’ONU che non può avvenire se non con una forte pressione dell’opinione pubblica e con l’impegno a lavorare seriamente in tale direzione; bisogna creare le premesse necessarie per tentare di uscire da questa situazione di impasse.

Allo stesso tempo, però, non può nascere un’opinione pubblica senza lo sviluppo di una coscienza forte che prenda atto dei problemi vitali e dei pericoli mortali in gioco per l’umanità.

Certo, non si può predire se questa ventata riformista potrà mai avvenire, ma dobbiamo mettercela tutta per crearne le condizioni.

E’ sbagliato oltre che pericoloso ed oltremodo complicato cavalcare la tigre pericolosa della eliminazione degli stati nazione, tesi sostenuta da più parti; quello che va eliminato, invece, è l’assolutismo del loro potere, e questo lo si può fare.

Anche l’Europa non ha trovato la sua piena realizzazione, la costruzione europea sembra ancora lontana dal progetto dei suoi padri fondatori a causa del prevalere   di assurdi nazionalismi, di interessi di parte e veti incrociati, manifeste voglia di egemonia (vedi Francia e Germania), divisione sui progetti comuni,  diktat sull’economia e su altre questioni vitali per potrebbero invece contribuire ad accelerare il progetto di un’Europa unita e solidale.

La brexit inglese docet, ha rappresentato un duro colpo alla originale costruzione unitaria, è stato un forte campanello d’allarme che ci si augura possa fare comprendere quanto  ancora sia fragile l’idea di un’Europa unita mentre per altro verso incombe il rischio dell’emulazione da parte  di altre nazioni europee  che da tempo vivono un rapporto polemico e poco collaborativo con gli organismi comunitari.

Tanto per l’Europa, quanto per l’America latina e i paesi arabi e nord africani sarebbe necessario costituire un’associazione metanazionale, in grado di superare, ad un livello continentale, questa onnipotenza dello stato nazionale.

Appare evidente, quindi, come la  complessità ha bisogno di trovare una sintesi; i tradizionali  soggetti della sintesi politica sono stati per decenni i partiti.

Ma i partititi oggi non sembrano più legittimati come lo erano nel secolo scorso a mediare tra gli interessi in conflitto. I partiti che noi conosciamo sono sclerotizzati,vivono uno stato confusionale,  sono diventati populisti e generalisti, sono dei poltronifici  nelle mani di  clan e correnti che ne impediscono il libero dibattito, il confronto e la democrazia  decisionale, hanno dimenticato che cosa sia l’etica e la morale, si mostrano sempre più lontani dai grossi problemi che affliggono il paese.

Si impone quindi  la necessità di dare vita a un nuovo progetto politico che porti principalmente al risveglio  di un pensiero politico coerente che sappia interpretare ed attuare le esigenze della polis.

Pur rimanendo valide le proposte di pensatori ottocenteschi quali Marx e Proudhon per la sinistra e Toqueville per i moderati, oggi abbiamo bisogno di un pensiero più complesso per cogliere tutte le sfaccettature dell’universo attuale.

Va detto che in un’epoca in cui tutti i partiti sono fossilizzati ed hanno perso la loro originale vocazione costitutiva è importante stimolare e sollecitare l’apporto e la mobilizzazione di forze che nascono al di fuori dei partiti. Purtroppo però si tratta, spesso, di forze isolate, locali, senza alcuna connessione.

Molte iniziative interessanti provenienti dalla società civile che si organizza in senso riformista vengono, infatti, ignorate tanto dai partiti tradizionali quanto dalle amministrazioni pubbliche che invece sono chiamate a leggere, interpretare e dare attuazione alle ansie ed alle problematiche dei cittadini.

Se da un canto esistono gruppi di studio e osservatori che hanno già elaborato l’idea di un’economia plurale, a tutto questo manca ancora la capacità di collegamento.

Un altro tema strategico ed intrigante particolarmente caro a Morin  è stato  quello della “mediterraneizzazione”” del pensiero, là dove  il  Mediterraneo viene considerato  lo spazio del conflitto che nasce da diversità spesso inconciliabili tra loro.

L’idea della “mediterraneizzazione” del pensiero scaturisce dall’egemonia della visione del mondo tipica del Nord, che si traduce nella supremazia del quantitativo e del calcolo sul qualitativo.

Il Mediterraneo rimane un’arte del vivere all’insegna della qualità della vita e non della quantità dei prodotti, dove ci sia spazio per l’ozio e la convivialità. Non è un caso che l’idea dello slow-food sia nata in un paese mediterraneo come l’Italia.

L’egemonia del “pensiero del Nord” è, invece, l’egemonia del pensiero quantitativo che soffoca tutto quello che non si può calcolare, come la qualità della vita che è anche amore, comunione, reciprocità, comprensione e collaborazione.

È l’egemonia dell’iperspecializzazione e della meccanizzazione.

Allora il Mediterraneo, nonostante tutte le sue carenze e i suoi difetti rimane ancora l’unico rifugio dove è possibile pensare la qualità della vita. Pensare ad una vita più tranquilla e non accelerata. Siamo, altresì, convinti che la resistenza all’egemonia del “Pensiero del Nord” debba valere anche per il Nord.

È il Nord, infatti, ad avere una maggiore nostalgia di tutte le qualità perdute.

Perché tanti tedeschi programmano le loro vacanze in Italia, in Sicilia, in Puglia, in Grecia, nel Mediterraneo?

Perché trovano non solo il sole ma le relazioni, e quella qualità della vita perduta.

Quella del Mediterraneo è, pertanto, un’arte di vita che si può esportare, malgrado tanti conflitti, tante differenze religiose e nazionali tra le sue varie parti.

In una società multiculturale il gruppo si chiude se non c’è un senso della comunità da parte di tutti, quello dell’unità. In ogni nazione democratica e pluralista vanno rispettati i vari tipi di identità culturale, comprese quelle degli emigrati.

Al contempo tutti questi gruppi devono sviluppare il senso di appartenenza alla nazione ospitante.

La diversità si giustifica all’interno dell’unità e l’unità si giustifica se permette la diversità.

Giacomo Marcario

Comitato di Redazione del Corriere di Puglia e Lucania

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

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