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Draghi pone il diritto di veto e ferma i cinesi con il «golden power». L’Italia non sarà più svenduta e le industrie italiane saranno protette. Era ora!

Mario Draghi ha vietato a un gruppo cinese di rilevare il controllo di un’azienda italiana di semiconduttori: è il primo esercizio di veto nell’ambito del «golden power» da parte del nuovo esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce. È a questo provvedimento che il premier si è riferito giovedì nel corso della conferenza stampa in cui ha parlato di vari argomenti a cominciare dai vaccini. «Sono d’accordo con Giorgetti, la golden power è uno strumento del governo per evitare la cessione di asset strategici a potenze straniere, va usato!. Quello sui semi conduttori è stato un uso di buon senso in questa situazione. È un settore strategico, ce ne sono altri», ha detto Draghi.

Il riferimento era alle parole del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che poche ore prima aveva annunciato, fra l’altro, che al Mise si stava anche valutando la possibilità di «estendere l’ambito di applicazione della golden power» a filiere rilevanti e al momento escluse, come l’automotive e la siderurgia, dal carattere «strategico» e «particolarmente esposti alla concorrenza cinese». In particolare aziende che hanno anche rapporti di fornitura con gli organismi di sicurezza e le forze armate. L’obiettivo è quello di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori reputati strategici e di interesse nazionale. Il legislatore ha, in proposito,  organicamente riscritto un vecchio provvedimento adottato dal governo Monti; con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21 viene disciplinata la materia dei poteri speciali esercitabili dal Governo, anche al fine di aderire alle indicazioni e alle censure sollevate in sede europea.

Con il decreto-legge n. 21 del 2012 vengono, infatti, ridefiniti, anche mediante il rinvio ad atti di normazione secondaria (DPCM), l’ambito oggettivo e soggettivo, la tipologia, le condizioni e le procedure di esercizio da parte dello Stato (in particolare, del Governo) dei suddetti poteri speciali. Si tratta, in particolare, di poteri esercitabili nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché di taluni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Per poteri speciali (golden power) si intendono, tra gli altri, la facoltà di dettare specifiche condizioni all’acquisito di partecipazioni, di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all’acquisto di partecipazioni.

Con il decreto approvato si intende rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo, che si ricollega agli istituti della “golden share” e “action spécifique” – previsti rispettivamente nell’ordinamento inglese e francese – e che in passato era già stata oggetto di censure sollevate dalla Commissione europea e di una pronuncia di condanna da parte della Corte di giustizia UE. Per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, la Commissione europea ha adottato una apposita Comunicazione, con la quale ha affermato che l’esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su “criteri obiettivi, stabili e resi pubblici” e se è giustificato da “motivi imperiosi di interesse generale”. Riguardo agli specifici settori di intervento, la Commissione ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica purché, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, sia esclusa qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico. Il ricorso al veto del «golden power» da parte del governo Draghi è stato posto pochi giorni fa per bloccare la vendita del 70% di una media azienda italiana, la Lpe di Baranzate, nel Milanese, alla cinese Shenzen Invenland Holdings, una società del gruppo Invenland riconducibile al Xiang Wei, finanziere cinese attivo nel settore dei semiconduttori a livello globale.

Draghi ha sottolineato che «la carenza di semiconduttori ha costretto molti costruttori di auto a rallentare la produzione lo scorso anno quindi è diventato un settore strategico». La notifica dell’acquisizione era arrivata a Palazzo Chigi il 28 dicembre 2020 mentre il 26 marzo 2021 la società ha trasmesso la nota integrativa con l’estensione dei patti parasociali a tutela del socio italiano. Tuttavia gli accorgimenti non hanno soddisfatto le esigenze del governo. Lpe, guidata da Franco Giovanni Preti, che ne è tra i principali azionisti, risulta essere l’unica azienda italiana e leader a livello mondiale nella tecnologia epitassiale anche con brevetti propri. È una media azienda, con 61 dipendenti a livello di gruppo e nel 2019 — ultimo dato pubblico — ha fatturato 27,9 milioni di euro con utili per 7,1 milioni (nel 2018 erano stati rispettivamente 49,3 milioni e 14,7 milioni) ma altamente specializzata. Quella epitassiale è la tecnologia che permette di realizzare le connessioni tra i vari dispositivi di un chip. È di fondamentale importanza nell’intero processo di produzione dei circuiti integrati: come spiegano fonti a conoscenza del dossier, i reattori epitassiali sono prodotti ad alto contenuto tecnologico, attraverso i quali viene effettuata una delle fasi del processo di fabbricazione di dispositivi elettronici a semiconduttore, per realizzare componenti presenti nella maggior parte degli apparati elettronici in commercio.

La decisone presa  dal Consiglio dei Ministri si basa su una valutazione di grande interesse; nel provvedimento, infatti si legge che il passaggio del controllo (il 70%) di Lpe ai cinesi comporterebbe «un rischio eccezionale per gli interessi pubblici relativi alla continuità degli approvvigionamenti di dispositivi elettronici a semiconduttore per una pluralità di ambiti (tra cui infrastrutture energetiche, intelligenza artificiale, 5G, IoT, per menzionare quelli individuati come strategici dalla normativa nazionale ed europea)».Finalmente, dunque,  un governo che si preoccupa di salvare il made in Italy, per evitare che le migliori aziende e società, le migliori griffe ed i prodotti di qualità  soprattutto del settore dell’agroalimentare siano venduti o svenduti a società estere tra le quali vi sono quelle cinesi sempre pronte come avvoltoi a rilevare tutto e tutti pur di investire in Italia e fare soldi.

Mi pare che molto opportunamente con il ricorso al golden power siano stati posti dei paletti che non solo impediranno il depauperamento del patrimonio industriale e commerciale italiano ma potrebbe creare le premesse per tentare di fare rientrare in Italia quelle aziende e quelle  società che appartengono da sempre alla storia del nostro Paese.

Giacomo Marcario

Comitato di Redazione del Corrierepl.it

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