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La Grande Muraglia Verde per combattere siccità e creare benessere nel Sahel e Paesi Sahariani dell’Africa. Impegno arduo dell’ONU

L’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati ha lanciato un allarme accorato e nello stesso seriamente preoccupato per le disastrose conseguenze che potrebbero colpire la regione africana del Sahel, se non sarà garantito con urgenza un valido supporto agli interventi umanitari necessari per rispondere a quella che è divenuta la crisi col più rapido ritmo di crescita su scala mondiale in relazione al numero di persone in fuga ed esigenze di protezione.

Per la Caritas nella regione del Sahel 6 milioni di persone sono a rischio fame;. per fronteggiare una emergenza così grave la Caritas ha chiesto la mobilitazione dell’ONU, dell’Unione Europea e di tutti gli Organismi che si occupano di Solidarietà Internazionale. La rete internazionale della Caritas si è già  mobilitata per portare i primi urgenti  aiuti alla regione africana  del Sahel, colpita da una perdurante siccità e gravissima carestia ma anche da instabilità politica e conflitti di varia natura. In una vasta area che comprende il Senegal fino al Ciad, passando per Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Camerun, 6 milioni di persone lottano per la loro sopravvivenza, per soddisfare le loro esigenze alimentari quotidiane e fermare la condizione di grave malnutrizione che minaccia la vita di 1,6 milioni di bambini privati del diritto al cibo, alla salute ed all’istruzione.

La crisi viene da lontano, purtroppo, le tante richieste di aiuto  rimaste disattese ed inascoltate  hanno portato ad una crisi umanitaria senza precedenti con il rischio di un ulteriore  peggioramento nei prossimi mesi se non saranno posti in essere interventi significativi che consentano alle popolazioni di poter  irrigare e coltivare i loro campi e poter raccogliere almeno i beni di primissima necessità. “La situazione umanitaria in Niger è drammatica, sta peggiorando giorno dopo giorno a causa della forte insicurezza nelle regioni di Diffa, Tillabery e Tahoua”  fa sapere Raymond Yoro, Segretario Generale di CADEV/Caritas Niger,  specificando che il numero di persone bisognose nel Paese africano è aumentato a 2,3 milioni, con un incremento di 400 mila unità rispetto al 2019.

Il Sahel è una delle regioni al mondo che subisce maggiormente l’innalzamento delle temperature dovute ai cambiamenti climatici e ancora una volta si è di fronte ad un caso emblematico di “climate injustice”  o ingiustizia climatica, che penalizza i paesi più vulnerabili. La riduzione dei raccolti, la mancanza di acqua, la morte degli animali, l’aumento dei prezzi del cibo, divengono fattori di crisi nella misura in cui la popolazione, dedita per lo più all’agricoltura e alla pastorizia, non ha le risorse necessarie per far fronte alla stessa. A ciò si devono aggiungere le numerose situazioni di conflitto armato e instabilità presenti nella regione.

Conflitti che hanno costretto centinaia di migliaia di persone a cercare rifugio nelle comunità e nei paesi vicini, abbandonando villaggi, campi, parenti e progetti di vita. Le Caritas del Sahel, da anni impegnate in programmi per aiutare le comunità a reagire agli shock ambientali e nel sostegno a profughi e sfollati, si sono prontamente attivate con interventi che mettono insieme l’assistenza umanitaria e il contrasto alle cause della crisi.

Gli interventi si concentrano nel settore della sicurezza alimentare e nutrizionale con azioni di diversa tipologia a seconda dei contesti, in particolare: distribuzione di voucher per l’acquisto di generi alimentari in favore di nuclei familiari in difficoltà in Burkina Faso; fornitura di attrezzi e altro materiale utile a ripristinare attività generatrici di reddito che garantiscano alle famiglie un’entrata economica stabile in Niger; iniziative per creare sistemi di informazione e allerta sull’andamento del clima e delle precipitazioni, in Mauritania.

Sempre la Caritas Italiana, ha effettuato in favore del Sahel  un primo stanziamento economico  a supporto degli interventi nell’area, in particolare Burkina Faso, Niger, Mauritania, Senegal e Camerun.

Ma è necessario un impegno ulteriore e soprattutto di quelle grandi comunità ed organismi internazionali come l’ONU. Da qui l’appello alle comunità cristiane e alle persone di buona volontà per un aiuto concreto a sostegno delle popolazioni colpite da questa emergenza, ma soprattutto il monito ai governi ad agire in fretta avviando nuove e più efficaci politiche per rimuovere le cause di questa crisi, tutelando il diritto al cibo della popolazione, stabilizzando e promuovendo la pace, rafforzando la resilienza dei piccoli agricoltori e la loro partecipazione alle scelte strategiche in materia di sicurezza alimentare.

La Caritas ovviamente, non è la sola Organizzazione Internazionale ad occuparsi della crisi del Sahel; un appello è partito dalla Fao, dall’ Unicef e dal World Food Programme che in un comunicato congiunto segnalano come in Burkina Faso, Mali, Niger e in generale in tutta l’area del Sahel centrale 3,3 milioni di persone hanno bisogno di assistenza alimentare immediata e che se non verranno prese misure adeguate, la mancanza di sicurezza sul cibo potrà colpire fino a circa cinque milioni di persone nel periodo estivo mentre per gli interventi più immediati sono necessari almeno 127 milioni di dollari. “La situazione nel Sahel è una crisi umanitaria gravissima che è deteriorata rapidamente quest’ultimo anno”, spiega a Vatican News James Belgrave, portavoce del World Food Programme: “Stiamo vedendo la combinazione molto letale di conflitti armati, sfollamento delle popolazioni e livelli di fame e malnutrizione molto elevati. Sono tutti fenomeni aggravati poi dai cambiamenti climatici”.

Nel Sahel centrale operano decine di gruppi jihadisti, che hanno intensificato gli attacchi, specialmente in Burkina Faso. “Solo un anno e mezzo fa, questo era un Paese più o meno stabile”, spiega ancora Belgrave, “quest’anno invece stiamo parlando di quasi un terzo del paese che è in una zona di conflitto”. “All’inizio dell’anno scorso eravamo sui 90-100.000 persone sfollate, quest’anno stiamo già a più di mezzo milione di persone che sono scappate da casa”. Nonostante una produzione agricola accettabile in questo che è il periodo del raccolto l’accesso alle aeree agricole rimane difficile per buona parte della popolazione che è rimasta nelle proprie abitazioni per evitare di subire violenze, mentre gli sfollati non hanno più accesso agli aiuti umanitari o ad altre forme di sussistenza.

Questo contesto è poi aggravato dai cambiamenti climatici, con ad esempio le mandrie che hanno anticipato il periodo di transumanza e raggiungono luoghi non sicuri sempre a causa dei conflitti in atto nel Paese.  “Il clima non è più quello che era una volta e, specialmente nel Sahel centrale, non è più prevedibile e non è più una cosa su cui si può contare”, spiega ancora il portavoce del World Food Programme. Scarsità delle piogge e, parallelamente, un’abbondanza di precipitazioni che possono provocare inondazioni sono parte di un fenomeno che sta portando alla desertificazione dell’area.“I cambiamenti climatici”, spiega ancora Belgrave, “sono il sottofondo di una mancanza di acqua e la mancanza di piogge che genera molta più pressione su tutta la gente che vive nel Sahel centrale e specialmente sugli agricoltori”.

L’obiettivo delle Agenzie delle Nazioni Unite è quello è di raccogliere i primi 127 milioni di dollari entro sei mesi, per evitare uno scenario paragonabile a quello della carestia del 2012, con oltre 14 milioni di persone che soffrivano la fame. “Storicamente abbiamo sempre avuto una presenza lì lavorando con i governi e sui cambiamenti climatici”, ricorda Belgrave, “e con questa crisi stiamo facendo tutto il possibile  per assistere più di 2 milioni di persone nei tre Paesi, con investimenti in sicurezza alimentare, educazione, nutrizione e agricoltura ed aprendo strutture in grado di dare attuazione  ai programmi e controllarne che vadano regolarmente in porto; c’è sempre il rischio che gruppi violenti e facinorosi al potere si inseriscano per evitare che gli aiuti umanitari giungano alle popolazioni.

Da monitorare anche la situazione dei bambini, in una situazione generale vicina a quella che l’Oms definisce “malnutrizione acuta”. Centinaia di migliaia di bambini vengono privati dell’istruzione, sono vulnerabili allo sfruttamento e subiscono ogni tipo inimmaginabile di violenza.  I bambini e i giovani continuano a pagare il prezzo più alto di una crisi che non hanno creato.

Dobbiamo agire adesso con i partner per evitare una tragedia”, ha dichiarato Marie-Pierre Poirier, direttore regionale dell’Unicef per l’Africa Occidentale. Nel Sahel convergono purtroppo il conflitto armato, l’estrema povertà, l’insicurezza alimentare, il cambiamento climatico e la pandemia di COVID-19. Nell’intera regione, sono oltre 2,7 milioni le persone che sono state costrette a fuggire dalle proprie case. L’esigenza di accedere ad alloggi, acqua, servizi igienico-sanitari, cure mediche e ad altre forme di assistenza di base è ora enorme.

I Paesi del Sahel centrale – Burkina Faso, Mali e Niger – rappresentano l’epicentro della crisi che ha determinato l’esodo in corso. Più di 1,5 milioni di sfollati interni e 365.000 rifugiati sono fuggiti dalle violenze, oltre 600.000 solo nl corso del 2020. Il numero di sfollati all’interno del Burkina Faso è raddoppiato arrivando a più di un milione nell’arco dell’ultimo anno.

Il Burkina Faso, tra i Paesi più poveri al mondo e tra quelli più esposti ai rischi derivanti dai cambiamenti climatici, è alle prese con una grave crisi interna sul piano della sicurezza, situazione che comporta che la quasi totalità del territorio non sia sicura. Il livello di brutalità perpetrate ai danni dei civili è terrificante e sistematico.

Con frequenza allarmante si registrano casi di gruppi armati che giustiziano genitori in presenza dei propri figli. Meno di due settimane fa nel Burkina Faso settentrionale – aggressori armati hanno ucciso 25 uomini di fronte alle loro famiglie nel corso di un’imboscata al convoglio su cui viaggiavano per fare ritorno alle proprie terre, nella speranza che le condizioni di sicurezza fossero migliorate. In tutta la regione, migliaia di donne e bambine (un numero impressionante che nessuno purtroppo ad oggi è riuscito a quantificare) sono cadute vittime di violenza sessuale e di genere.

Gli attacchi ai danni delle scuole rappresentano una tetra realtà in costante aumento in tutto il Sahel. In anni recenti, oltre 3.600 scuole sono state distrutte o hanno dovuto chiudere, danneggiando i percorsi educativi di decine di migliaia di giovani alunni. Nel Sahel, inoltre, l’aumento delle temperature sta modificando l’andamento delle precipitazioni, incrementando la frequenza e l’intensità di inondazioni, siccità e tempeste di sabbia. Le recenti devastanti inondazioni verificatesi nella regione hanno provocato la morte di decine di persone lasciandone centinaia di migliaia – sia tra gli sfollati sia tra i membri delle comunità di accoglienza – nell’urgente necessità di riparo, acqua potabile e servizi sanitari.

L’ONU e l’ UNHCR stanno  intensificato decisamente i propri interventi nel Sahel centrale; quest’anno sono riusciti a reperire 81.144 alloggi che sono stati consegnati  agli  sfollati ma anche a  persone sopravvissute a violenza sessuale e di genere. Inoltre le predette Organizzazioni Internazionali  mediante l’utilizzo di unità mediche mobili; nel mezzo della pandemia di COVID-19, hanno erogato assistenza sanitaria di base a 338.411 persone; e, infine, in seguito alla chiusura delle scuole, hanno assicurato che circa 12.000 bambini, membri delle comunità di sfollati  e di quelle di accoglienza, abbiano potuto continuare a ricevere un’istruzione grazie ai programmi di didattica a distanza. Nell’intera regione, i governi di Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger hanno assunto l’impegno di mettere al centro dei propri piani di risposta le attività di protezione delle persone in fuga e delle comunità che le accolgono.

All’inizio di questa settimana, i governi di questi Paesi hanno lanciato il “Processo di Bamako”, una piattaforma intergovernativa per l’implementazione di azioni rapide e concrete volte a rafforzare il coordinamento tra gli attori umanitari e quelli incaricati della sicurezza e ad assicurare l’accesso degli aiuti umanitari, protezione e assistenza alle popolazioni colpite. Milioni di agricoltori poveri che vivono nel Sahel nutrono motivi di speranza e mostrano fiducia verso i governi dei loro Paesi per l’accelerazione del Grande Muro Verde africano (GGW), un’area che copre 11 Paesi tra cui il Senegal e il Mali a Ovest fino all’Etiopia e Gibuti a est.

La notizia è stata diffusa dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, agenzia delle Nazioni Unite istituita in risposta alle crisi alimentari nei Paesi saheliani dell’Africa. È previsto un nuovo programma di investimenti per sostenere i governi dell’intera area attraverso una partnership tra il Fondo verde per il clima (GCF) e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo per aumentare i finanziamenti destinati a queste popolazioni rurali. Su richiesta dei ministri del Sahel l’IFAD e altri enti accreditati GCF sono stati invitati a presentare progetti nell’ambito di questo nuovo programma ombrello Great Green Wall .

L’IFAD guiderà la creazione del programma e garantirà il suo coordinamento con altri partner. Le attività del progetto mireranno a ripristinare gli ecosistemi e ad affrontare le questioni interconnesse del cambiamento climatico, la creazione di posti di lavoro, la riduzione della povertà, la sicurezza alimentare e il consolidamento della pace. Nell’ambito della lotta alla siccità. Yannick Glemarec, direttore esecutivo del Green Climate Fund, ha sottolineato che “GCF è impegnata a intensificare gli sforzi dei paesi del Sahel per stabilire e sviluppare la Grande Muraglia Verde, combattendo gli effetti della siccità, della deforestazione e dei cambiamenti climatici. Con una maggiore attenzione al rafforzamento delle catene del valore agricole sostenibili in tutta la regione e un maggiore investimento del settore privato nelle energie rinnovabili decentralizzate, questo programma innovativo aumenterà l’adattamento al clima e la resilienza di milioni di persone, oltre a sostenere gli ecosistemi locali, la biodiversità e  più verde pastorale “.Il futuro del Sahel è legato a doppio filo alla Grande muraglia verde africana, un colossale progetto di riforestazione e gestione sostenibile del suolo che attraverserà tutta la regione del Sahel. C’è già chi la definisce come una delle future meraviglie del mondo

Quel che è certo è che si tratta di un progetto massiccio e visionario, nato per diffondere prosperità e benessere in oltre venti Paesi africani. E al quale la Fao (organizzazione Onu per l’alimentazione) di recente ha rinnovato il proprio supporto, fianco a fianco con l’Unep (Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite) e l’Unccd (Convenzione Onu per combattere la desertificazione). Tra le zone in cui gli effetti dei cambiamenti climatici si toccano con mano c’è proprio il Sahel, territorio semi-arido che taglia orizzontalmente il Continente, delimitato a nord dal deserto del Sahara e a sud dalla savana del Sudan. Un recente studio dell’università del Maryland ha infatti dimostrato che a partire dal 1920 la superficie del deserto si è estesa del 10 per cento, fino ad arrivare agli odierni 8,6 milioni di chilometri quadrati.

L’espansione del deserto del Sahara può essere ritenuta solo in parte come un fenomeno naturale: una vasta quota di responsabilità è dell’uomo. A pagare le conseguenze dell’avanzata del Sahara sarà soprattutto la regione del Sahel, che già versa in condizioni profondamente precarie. Lo dimostra in modo eloquente la situazione del lago Ciad, che un tempo era il quarto più grande d’Africa.

Complici anche le dighe costruite lungo i suoi emissari, ha perso il 90 per cento della superficie tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta, con tutto ciò che ne consegue per le comunità che vivono sulle sue sponde. La popolazione affamata, impoverita e sofferente diventa facile preda del proselitismo da parte dei jihadisti di Boko Haram.

La crisi ambientale, così, diventa anche crisi sociale e umanitaria. Quello della  Grande muraglia verde è un’idea visionaria, il sogno di una barriera di alberi che tiene a freno l’avanzata del deserto risale e che prevede di riportare salute e fertilità in una vastissima porzione del Continente tramite un mix di pratiche sostenibili di gestione del suolo. Al tempo stesso, la muraglia è una metafora che esprime la solidarietà tra i paesi africani e i loro sostenitori.

Oggi l’iniziativa coinvolge i governi di ventun Paesi, insieme a organizzazioni sovranazionali (Global environmental facility, Banca mondiale, Unione europea, Fao), istituti di ricerca, società civile e movimenti nati dal basso. Il territorio interessato è una sorta di corridoio, lungo circa 7.800 chilometri e largo 15, che separa il Senegal da Gibuti, nel Corno d’Africa. Vi abitano 228 milioni di persone, poco meno della metà rispetto all’intero territorio di Nord Africa, Sahel e Corno d’Africa.

L’area si estende su 780 milioni di ettari, più del doppio rispetto alla superficie dell’India, 166 milioni (cioè il 21 per cento) potrebbero essere salvati se venissero piantati nuovi alberi. Si tratta di foreste, terreni coltivabili, acquitrini e insediamenti umani. Tutto il resto è costituito da praterie, zone rocciose e altre aree che necessitano di interventi diversi. Secondo una recente stima, per ciascuno Stato servono risorse comprese fra i 40 e i 130 milioni di dollari l’anno.

Diventa quindi imprescindibile l’intervento di finanziatori internazionali (come le banche multinazionali per lo sviluppo), investitori privati e meccanismi finanziari innovativi. La crescita economica del Continente non può prescindere dall’eradicazione della povertà estrema e di tutti i suoi risvolti drammatici. Per citarne uno, il tasso di mortalità infantile nel Sahel è più alto rispetto a qualsiasi altra zona del Pianeta.

Il che significa, per esempio, che in Ciad ogni giorno si verificano più decessi di bambini rispetto a quelli in un intero anno in Finlandia. Nell’Africa subsahariana in media le ragazze vanno a scuola per due anni in meno rispetto ai maschi e ciò si ripercuote sul mercato del lavoro, dove la loro partecipazione è più bassa di 24 punti percentuali. Da questi dati è evidente il motivo per cui gli stati del Sahel siano relegati alle ultime posizioni dello Human Capital Index con cui Banca mondiale e Fondo monetario internazionale quantificano il contributo della salute e dell’educazione alla produttività della prossima generazione.

Se tutto andrà secondo i piani, la Grande muraglia verde sarà la chiave di volta per il futuro del Continente. Arrivando nel 2030 a catturare 250 milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera e creare 10 milioni di posti di lavoro. La Fao, intanto, è riuscita a recuperare 50mila ettari di terreni improduttivi negli ultimi cinque anni, contribuendo positivamente alla qualità della vita di circa un milione di persone in oltre quattrocento villaggi.

I progetti pilota hanno impiegato 12 milioni di sementi da un centinaio di specie autoctone, privilegiando la gomma arabica, il foraggio, il dattero del deserto e i semi oleosi come l’anacardo, che rappresentano una fonte di reddito per le comunità rurali più vulnerabili. In particolar modo per le donne.

Tra Burkina Faso, Mali e Niger finora è stato creato un corridoio verde lungo oltre 2.500 chilometri, coinvolgendo gli abitanti di 120 villaggi nella piantumazione di una cinquantina di specie native. In Nigeria sono stati creati 20mila posti di lavoro, in Sudan sono stati riportati in salute circa 2mila ettari. Ma entro il 2030 bisognerà accelerare drasticamente il ritmo. Puntando, ogni anno, a investire 3,6 miliardi di dollari per riportare in salute 8,2 milioni di ettari. La Grande muraglia verde è il progetto di punta del decennio dell’Onu per il ripristino dell’ecosistema, che si è aperto quest’anno per concludersi nel 2030. La grande sfida è quella di invertire il processo di degrado degli ecosistemi, che di per sé è antico di millenni ma ha subito una brusca accelerazione con l’incremento della popolazione, l’industrializzazione e il consumo indiscriminato delle risorse naturali.

Oggi la degradazione del suolo ha un impatto negativo sulle condizioni di vita di almeno 3,2 miliardi di persone e compromette servizi ecosistemici che valgono circa il 10 per cento del pil globale annuo. “Mission impossible”, non credo, bisogna avere e dare fiducia a quanti sono impegnati a sostenere questo progetto; l’obiettivo per quanto complesso e difficile lo si può raggiungere, i valori in gioco  sono valori universali come la salute, il benessere delle persone, la tutela della loro dignità, il riconoscimento ed il rispetto per diritti umani;  ecco perché noi siamo con tutti coloro che oggi lavorano per fare del Sahel una Nazione civile e vivibile fruibile anche  sotto il profilo  del turismo, e perché no!

Marcario Giacomo

Comitato di Redazione del Corrierepl.it

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