Principale Estero Guerra e pace israelo-palestinese un mese dopo. La tregua

Guerra e pace israelo-palestinese un mese dopo. La tregua

Riportiamo di seguito ampi stralci della riflessione svolta dal compagno professor Paolo Bagnoli che ha riassunto alcuni temi essenziali della situazione in MO dopo il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. 

di Paolo Bagnoli 

È arrivata un mese fa, dopo la guerra la tregua tra Israele e Hamas, ma il processo di pace? Sembra allontanarsi in un futuro piano di incognite. La guerra è stata di attacco da parte di Hamas e di difesa da quella di Israele il quale, nella sua storia, non ha mai attaccato nessuno e quando è stato chiamato alla guerra si è dovuto necessariamente difendere.

    Come sia andato il conflitto è largamente documentato; le vittime e le distruzioni che ha provocato ci hanno riempito di sofferenza, ma crediamo che la tregua non porti la rinascita di una politica che garantisca la pace tra due popoli che sono uno nell’altro fino a che si continuerà a ritenere lo Stato di Israele come abusivo chiedendone la distruzione. Questo ci sembra anche il primo fondamentale passo perché il popolo palestinese, costretto ad una dura esistenza, acquisti piena autonomia politica e non sia, come è sempre stato, strumentalizzato da vari Paesi arabi per fini diversi dalla sua causa.

    La politica dei coloni non è sionismo che, storicamente, è un fenomeno legato al ritorno degli ebrei in una terra ove ci sono sempre stati. Tornare, tuttavia, non significa prepotenza verso le altre popolazioni del luogo; in ogni caso è un fenomeno diverso dall’essere popolo ebraico cui la comunità internazionale, nel 1948, ha riconosciuto la legittimità di avere uno Stato così come lo riconobbe, contestualmente, al popolo arabo che stava allora sotto i giordani nella Cisgiordania e gli egiziani a Gaza.

    La politica è idealità e concretezza. Possiamo sforzarci di comprendere tutto, ma ci è impossibile trovare una plausibile motivazione che giustifichi gli sfratti di quattro famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah in base a documenti di due secoli orsono. Per le stesse ragioni anche le case abitate dai palestinesi, passate agli israeliani in seguito ai conflitti perduti, dovrebbero tornare agli eredi dei proprietari originari. Insomma, per costruire bisogna dare senso alle cose, quando questo non c’è, tutto può succedere e la guerra, magari in un’escalation di tensioni e di interessi geopolitici complessi, non si sa che piega possa prendere.

    Non ha senso richiamarsi alla pace se non si dà senso alle cose che realmente costruiscono i processi di pace e, quindi, di convivenza anche se difficile e complicata perché tutto non si può realizzare in un sol attimo, ma solo con la pazienza e la volontà di smussare con ragione i motivi per conflitti sempre più pericolosi e sempre più coinvolgenti larghe fasce di una zona molto delicata e a rischio permanente. Come quasi sempre l’Europa non batte colpo. 

La Rivoluzione Democratica

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