Principale Ambiente, Natura & Salute Le proposte della Legambiente per le modifiche al Recovery Plan

Le proposte della Legambiente per le modifiche al Recovery Plan

“Sono diversi i miglioramenti apportati al Piano nazionale di ripresa e resilienza del nostro Paese elaborato dal governo Draghi.

Un lavoro che però consideriamo solo all’inizio, perché il PNRR non è pienamente coerente con le politiche europee ispirate al Green Deal e alla transizione ecologica e non è adeguato alle sfide ambiziose che la salute del Pianeta ci impone“, sono queste le prime parole di commento di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente al nuovo PNRR dopo la presentazione del premier Draghi e l’approvazione del Parlamento e in occasione della dichiarazione congiunta arrivata questa mattina dai ministri dell’economia di Italia, Francia, Germania e Spagna.

Legambiente ha sintetizzato le sue analisi e le sue proposte in un documentoscaricabile dagli Allegatiintitolato “I cambiamenti necessari nel PNRR per la Transizione Ecologica

Secondo Legambiente il piano presentato in Parlamento manca ancora dell’allegato con le schede progettuali che restituirebbero più compiutamente la struttura effettiva e le finalità concrete dei poderosi investimenti previsti. Tra le novità positive possiamo comunque rilevare lo sviluppo dell’agrivoltaico, la realizzazione di comunità energetiche nei piccoli comuni, una spinta alla produzione di biometano, i progetti di riforestazione urbana e periurbana, il finanziamento alla bonifica dei siti orfani, ma alcuni significativi segnali di incoerenza rispetto agli indirizzi europei sono, purtroppo, presenti. Il PNRR non è, infatti, adeguato alla sfida lanciata con il recente accordo sulla legge sul clima varata dall’Europa. La lotta alla crisi climatica deve essere una priorità trasversale di intervento del Piano – come parità di genere, giovani e Sud – e invece su questo tema cruciale si utilizza un approccio timido e incomprensibile. Viene previsto un aggiornamento del PNIEC con un taglio delle emissioni climalteranti del 51% entro il 2030 rispetto al 1990 (più basso dell’obiettivo già inadeguato del 55% fissato in Europa) mentre il nostro paese avrebbe tutte le carte in regola per arrivare ad una loro riduzione di almeno il 65%, accelerando la transizione energetica investendo di più su rinnovabili ed efficienza (a tal proposito le misure previste sul superbonus del 110% sono assolutamente inadeguate), anziché continuare a puntare sul gas fossile e addirittura su progetti di confinamento geologico dell’anidride carbonica. Sarà inoltre importante un’azione prioritaria per ripensare le città in una chiave sostenibile perché è qui che si concentrerà il cuore della sfida, dalla mobilità all’efficienza, che fino ad ora è mancata e su cui l’Italia avrebbe tutto l’interesse a puntare.

La grande rivoluzione prefigurata dal pacchetto di direttive europee sull’economia circolare varato nel 2018, già praticata da alcune imprese e filiere territoriali, non decollerà senza investimenti adeguati, che ancora oggi non ci sono, per la ricerca sui nuovi materiali, l’infrastrutturazione del paese con impianti industriali per il recupero della materia per i rifiuti di origine domestica e produttiva, la riconversione di cicli e siti produttivi verso la nuova frontiera della bioeconomia. Lo stesso si può dire anche della mancata coerenza con le politiche europee per la tutela della risorsa idrica, della biodiversità e per la sostenibilità del cibo e dell’agricoltura, non accolte nell’ambizione che ha caratterizzato, ad esempio, la direttiva quadro 2000/60 sulle acque, la Strategia sulla biodiversità e quella dal produttore agricolo al consumatore (“Farm to fork”).

“L’Europa – aggiunge Stefano Ciafani – sta chiedendo con forza all’Italia di varare le riforme indispensabili per superare tanti cronici problemi del nostro Paese. Si parla molto delle necessarie semplificazioni per la transizione ecologica, ma non si capisce ancora quali saranno. Lo stesso si fa a proposito della riforma fiscale, che ci auguriamo possa intraprendere una volta per tutte la strada della riduzione graduale e inesorabile dei sussidi alle fonti fossili. Non si affronta, inoltre, il problema del potenziamento del sistema dei controlli ambientali pubblici per velocizzare le istruttorie tecniche di valutazione dei progetti e per ridurre la concorrenza sleale operata da inquinatori ed ecocriminali. Così come deve essere decisamente potenziato, anche dal punto di vista della rapidità ed efficacia degli interventi, l’approccio alla pesante eredità rappresentata dalle bonifiche dei siti contaminati, a partire da quelli di interesse nazionale e regionale”.

L’altra grande riforma da adottare, di cui non si fa menzione nel Piano, è quella relativa a nuovi strumenti di partecipazione e monitoraggio civico per realizzare le opere pubbliche e gli impianti, coinvolgendo i territori grazie al dibattito pubblico e all’inchiesta pubblica sulle opere della transizione ecologica. Lo stesso iter di definizione del PNRR prima del suo arrivo in Parlamento è stato caratterizzato da un’assenza di percorsi partecipativi, come già accaduto con l’esecutivo precedente.

“Le prossime settimane, speriamo caratterizzate da un dibattito e un confronto aperto, quasi del tutto assente fino ad oggi, saranno decisive – conclude Ciafani – per apportare ulteriori modifiche migliorative ed evitare scelte sbagliate, per le quali confidiamo in un nuovo aggiustamento di rotta sotto la guida delle istituzioni europee. Non possiamo permetterci in alcun modo di perdere questa straordinaria occasione per rendere l’Italia un paese davvero più verde, innovativo e inclusivo“.

Dagli Allegati è possibile consultare e scaricare il documento  di Legambiente “I cambiamenti necessari nel PNRR per la Transizione Ecologica“. Qui riportiamo la parte relativa all’uso dell’idrogeno, considerate le possibili dirette ricadute su Taranto.
“Per l’idrogeno ci sono 3,19 miliardi di euro, di cui 500 milioni per la produzione in aree industriali dismesse da fotovoltaico con elettrolizzatori (ma non si parla di bonifiche) e 2 miliardi di euro per l’utilizzo in settori hard to abateTra questi settori si fa un generico riferimento alla siderurgia senza indicare né tempi né impianti su cui intervenire. Il nuovo Piano industriale del siderurgico di Taranto, l’ex Ilva, deve ridimensionare la capacità produttiva del ciclo integrale a carbone grazie alla costruzione di forni elettrici e alla realizzazione, da prevedere subito, di un impianto che utilizzi l’idrogeno verde per produrre acciaio, sulla falsariga del progetto svedese Hybrit. Interventi che devono essere accompagnati da un piano di formazione delle nuove e necessarie competenze lavorative. È invece eccessiva la sperimentazione dell’idrogeno sulle linee ferroviarie, che prevede interventi su 6 linee e 9 stazioni di rifornimento, visti i costi e l’inadeguata produzione di idrogeno verde. Era meglio investirli nella elettrificazione delle linee e rinnovo del parco circolante. Si parla di risorse per la ricerca su stoccaggio e trasporto di idrogeno con soli 160 milioni di euro.” (fonte legambiente Taranto)

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