La Poesia è per tutti
foto di copertina Federico Garcia Lorca
… la poesia non si mangia ma può diventare indispensabile
Rubrica culturale del Corriere di Puglia e Lucania, a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte
L’intento della rubrica è quello di sfatare l’idea che la poesia sia qualcosa di astruso e che possa piacere o non piacere. In realtà la poesia è nelle nostre vite più di quanto noi possiamo immaginare. Basti pensare alla commistione della poesia con le altre forme artistiche, per esempio alla musica pop, di cui essa è un riflesso.
Proporremo, ogni giorno, pochi grammi di poesia, legati ad un fatto del giorno o ad una data da ricordare sperando che, tra le mille incombenze quotidiane, ogni Lettore, possa ritagliarsi qualche minuto per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi.
Buona Poesia!
Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte
redazione@corrierepl.it
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Il 17 giugno 1960 muore a Solesmes, Pierre Reverdy, poeta e aforista francese.
Sensibile alle ricerche dei pittori cubisti, accolse sulla rivista Nord-Sud (1917-1918) scritti di Max Jacob, Apollinaire e di esponenti del cubismo letterario. Dal 1915 pubblicò, quasi di anno in anno, numerose raccolte poetiche, oltre a qualche volume di saggistica e narrativa. I suoi versi sono riuniti nei volumi: Plupart du temps (Maggior parte del tempo, del 1945) per il periodo 1915-1922 e Main-d’œuvre (Manodopera, del 1949). Le sue poesie sono un tessuto di immagini concrete e misteriose insieme. Ammirato dai surrealisti, Reverdy ha lasciato un’impronta profonda nella poesia contemporanea. Appartato e riconoscente al mondo che lo ha fatto poeta.
Il sapore del reale
Camminava su di un piede
senza sapere dove posare l’altro.
All’angolo della strada
il vento spazzava la polvere
e la sua bocca avida ingoiava tutto lo spazio.
Si mise a correre
sperando di volar via
da un momento all’altro,
ma sul bordo del ruscello
il selciato era umido
e le sue braccia che battevano l’aria
non l’hanno potuto trattenere.
Nella caduta capì
ch’egli era più pesante del suo sogno
e amò, poi,
il peso che l’aveva fatto cadere