Principale Politica Diritti & Lavoro Commercialisti: sotto i riflettori lo sblocco dei licenziamenti

Commercialisti: sotto i riflettori lo sblocco dei licenziamenti

Tra gli altri temi affrontati nell’informativa: lo smart working – Dalla L. 81/2017 alla recente risoluzione del Parlamento UE sul “diritto alla connessione; Il lavoratore sportivo; La pensione anticipata nel 2021  

Il Consiglio e la Fondazione Nazionale dei Commercialisti hanno pubblicato l’informativa periodica “Commercialista del Lavoro” con al centro una riflessione sullo sblocco dei licenziamenti.

L’avviso comune, si legge nell’editoriale del documento,  sottoscritto tra il premier Draghi, il ministro del Lavoro Orlando e le parti sociali, scongiura la proroga indiscriminata del blocco dei licenziamenti in scadenza il 30 giugno per le aziende industriali.

È un segnale incoraggiante per il tessuto produttivo, indicativo della volontà politica di avviare l’atteso processo di normalizzazione dell’attività di impresa e di riespansione delle prerogative datoriali.

In via eccezionale, l’intesa prevede che l’operatività del blocco dei licenziamenti sia limitato alle imprese operanti nel settore tessile, per quello della moda e per il calzaturiero. Per questi soggetti, un decreto-legge di imminente emanazione istituirà nuovi periodi di integrazione salariale che, stando a quanto preannunciato dai rappresentati governativi, saranno previsti per una durata di 13 settimane anche per tutte le aziende che hanno tavoli di crisi aziendali aperti al ministero dello Sviluppo economico, nelle Regioni e nelle Prefetture. Anche queste imprese potranno intimare licenziamenti soltanto dopo aver esaurito le nuove dotazioni.

Infine, nell’avviso comune viene trasfuso l’impegno delle parti sociali a ricorrere ai licenziamenti quali “extrema ratio”, dunque, previo ricorso a tutti i possibili ammortizzatori sociali predisposti dall’ordinamento per la salvaguardia dei livelli occupazionali. «Le parti sociali alla luce della soluzione proposta dal governo sul superamento del blocco dei licenziamenti si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro», scrivono governo e sindacati nel testo. «Auspicano e si impegnano, sulla base di principi condivisi, ad una pronta e rapida conclusione della riforma degli ammortizzatori sociali, all’avvio delle politiche attive e dei processi di formazione permanente e continua».

La preoccupazione espressa dai sindacati circa la perdita di posti di lavoro, per quanto condivisibile, non può tradursi in prescrizioni normative in grado di ingessare il mercato del lavoro e la normale dinamica di sviluppo imprenditoriale. Il pacchetto di riforme e il piano di investimenti in corso di attuazione finalizzati alla ripresa si mostreranno più efficaci se il tessuto imprenditoriale sarà posto nelle condizioni di riorganizzarsi liberamente per rispondere al meglio ai nuovi stimoli del mercato.

D’altronde, con il decreto “Sostegni-bis” il Governo ha già apprestato misure legate al contrasto dell’emergenza occupazionale e del sostegno al reddito dei lavoratori delle industriali. Il provvedimento, infatti, consente ai datori di lavoro industriali un doppio canale di ricorso in “deroga” ad ammortizzatori sociali in costanza di rapporto.

Il primo è accessibile attraverso accordi collettivi aziendali di riduzione dell’attività dei lavoratori in forza alla data del 30 giugno 2021, per una durata massima di 26 settimane fino al 31 dicembre 2021. Si tratta, di fatto, di un contratto di solidarietà difensivo quale causale di integrazione salariale straordinaria in “deroga”, finalizzato al mantenimento dei livelli occupazionali nella fase post pandemica.

In alternativa, per i datori di lavoro che, a decorrere dal 1° luglio 2021, sospendono o riducono l’attività lavorativa e non possono più accedere alla cassa Covid, nel caso in cui usufruiscano della CIGO o della CIGS, è previsto l’esonero dal contributo addizionale, con il conseguente blocco dei licenziamenti per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021. Il blocco non opera nel caso di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa oppure dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro o, infine, in caso di fallimento.

Purtroppo, le aporie del dettato normativo non consentono l’esatta comprensione di tutti gli aspetti della disciplina, motivo per il quale la migliore gestione dell’emergenza dovrebbe essere perseguita anche attraverso opportune modifiche alla disciplina esistente, più che per il tramite di un ulteriore blocco ai licenziamenti.

In particolare, per ciò che concerne il contratto di solidarietà difensivo in “deroga”, andrebbe fatta chiarezza circa l’applicazione in via analogica dell’intera disciplina prevista dal d.lgs. n. 148/2015 e, in particolare, della possibilità di recupero delle quote di accantonamento del TFR relative alla retribuzione persa a seguito della riduzione dell’orario di lavoro.

Inoltre, dovendo i datori di lavoro dimostrare di aver subito un calo di fatturato nel primo semestre 2021 quale requisito di accesso al trattamento, andrebbe previsto un allungamento dei tempi di esperimento delle procedure e di presentazione delle domande. I dati relativi alla quantificazione e comparazione dei livelli di fatturato, infatti, difficilmente potrebbero essere ottenuti dalle aziende già con decorrenza dal 1° luglio 2021.

Tali circostanze sembrano pure complicare la valutazione in ordine al ricorso al secondo canale di accesso al trattamento di integrazione salariale previsto dal Sostegni-bis, ovvero la CIGO e la CIGS con esonero del contributo addizionale.

Su quest’ultimo fronte, si ritiene debba essere riproposta la semplificazione delle procedure di informazione e consultazione sindacale, chiarendo l’ammissibilità al trattamento pure in assenza di mancato accordo sindacale. Altresì, dal tenore della norma, si comprende che i periodi di CIGO e CIGS con esonero del contributo addizionale siano validi ai fini del computo dei limiti massimi di ricorso agli ammortizzatori sociali previsti dal d.lgs. n. 148/2015. Ciò porrebbe le aziende industriali, anche di piccolissime dimensioni, in una condizione di disparità rispetto ai datori di lavoro al di fuori del campo di applicazione della CIG, per i quali il Decreto Sostegni ha già riconosciuto 28 settimane di integrazione salariale in deroga, da utilizzare fino al 31 dicembre 2021.

Si evidenzia, inoltre, che per i datori di lavoro che, a decorrere dal 1° luglio 2021, sospendono o riducono l’attività lavorativa e non possono più accedere alla cassa Covid, nel caso in cui usufruiscano della CIGO o della CIGS, è previsto l’esonero dal contributo addizionale, con il conseguente blocco dei licenziamenti per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021. Sul punto, dalla lettera della legge, sembra potersi intendere che in tutte le ipotesi di ricorso alla CIGO e alla CIGS successive al primo luglio, anche quando non connesse all’emergenza COVID, scatti per le aziende il doppio automatismo “esonero dal contributo addizionale / divieto di licenziamento”, senza consentire ai datori di lavoro una diversa possibilità di scelta.

Mancano, infine, norme di coordinamento tra le due misure. Nello specifico, i datori di lavoro con calo di fatturato del 50% nel primo semestre 2021 sembrano liberi di scegliere se ricorrere al contratto di solidarietà difensivo in deroga oppure alle causali CIGO/CIGS, lì dove, invece, il d.lgs. n. 148/2015 prescrive l’accesso alla CIGS soltanto quando non sia possibile il ricorso alla solidarietà difensiva.

Per altro verso, il blocco dei licenziamenti non opera nel caso di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa oppure dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro o, infine, in caso di fallimento. In sede di conversione si auspicano modifiche finalizzate a prevenire incertezze applicative in ordine alle ipotesi di licenziamento in occasione delle attività liquidatorie funzionali alla cessazione dell’attività lavorativa.

Qualsiasi sia la scelta che il Governo farà nel breve/medio periodo sarà oggetto di critiche.

Da un lato gli imprenditori che si vedono costretti a non effettuare licenziamenti e non poter pianificare la ripresa economico-finanziaria della propria impresa, dall’altra i lavoratori che si troverebbero a dover affrontare un periodo difficile alla ricerca di un lavoro che, in periodo post pandemia, sarà sicuramente difficile da trovare ed infine i lavoratori più anziani che avranno grandi difficoltà a ricollocarsi sul mercato del lavoro.

Tra gli altri temi affrontati nell’informativa: Lo smart working – Dalla L. 81/2017 alla recente risoluzione del Parlamento UE sul “diritto alla connessione; Il lavoratore sportivo; La pensione anticipata nel 2021. Completano il documento le sezioni riservate all’attività del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, all’attività del Parlamento in merito a lavoro, impresa e welfare e l’’Osservatorio della prassi amministrativa in materia di lavoro.

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

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