Principale Politica Diritti & Lavoro Semplificazioni: non c’è quarantena per le cosche

Semplificazioni: non c’è quarantena per le cosche

Semplificazioni – Non deve proprio essere vero che la collera è un sentimento rivoluzionario, altrimenti vedremmo torme incazzate prendere possesso di palazzi d’Inverno, divellere bancomat e muovere i panzer comprati a caro prezzo nelle svendite Nato contro le porte blindate dei caveau.

E sulle carrette traballanti dirette verso una qualche Place de la Concorde  potremmo scorgere il volto smorto di paura di Sorgi, venuto su con le avventure del signor Bonaventura, che ha informato  i senza tetto attuali  e quelli che si preparano grazie allo  sblocco degli sfratti, che se non sono nati e non vivono in una casa da un milione è perché sono degli inveterati cazzoni.

Invece i poteri forti, chiamati così quando ci illudevamo che ne ce fosse qualcuno di debole da piegare alla volontà popolare, possono stare tranquilli, perché hanno sempre qualche arma di ricatto o intimidazione o qualche blandizia per assicurarsi obbedienza e consenso.

È il caso del “restyling” secondo Draghi dell’edificio di necessarie semplificazioni che già dovevamo a Conte, con il rumoroso assenso dei 5stelle cadenti, dimentichi delle parole d’ordine che avevano contribuito al loro successo, trasparenza, onestà, contrasto alla speculazione e corruzione.

Si, c’è qualche associazione, qualche organizzazione sindacale che ha ripreso un po’ di fiato, qualche corporazione che solleva caute obiezioni, ma il partito del cemento, dell’abuso, della licenza e delle manomissioni di norme urbanistiche ridotte a  canovaccio per la  sacra rappresentazione del negoziato impari tra amministrazioni e privati, ha dalla sua la folta schiera dei tesserati della verandina, del piano in più per i ragazzi e della cantina dove mettere il tapis roulant, che approfittando di qualche bonus green si allarga, sopraeleva, o addirittura in attesa del dopoguerra turistico si attrezza per diventare imprenditore di se stesso grazie al brand dei B&B.

La settimana prossima il decreto va all’esame del Consiglio dei Ministri, monolitico quando c’è da appagare gli appetiti di qualche lobby,  in lieve ritardo rispetto alle raccomandazioni pressanti dell’Ue che reclama “congruità” con gli indirizzi e i criteri del Recovery in materia di infrastrutture e appalti.

Gli ultimi ritocchi su autorizzazioni, permessi e burocrazia allo scopo di eliminare i “colli di bottiglia” che potrebbero soffocare i progetti del Piano nazionale, danno per certi   il silenzio assenso “certificato” e in seconda battuta “autocertificato”, la cancellazione della soglia del subappalto e il divieto di appalto integrato, procedure più veloci per le zone economiche speciali del Mezzogiorno. Non mancano le sanzioni per i funzionari che ostacolano il passaggio all’amministrazione digitale, il potere di sostituzione da parte delle amministrazioni centrali quando quelle locali perdono tempo.

Perfino il Pd mugugna forse per dimostrare una prudente rottura con uno dei capisaldi del renzismo, oggetto di culto modernista di ogni Leopolda insieme alle baggianate meritocratiche e al dinamismo futurista dei cretini al servizio della speculazione magnamagna. È che perfino a Letta che dovrebbe esserci abituato fa impressione la   sfrontata consegna alle cordate delle Grandi opere, alle procedure preliminari di facilitazione del voto di scambio nei comuni, all’aiutino dato a grandi imprese, che ormai mutuano le abitudini della criminalità organizzata con la quale  stringono alleanze non temporanee, per sottrarsi a controlli in materia di aggiudicazione di opere, di diritti del lavoro e di sicurezza. E perfino Landini si è scrollato di dosso la naftalina nella quale aveva riposto ogni rimembranza della sua funzione di rappresentante degli interessi degli sfruttati, interrompendo i riti del culto della personalità del Presidente per obiettare che in nome  “in nome della semplificazione e della rapidità delle opere potrebbero venir meno anche le tutele dei lavoratori, garantite dalle barriere poste finora al subappalto e al massimo ribasso”.

Prende tempo invece il ministro Giovannini che rassicura: non c’è da temere per la velocizzazione dei tempi delle procedure di Via: intanto ci si allinei scrupolosamente e convenientemente   per adeguarsi ai criteri imposti dalla Commissione per accedere a quell’elemosina maledetta a beneficio delle major della bulimia costruttivista, in attesa che l’Esecutivo provveda con una legge delega di riforma organica in materia degli appalti pubblici, che “regolerà anche la Via, la tutela paesaggistica,  la sicurezza”, materia che per ora verrebbe affidata a una task force di 40 esperti, della quale si sentiva il bisogno, tecnici selezionati dai ministeri delle Infrastrutture e della Transizione Ecologica, in aggiunta ai supercommissari straordinari già scelti per la sorveglianza e la realizzazione delle opere infrastrutturali strategiche.

E se le mafie hanno avuto di che lagnarsi per una diminuzione di certi introiti non sufficientemente compensata dalla valorizzazione di nuovi brand di carattere sanitario, possono guardare invece con fiducia a questa riedizione della  Legge Obiettivo del tandem Berlusconi e Lunardi. L’abrogazione dei divieti di affidamento congiunto per le opere del Recovery e l’aggiudicazione sulla base del criterio del prezzo più basso, danno campo libero alle stazioni appaltanti autorizzate a stringere accordi opachi e legittimano le aziende a recuperare sui costi con accordi collusivi, perizie suppletive e varianti in corso d’opera, oppure allentando le tutele alla sicurezza dei lavoratori, dando ai controlli antimafia una veste rituale facilmente aggirabile.

Tanto per non lasciare dubbi ben due articoli del provvedimento sono dedicati a grandi opere indilazionabili,  in qualità di modello e format di riferimento  per l’applicazione delle nuove misure:  l’alta velocità Salerno-Reggio Calabria e quella in Sicilia, la linea Fortezza-Verona e la diga di Pietra Rossa, l’acquedotto del Peschiera e gli interventi di elettrificazione delle banchine portuali, il sistema tranviario di Palermo e la diga foranea di Genova, che, come informa il Fatto Quotidiano, costituiscono il laboratorio sperimentale della completa riscrittura del processo autorizzativo grazie alle “Semplificazioni procedurali in materia di opere pubbliche di particolare complessità o di rilevante impatto”.

Siamo alle solite, macchine di produzione di malaffare si trasformano magicamente in interventi di interesse generale, opere di accertata superfluità diventano emergenze da gestire con provvedimenti di eccezione, autorità straordinarie, leggi speciali sottraendole a controllo e vigilanza da parte di soggetti sempre più impoveriti delle loro funzioni e umiliati da anni di denigrazione delle loro funzioni “professorali” di gufi e disfattisti.

Ma c’è una differenza dai tempi della lotta del Cavaliere contro i lacci e laccioli che ostacolano la libera iniziativa imprenditoriale e personale. Una volta facevano almeno la fatica di dire che la semplificazione serviva a rendere più scorrevole  e facile l’esistenza dei cittadini, provati dalla burocrazia,  sanzionati per ogni minima licenza, perseguitati anche per abusi in stato di necessità.

Adesso il silenzioso e enigmatico liquidatore non spreca parole per vendere la merce avvelenata. A beneficiare mica deve essere la gente comune alle prese con le liste della vaccinazione, le autocertificazioni, le disposizioni criptiche dei Dpcm, i pass vaccinali, le app per stanare renitenti e disertori, macchè, sono le lobby, le solite cordate,  i manager che così non devo più nemmeno entrare e uscire dalle porte girevoli dei tribunali autorizzati finalmente all’illegalità a norma di legge.

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