Principale Politica La democrazia fondata sullo stato nazionale non ha futuro

La democrazia fondata sullo stato nazionale non ha futuro

di Felice Besostri *) 

Avanti popolo / Non più frontiere / Stanno ai confini / Rosse bandiere: questa la terza strofa, dimenticata, di “Bandiera Rossa”. A essa mi ispirerò in questa relazione.

    Il mio impegno in un’organizzazione politica la Federazione Giovanile Socialista Italiana è del 1961, avevo 16 anni e fui motivato dai Fatti di Genova e Reggio Emilia, ma anche dalla lotta di liberazione algerina.

    In quell’epoca nel linguaggio corrente c’erano ancora i “socialcomunisti”, avrei potuto iscrivermi alla F.G.C.I. se non ci fosse stata l’Ungheria del 1956, con la conoscenza diretta di miei coetanei, che vi avevano partecipato e erano stati costretti all’esilio. A sinistra, solo l’Avanti! di Milano ne aveva compreso la vera natura di alleanza di operai e studenti per un diverso socialismo. Budapest era seguita ai moti di Berlino del 1953 e aveva preceduto quelli di Praga del 1968. La Primavera cecoslovacca terminò quell’anno in agosto, con un inverno anticipato.

    In quei tempi la dimensione internazionale era parte essenziale dell’esperienza politica e non solo per gli scenari lontani, del Vietnam o delle colonie portoghesi. Avevamo ancora regimi fascisti in Europa, in Spagna e in Portogallo, con radici in un passato che era anche il nostro. Ma c’era anche la Grecia dei colonnelli: un colpo di stato fascista in un paese alleato, membro della NATO, insediatosi il 21 aprile 1967 e proseguito, sotto varie forme, fino al 24 luglio 1974.

    Il processo di integrazione europea giocò un ruolo essenziale per l’evoluzione di quei regimi. Si raggiunse la democrazia nel 1981 in Grecia, nel 1986 in Spagna e Portogallo.

    La sinistra avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione alla dimensione democratica per valorizzarla rispetto a quella mercantile o di mera “libertà di movimento” (dei capitali prima ancora che delle persone).

    E veniamo all’UE. Con un Parlamento europeo che aveva cambiato natura con il Trattato di Lisbona (artt. 10 e 14 TUE) diventando rappresentante diretto “dei cittadini europei” (e non più dei popoli degli Stati membri, art. 190 TCE) non avremmo potuto tollerare che sopravvivessero, anzi in Italia si introducessero con la legge n. 10/2009, soglie di accesso nazionali, variabili e facoltative, che sono la negazione del principio di uguaglianza dei cittadini nell’esercizio dei loro diritti costituzionali fondamentali. Tra questi c’è il diritto di voto come sancito il 1° dicembre 2009, in coincidenza della contestuale entrata in vigore della Carta dei Diritti Fondamentali della UE (che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati (art. 6 TUE), e quindi va incorporata nella nostra Costituzione, grazie all’art. 117 c. 1 Cost., come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

    In Italia se ne fece, lasciatemelo ricordare, una legge incostituzionale, come accertato dalla storica sentenza n. 1/2014: intervenuta troppo tardi rispetto agli ammonimenti inascoltati della Corte Costituzionale con le sentenze n.15 e n.16 del 2008. Ciò accadde, tra l’altro, per ragioni di convergenza tra FI e PD, cui appartenevano i due relatori, senatori Malan e Ceccanti, che puntarono a “evitare che rientrassero in gioco le forze politiche escluse dal Parlamento nazionale nel 2008”, grazie alla soglia del 4% della legge n. 2709/2005.

    In un seminario organizzato da ARS e CRS dovremmo parlare dei problemi della democrazia, con un’ottica particolare, di sinistra, per non dimenticare troppo rapidamente l’insegnamento di Gianni Ferrara e le sue critiche alla democrazia incompiuta nella costruzione europea (cfr. Gianni Ferrara, In difesa della sentenza del Bundesverfassungsgericht del 30 giugno 2009 sul Trattato di Lisbona, Astrid vai al link).

    Proprio nella costruzione europea si sono perdute occasioni e si sono creati precedenti pericolosi nella XVIII legislatura, come quella di aver recepito una decisione del Consiglio (UE, Euratom) 2018, 994 del 13 luglio 2018, in materia elettorale ignorando l’art. 72 c. 4 Cost. con due risoluzioni, peraltro nemmeno identiche delle Camere, invece che con legge, come sempre fatto in ossequio all’art. 223 par. 2 TFUE, già art. 190 par. 4 e 5 TCE.

    La stessa legislatura, che ha portato all’estremo un precedente della XVII di approvare con voto di fiducia a richiesta del Governo una legge elettorale, la n. 52/2015, cioè licenziare la legge n. 165/2017 con 8 voti di fiducia (3 Camera e 5 Senato), purtroppo sanandolo con un passo dell’ordinanza di inammissibilità n. 176 del 2020, per cui la votazione con la fiducia è ammissibile se fatta articolo per articolo, cioè rispettando formalmente l’art. 72 c. 1 Cost.. Prendiamone nota a futura memoria, quando si vorrà applicare il precedente ad una revisione costituzionale. L’attuazione della Costituzione dovrebbe essere il collante di una costruzione di una sinistra che si ponga l’obiettivo di essere forza egemone, perché espressione di un consenso maggioritario effettivo e non artificioso (premio di maggioranza) del corpo elettorale.

    Già nel 1944 nell’Avvenire dei Lavoratori, che dirigeva Silone, che pure aveva drammaticamente rotto, pagando un grosso prezzo personale, con il movimento comunista internazionale, aveva colto l’inattualità della divisione tra comunisti e socialisti. Scriveva che quattro erano le questioni fondamentali sulle quali era avvenuta la scissione: “a) difesa nazionale o disfattismo; b) partecipazione ministeriale o opposizione sistematica; c)         legalità o insurrezione; d) dittatura o democraziaOra, nessuno di questi quattro motivi sono ancora oggi attivi nel dialogo politico tra socialisti e comunisti. Se una differenziazione organizzativa persiste ancora tra socialisti e comunisti non è certo per divergenze attuali su qualcuno di questi quattro punti fondamentali”.

    La divisione dell’Europa in due campi Est e Ovest smentì Silone, cioè il contesto internazionale fu un fattore di divisione, che si produsse in ogni paese, con l’eccezione dell’Italia, dove la collaborazione tra un partito socialista, il PSI e un partito comunista, il PCI, ha caratterizzato i governi locali, comuni e province, e successivamente con la loro istituzione il governo di regioni a partire dalle elezioni del 1970.

    Lo stato nazionale è dove si è storicamente sviluppata la democrazia e le leggi sociali, ma ora è in crisi perché non è in grado di affrontare, nemmeno risolvere, i problemi planetari e contrastare le decisioni di soggetti, specialmente economici e finanziari non soggetti ad un controllo di un singolo stato, o meglio detto di uno stato che ha rinunciato ad esercitare un controllo. Le organizzazioni internazionali quando hanno poteri rappresentano gli Stati tramite i loro governi e la dimensione parlamentare non è prevista o è ancillare, come nel Consiglio d’Europa, anche la NATO , come l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (O.S.C.E.) hanno una dimensione parlamentare, ma senza poteri, i Parlamenti perdono influenza a favore degli esecutivi, e sorgono organizzazioni internazionali, pensiamo all’Organizzazione Mondiale per il Commercio senza alcun passaggio parlamentate d ratifica di un trattato internazionale. I Parlamenti nazionali non hanno voce nelle decisioni del Fondo Monetario Internazionale, e quando agiscono come la Troika nel caso greco, non è solo il Parlamento nazionale ad essere accantonato, ma lo stesso Parlamento Europeo.

    Una decisione di entità private come le agenzie per il rating del debito pubblico dei singoli stati, determinano le politiche pubbliche prescindendo da decisioni parlamentari.

    Ma la democrazia storica non è sfidata soltanto dall’internazionalizzazione, ma anche dal basso perché lo stato nazionale si fonda sulla cittadinanza, ma la comunità è, ormai andata oltre, perché è costituita dalla persona umana e dei suoi diritti che possiede in quanto tale e non perché convessi dallo Stato. Anche in questo la nostra Costituzione è stata anticipatrice (art. 2 Cost.), ma non la legislazione ordinaria, come la non integrale attuazione della convenzione quadro del Consiglio d’Europa sulla protezione delle minoranze nazionali pur ratificata con la legge n. 302 del 28 agosto 1997, (Gazzetta Ufficiale n. 215 S.O. del 15 settembre 1997 che consentirebbe di dare il voto nelle collettività locali gli stranieri con 5 anni di residenza, per non parlare della partecipazione degli stranieri residenti negli affari cantonali concessa da cantoni svizzeri, cioè in materia statale, quando sono esclusi in Italia in materia regionale i cittadini dell’UE.

    La riflessione a sinistra è all’altezza dei problemi? Non credo. Eppure l’Europa è staia la culla del socialismo in tutte le sue versioni storiche, che hanno dimenticato l’aspirazione internazionalista a vantaggio della politica di potenza e nazionale

     Nel nostro bagaglio storico abbiamo due casi quello cileno e quello cecoslovacco con le loro potenzialità di consenso democratico e popolare per politiche di trasformazione sociale, quale lezione ne abbiamo tratto? La lezione cilena ha prodotto il compromesso storico e che non basta neppure essere maggioranza e quella cecoslovacca dell’impossibilità di una transizione pacifica. In tutti e due i casi i limiti sono stati posti dall’esterno, dagli Stati Uniti nel primo caso, dall’Unione Sovietica nel secondo.

    Soltanto un progetto come quello federalista europeo potrebbe combinare democrazia e dimensione internazionale adeguata. 

*) Intervento tenuto al seminario ARS-CRS il 16 giugno scorso.

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