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Morire per il lavoro

Le chiamano morti bianche, come se la dea profitto si presenti col suo velo di morte ogni giorno a chiedere il tributo e ogni giorno due persone scompaiono per il lavoro

Stanotte non riusciamo a dormire. La visione di quel viso di Luana perso nello spettro del delirio, appare come sulla sponda di un fiume, attraverso canne affollate in riva, come rituanti in attesa dell’ennesimo tributo. Morire per il lavoro o lavorare per morire? Questo dubbio chiarisce il senso del sacrificio dell’uomo faber, che ha spazzato via l’etica dell’uomo sapiens.

Le chiamano morti bianche, come se la dea profitto si presenti col suo velo di morte ogni giorno a chiedere il tributo e ogni giorno due persone scompaiono per il lavoro. Luana è il simbolo per tutti noi, la figlia nostra, delle vite negate, dei figli non voluti, della nostra coscienza.  Ora la politica avverte l’urgenza. Come ogni volta i sindacati proclamano lo sciopero generale. Lo fu anche negli anni 90’ per esperienza dello scrivente. Ricordiamo questo fatto, dopo aver visto il compagno di Luana piangere per la perdita del suo amore in fabbrica.

Morire per il lavoro – Si chiamava Annamaria e aveva solo 18 anni.

Si doveva sposare e l’abito nuziale lo indossò nella sua bara bianca. Era una bracciante minuta, per poter lavorare – quel giorno erano troppe nel pulmino-, essendo la più gracile, fu inserita sdraiata nel vano dietro gli ultimi sedili, come un pacco postale. Un tamponamento fu fatale. Rammentiamo quella mattina lasciammo l’ufficio del sindacato, non per andare a prendere il caffè, ma per andare all’obitorio. Nella piccola folla che assiepava l’ingresso, più distaccato da essa, c’era un giovane che forse ci riconobbe, ci venne incontro come un fiume in piena e pensai che ci volesse distruggere, per la nostra nullità, per non essere utili a prevenire, a usare le leggi. In realtà quando ci fu vicino ci abbracciò piangendo e dicendo: “dovevamo sposarci”. Ecco le morti bianche.

Il clamore della notizia appartiene al giorno di cronaca, di vita in diretta, poi piano piano si dimentica. Non abbiamo dimenticato Annamaria, le abbiamo dedicato un libro: Cira e le altre, braccianti e caporali, uscito nel 1996 e fu il nostro addio al sindacato.  Tra i mille motivi della nostra rinuncia allo stipendio del sindacato c’era anche questo senso di inutilità verso il dolore e la sofferenza. Meglio cercarla altrove, la cercai nei percorsi di formazione dell’agenzia del lavoro del ministero, incontrai migliaia di disoccupati, giovani in cerca di ragioni di esistenza. E allora la sete fu placata. Ecco perché la vicenda di Luana ci prende l’anima. Perchè ci fa ricordare. Ci fa pensare a queste donne scomparse, perché dal punto di vista del tema, la donna è l’anello più fragile, più debole. Dentro la nostra voglia di paternità. Poi ci sono uomini e donne nella cifra finale. In quello stillicidio di dati Inail, numeri, sempre numeri, statistiche e altro. Resta l’amaro in bocca, perché la vita è un diritto universale e non si può sacrificare in nessun modo. Men che meno per un pezzo di pane.

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