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Viaggio a Teheran, dove un chilo di carne è diventato un bene di lusso

L’Iran che venerdì è chiamato a scegliere il prossimo presidente arriva da anni molto difficili economicamente. Il potere d’acquisto della classe media è crollato e c’è chi si arrangia con il mercato nero della compravendita di valuta

© AGI – Gente in fila ai cambi valuta di via Ferdowsi a Teheran

In via Ferdowsi, l’hub dei cambi valuta di Teheran, Kazem è appostato sotto il sole cocente con la sua moto e un borsello a tracolla pieno di dollari e rial, la valuta iraniana. Da tre mesi, questo è il suo ‘ufficio’: 40 anni, di professione è elettricista, ma il lavoro scarseggia e per arrivare a fine mese si è messo nel mercato nero della compravendita di valuta: grazie ai margini che fa, speculando sulla volatilità del rial, riesce a mantenere una moglie e un figlio.

Vendere e comprare dollari per salvare i propri risparmi è un’attività comune per gli iraniani – da decenni alle prese con una moneta instabile, in un Paese dipendente dalle importazioni – ma la grave crisi economica degli ultimi tre anni ha trasformato questo tipo di attività in una fonte primaria di guadagni. L’Iran che venerdì è chiamato a scegliere il prossimo presidente arriva da anni molto difficili economicamente.

“Il 2018 e il 2019 sono stati il risultato della reintroduzione delle sanzioni americane e hanno portato a un significativa svalutazione del rial, arrivato a perdere oltre il 60% del suo valore, ad un’inflazione con picchi superiori al 40% e a una bassa crescita economica”, spiega all’AGI Esfandyar Batmanghelidj, visiting fellow allo European Council on Foreign Relations.

A tutto questo, nell’ultimo anno, si è aggiunto anche l’impatto della pandemia di Covid-19 che ha fatto aumentare la disoccupazione. A farne le spese sono state soprattutto le famiglie della classe operaia e della middle class, il cui potere d’acquisto è crollato. In Iran, si dice che per capire coma va la politica basta guardare a quanto viene scambiato il rial sul dollaro: “Ai tempi dello scià, il cambio era a 70 e dopo la Rivoluzione è sempre e solo salito”, si lamenta Mustafa, che ha un negozio di argento e bigiotteria.

A luglio 2015, appena firmato l’accordo sul nucleare che ha portato alla revoca delle sanzioni e aveva fatto sperare in una stagione di sviluppo e benessere, poi annullata dalla politica di massima pressione di Trump, un dollaro veniva comprato per 32.000 rial.

Oggi a via Ferdowsi i cambi vendono un dollaro a 236.000 rial rispetto ai 300.000 di un mese fa e per questo molte persone sono corse ad approfittarne. “Quasi nessuno di loro, però, è in partenza per l’estero”, fa notare Reza, un trentenne che a fine mese è diretto in Canada per una borsa di studio e che chiede di non citare il suo cognome come molti iraniani disposti a parlare con la stampa straniera.

“La maggior parte della gente viene qui per speculare e arrotondare i propri guadagni e negli ultimi mesi sono sempre di più”, continua il giovane, “in molti pensano che dopo le elezioni presidenziali di venerdì, il dollaro salirà di nuovo e potranno così guadagnare qualcosa rivendendo”.

Chi ha le possibilità, inoltre, compra oro o investe nell’immobiliare contribuendo alla bolla dei prezzi che ha fatto salire alle stelle i prezzi delle case, buttando la gente fuori dal mercato.

La ripresa economica è al centro delle preoccupazioni di un elettorato per lo più apatico e frustrato rispetto alla politica, anche a causa delle mancate promesse di benessere fatte dal presidente uscente, il pragmatico Hassan Rohani. “Che voto a fare il presidente, se poi abbiamo la Guida Suprema che decide tutto?”, tuona Golnaz, architetta incinta di sette mesi, e secondo la quale nessuno della sua famiglia andrà a votare.

Amin ha 30 anni e fa l’insegnate, e vive con i genitori: “Devo trovarmi un secondo lavoro perché con i 100 dollari al mese che guadagno a scuola, per comprare la macchina più economica che c’è, mi servono più di cinque anni di lavoro e per una casa almeno un secolo”. Con uno stipendio medio equivalente a 200 dollari, anche la carne a 7 dollari al chilo è diventato un bene di lusso. Per non parlare dei prodotti non essenziali come una tinta per i capelli di marca europea: un tubetto può arrivare a costare 41 dollari.

Sono, invece, addirittura introvabili ormai diversi pezzi di ricambio per elettrodomestici o computer, tutti d’importazione. Negli ultimi 6 mesi, si è però registrata una lieve crescita economica e le previsioni per il 2021 parlano di +1-3%. “Anche il tasso d’inflazione si sta abbassando”, fa notare Batmanghelidj, secondo il quale la spiegazione sta nel fatto che “il Paese sta tornando a lavoro dopo la pandemia e l’economia si è adattata allo shock delle sanzioni”.

Ma c’è un problema: la ripresa economica non è abbastanza forte per permettere alle fasce più colpite di riguadagnare la posizione finanziaria ed economica pre-crisi. “Politicamente questa è una sfida importante”, conclude l’analista, “ma se ne è parlato poco nei dibattiti elettorali. Tra il 2017 e il 2019 si è assistito a scioperi e manifestazioni legati a istanze economiche e se questa frustrazione tra la popolazione persiste, potrebbe sfociare in nuove proteste; non penso saranno pericolose per la tenuta del regime, ma rifletteranno un significativo malcontento che la politica dovrà in qualche modo affrontare”. agi

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