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Storie di atleti eccezionali

Arsenico Diciassette

Atleti eccezionali, uomini vincenti che rimarranno per sempre nella storia dello sport mondiale per una serie infinita di fattori umani, professionali e sentimentali: Michael Jordan, Diego Armando Maradona, Fausto Coppi, Roger Federer, Ayrton Senna, Tiger Woods, Gigi Riva, Rafael Nadal, Michael Schumacher, Larry Bird, Gino Bartali, Tazio Nuvolari, John Patrick McEnroe, Magic Johnson, Borg, Muhammad Ali e tanti altri ancora.

C’era una volta lo Sport con la “S” maiuscola. La lista della spesa sarebbe lunghissima e, onestamente, faremmo notte inoltrata a elencarla tutta. E poi, a pensarci bene, a quel carello virtuale della spesa ci sarebbero da aggiungere altri atleti eccezionali: Francesco Totti, Bruno Conti, Marco Pantani, Roberto Baggio, Gianfranco Zola, Andre Agassi, Omar Camporese, Andrea Lucchetta, i fratelli Abbagnale, Mark Lenders, Oliver Hutton, Benjamin Price, Philip Callaghan e…. Marco Mancosu.

Oh, cosa mi frulla per il cervello? Mi frullano tutti quegli atleti eccezionali nonché tutti quelli saliti sul carro del vincente grazie a imprese sportive definibili memorabili. Insomma, tutti quegli atleti che ci riportando indietro nel tempo; Ah, che nostalgia canaglia!

Quanti colpi sono? Siamo su trentasette colpi. Trentasette colpi per l’Italia che è passata ai 500 metri e si presenta negli ultimi duecento metri. E lo show azzurro che si sta facendo vedere in questo momento. È un Italia stupenda, un quattro di coppia che sta per entrare anche lui nella storia Olimpica. L’Italia è in testa, la Norvegia tiene fortissimo e il momento di non cedere ma mi sembra che sia ben salda, la barca azzurra si presenta sotto le tribune con circa ¾ di imbarcazione, la vedete è lì al centro del campo di regata che resiste anche all’attacco dell’esterno della Norvegia e della Germania dell’Est. Ma più nulla ci può togliere questa medaglia d’oro. È imprendibile l’Italia, vola verso il traguardo, controlla a destra, controlla a sinistra e l’Italia taglia il traguardo.

Wow! Wow! Wow! Wow! Che emozione, ragazzi e ragazze.

È una delle telecronache sportive più belle, emozionanti e passionali della storia italiana. Il protagonista è il giornalista romano Giampiero Galeazzi, il quale consegnerà alla storia la migliore telecronaca sportiva di tutti i tempi: la grande notte degli Abbagnale all’Olimpiadi di Seul 1988.

Avevo soltanto undici anni. Frequentavo la Scuola Media “P. Pio” di Cerignola ed ero pazzo di quella ragazza con il profumo di lavanda sui vestiti e il poster di Luca Carboni appeso in camera da letto.  La dolcissima Betty. Ehm, e fu in un raro momento di distrazione della donna che – con una penna cancellabile blue e con il gommino in testa: quello mangiucchiato sulla punta – le dedicai la mia prima poesia d’amore. 

Tu puoi sempre. Danza nuda e scalza, ridi della mia solitudine. Tu puoi sempre sazia d’amore e assetata di sangue. Tu, questa notte, prendimi, tagliami e mangiami. Tu puoi sempre musa, carezza, passione, corazza invulnerabile e irraggiungibile. Tu puoi sempre ombra e forma ispirata e ispiratrice. Tu… Tu danza fino all’alba, celebra la mia pazzia. Fammi il tuo schiavo prediletto. Mettimi le catene. Betty, amore mio, tu puoi sempre.

La poesia è il mio tesoro! L’unica dote che mi resta da emigrato infelice. Oggi, più che mai, sono avido di ricordi. Vi maledico tutti, senza fare alcuna differenza tra i belli e i brutti. Parlo con voi pensieri fugaci, spesso crudeli, e altre dolci, i quali vi prendete gioco del sottoscritto. Un povero mentecatto con la Pianura Padana alla bocca. Vi maledico tutti, soprattutto, quando venite a trovarmi, privi di un invito formale e a qualsiasi ora del giorno e della notte. Voi. Dico a voi maledetti che straziate il mio corpo in piccoli brandelli di carne. Allora cosa state aspettando? Placate, per sempre, la mia sofferenza. Finitemi, una volta per tutte, e infine datemi da mangiare ai porci. Perché alla fine non resterà altro che una profonda e greve malinconia.

I grandi campioni del passato hanno riempito le giornate, le ore, i minuti e i secondi della mia vita mortale. Che voi siate sempre benedetti! Un amore puro quello per lo Sport; un sentimento genuino, un po’ come quello di una madre per il proprio figlio prediletto. E allora, oggi, che siano, unicamente, parole al miele a riscaldare la mia anima perduta: Voci dolci, flebili e silenziose che fluttuano leggiadre nell’aria in cerca di un porto sicuro nel quale attraccare. Che loro siano il mio faro sicuro. E niente più! Che dentro quel faro ci sia una piccolissima luce e in essa un barlume di speranza.

E io ho amato tutto di questi atleti eccezionali e delle loro gesta spesso epiche. Ho amato tutto quello che c’era d’amare, schiavo dell’amore.

Ricordi appesi a un muro, sempre in bilico, su una piccola puntina di plastica e sul momento di cadere da un momento all’altro.

Cambiasso, riesce ad andare via e poi salta anche Ze Maria, insiste ancora Totti, lo aspetta Materazzi. Totti si trova quasi in zona tiro. Totti si è liberato, pallonetto. Francesco Totti, un goal pazzesco. Pazzesco per il due a zero.

Era il 26 marzo 2005 e il mio idolo di sempre segnò uno dei suoi goal più belli, contro l’Inter a San Siro.

Avevo 28 anni (non ancora emigrato al Nord) e dove mi trovavo? Ero nella tana dei leoni con mio padre, in incognito, con i baffetti all’insù e un paio di occhiali finti (quelli da sole tarocco sopra quelli da vista): il temutissimo Inter Club di Cerignola. Mamma mia, quel posto era una bettola, un covo di esagitati tifosi interisti dalla lingua biforcuta di colore bianco e nero.

Per un’esultanza a forti tinte giallo e rossa, soltanto pochi istanti dopo l’eccezionale prodezza tecnica e balistica di Francesco Totti, quella sera rischiai davvero grosso: il linciaggio degli ultrà interisti con a capo il più crudele di tutti, il mio amato padre.

E meno male che fuori da lì, papà mi diceva che mi voleva bene…!!! E sti cazzi!!! E se mi voleva male?

Per fortuna quella sera rimasi illeso perché riuscii a nascondermi, quatto quatto tra la folla inferocita, strappando a tradimento a un ignaro e ingenuo tifoso nerazzurro un cappellino, un naso finto con dei baffetti di colore nero e una sciarpa dell’Inter nemmeno di puro cotone. Fortunatamente, oggi, sono qui a raccontarlo, anche se, ahimè, da centinaia di chilometri di distanza. Forse troppi per un meridionale nostalgico. Era l’era del modem a 56kb. Chi tra i connessi non ricorda quella connessione dal rumore infernale? Quindici secondi di puro terrore per un’intera generazione di uomini e donne diversamente pettinati. Sei tu Arsenico? Si mamma, sono io! Non puoi fare meno rumore a quest’ora della notte? Uffa mamma non è colpa mia, è il modem di Telecom Italia.

E allora adesso che si fa gente? È tutto cambiato in peggio? Si stava meglio quando si stava peggio? Non esistono più le mezze stagioni? I giovani non sono più educati come quelli del passato? Niente di tutto questo! Nulla di quanto detto fino a ora, perché tutto è più semplice di come sembra.

Si fa quello che l’uomo ha sempre fatto, da sempre, in secoli e in secoli di storia. L’uomo s’innamora follemente, sogna anche quello che non potrà mai avere in cento vite, soffre a causa di sé stesso e altre volte a causa degli altri, piange, ride, geme, urla, schiamazza e si emoziona, soprattutto, grazie allo sport e alle sue meravigliose storie da raccontare con i suoi degni protagonisti.

E noi, beh, non siamo altro che degli umili cantastorie in cerca di emozioni forti. Ognuno di voi lo è! E se siete qui a leggermi ci sarà un motivo e magari, pensando positivo, ci unisce l’amore incondizionato per lo sport.

Pronto Marco. Ciao mamma, come stai? Io bene e tu? Mamma ti devo confessare un segreto! No, Marco hai il Covid? No! Mamma molto peggio, ho un tumore! 

E la storia di un altro atleta, uomo, eccezionale si incrocerà con quella di un altro uomo. E quella storia, fino a quel momento estranea al vissuto di quell’uomo, beh, diventerà la sua storia: quella in cui nuovamente immedesimarsi. E in un certo senso essa gli apparterrà ed egli apparterrà a essa finché ci sarà un altro cantastorie a raccontarla. 

Pronto Marco. Ciao mamma, come stai? Io bene e tu? Mamma ti devo confessare un segreto! No, Marco hai il covid? No! Mamma molto peggio, ho un tumore!

E in questa storia:

Ed è allora che si farà sempre più forte quell’odore, nauseabondo, di alcool e di siringhe usate; Ed è allora che si farà, sempre, più assordante il maledetto rumore di una sirena schiamazzante. E su tutti un pensiero dominerà incontrastato, prigioniero, tra le quattro mura di un freddo Ospedale del Nord: quello di essere costretto dalla malattia a lasciarsi la propria terra alle spalle e quell’angoscia tremenda di non poterci più tornare con le proprie gambe. Soltanto una piccola valigia a ricordati chi sei stato; in essa c’è tutta la tua vita. “Troppo poco!”, ti dirai in un raro momento di lucidità. Ma quella “cazzo” di valigia, apparentemente insignificante, molto probabilmente sarà l’unico oggetto che un giorno ti porterai via da quell’inferno….

Mamma ho il cancro! Non ti preoccupare figlio mio. Vedrai che alla fine sarà soltanto un’altra storia da raccontare…quella di un altro uomo, quella di un altro atleta straordinario 

A mio padre, 17/10/1945

Arsenico17

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