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Mario Draghi definisce Erdogan un dittatore: la verità fa male ma fanno più male l’ipocrisia, la connivenza economica e violazione dei diritti umani

Il premier Draghi ha ritenuto nel c

orso della sua ultima conferenza stampa di esprimere la sua opinione sull’ episodio particolarmente imbarazzante successo in Turchia durante la visita della presidente della Commissione Europea Von der Leyen e del presidente Michel. Nella circostanza e nel rispetto di una prassi ampiamente consolidata Erdoğan avrebbe dovuto sedersi insieme ai due autorevoli rappresentanti europei, mentre in concreto si è potuto notare che era stata predisposta una sola sedia,  quella per Charles Michel; di conseguenza  la Presidente Von der Leyen non ha potuto occupare la scena che gli competeva andandosi a sedere su un divano laterale lontano dal Presidente Erdogan.

Draghi ha dichiarato in proposito di non condividere «assolutamente le posizioni del presidente Erdoğan» e di essere dispiaciuto per «l’umiliazione che la presidente della Commissione Von der Leyen ha dovuto subire». Aggiungendo ancora che «con questi, diciamo, chiamiamoli per quel che sono, dittatori» bisogna essere franchi «nell’esprimere la propria diversità di vedute». L’intenzione di Draghi era, fondamentalmente, quella di difendere le istituzioni europee, e sottolineare il comportamento scorretto e poco diplomatico del presidente turco. Difendere l’Europa e la sua presidente significava per Draghi difendere tutti gli Stati membri della stessa, l’Italia e gli italiani. Sono stati in molti dopo l’affermazione di Draghi a chiedersi: ma Erdoğan è davvero un dittatore?. La distinzione tra democrazia e la dittatura, spesso,  non è mai netta.

Nei fatti la parabola turca, negli ultimi anni, sembra andare proprio nella direzione della dittatura: il potere delle opposizioni viene costantemente limitato, gli oppositori e i giornalisti vengono incarcerati proprio come nelle dittature più dure e le riforme costituzionali servono a chi è al potere per cambiare le regole in modo da continuare a starci (si potrebbe dire, per esempio,  lo stesso di Putin che di recente ha fatto approvare una legge che gli assicura la poltrona almeno fino al 2030!).Per via di questa zona grigia tra democrazia e dittatura in cui si trova la Turchia, normalmente un presidente come Erdoğan viene definito “autoritario”, nel senso che accentra a sé il potere, ha atteggiamenti aggressivi verso le minoranze e violenti, o perlomeno ricattatori, verso i paesi vicini ma rimane  con non poche difficoltà all’interno dello spettro democratico, visto che nel paese si tengono ancora elezioni ( ma esistono anche i brogli elettorali).

L’aspetto importante della frase di Draghi, però, è quello politico. Esiste un grande dibattito tra esperti di diritto internazionale e di Turchia sul fatto che il paese sia o meno una dittatura, ma a cercare una definizione precisa si va a cadere in una diatriba terminologica interessante più che altro per studiosi e politologi. La frase del premier italiano, invece, ha un peso soprattutto nell’immediato: una risposta pronta e franca data a Erdoğan per la scena imbarazzante della sedia mancante per Von der Leyen. Ma è anche un segnale che va letto nel quadro dei difficili rapporti tra Turchia e UE. Ci sono almeno quattro aspetti su cui i due blocchi divergono: la gestione dei flussi migratori verso l’Europa, con cui di fatto la Turchia tiene sotto scacco l’Unione, i diritti umani (non solo dei migranti, ma anche quelli delle donne pesantemente discriminate ed  umiliate e private del diritto di occupare posti di rilievo in politica, in economia e nel sociale), i tratti di Mediterraneo contesi tra Cipro, Grecia e la stessa Turchia e infine la guerra in Siria, dove la Turchia negli ultimi anni ha usato il suo esercito e alcune milizie fondamentaliste per compiere bombardamenti e crimini di guerra, per non parlare dei suoi rapporti equivoci con l’Iraq, l’Iran e la stessa Russia.  Erdoğan, negando un posto a sedere alla presidente della Commissione, ha mandato l’ennesimo segnale in cui si mostra determinato a non fare alcun passo indietro su nessuno dei quattro punti precedenti. Draghi, decidendo di essere franco e diretto almeno quanto il presidente turco, ha fatto intendere che anche da parte dell’UE ci possono essere toni altrettanto netti contro di lui. Le dichiarazioni di Draghi hanno immancabilmente scatenato “una guerra politica” tra i due Paesi.

Il  presidente turco Erdogan, ha subito chiesto all’Italia e a Draghi le scuse ufficiali. Ma quello di Draghi è stato un atto di un grande coraggio che ne esalta la schiettezza del carattere, , l’onestà intellettuale di un grande personaggio che pur non essendo un politico di lungo corso si è presentato al paese con  le idee chiare ed un programma molto ambizioso ma possibile: mettere in sicurezza l’Italia e gli Italiani,  dichiarare lotta senza quartiere e mezze misure al Covid, dare prioritaria assoluta alle vaccinazioni, anche fino a 500 mila al giorno,  per conseguire una  progressiva riduzione dei contagi e la possibilità di fare tornare alla normalità gli italiani eliminando o quando meno riducendo le restrizioni imposte dal lungo lockdown; aiutare i giovani a trovare il lavoro, aiutare le imprese  e   l’economia a rimettersi in sesto; sostenere politiche non più rinviabili di tutela dell’ambiente, una più incisiva e credibile parità di genere. La sua dichiarazione sul fatto che Erdogan sia un dittatore o un “forte autoritario” non fa una grinza, risponde ad una verità storica e riteniamo che non vi sia politico o Capo di Stato o di Governo al mondo che la possa mettere in discussione per la sua evidente fondatezza.

Certo il commercio tra Italia e Turchia vale più di 10 miliardi l’anno, ed è per questo che Draghi ha sottolineato l’importanza di una cooperazione, ma al di là dei soldi vi sono dei valori che vanno collocati al di sopra degli stessi come il rispetto, la buona educazione, la disponibilità al dialogo, al confronto ed alla cooperazione, il riconoscimento dei diritti altrui; nelle democrazie anche meno avanzate questi sono i principi basilari per la convivenza civile,  Va ribadito, però, e senza mezzi termini che il trattamento riservato alla Von der Leyen, lasciata senza sedia in un incontro ufficiale di alto profilo politico,  non è stato un comportamento corretto. Le parole di solidarietà da parte di Draghi per la Presidente della Commissione Europea hanno tuttavia fatto scoppiare la guerra diplomatica: da Ankara, infatti, sono arrivate le prime ritorsioni contro l’Italia con conseguenze per la nostra economia.

Il Governo turco ha preteso le scuse ufficiali e al momento non sembra essere disposto ad accontentarsi di un chiarimento attraverso i canali diplomatici. Scuse che Mario Draghi non sembra disposto a dare ed è per questo che dalla Turchia hanno scelto di dichiarare “guerra” alla nostra economia, boicottando alcuni contratti con le aziende italiane. Come riportato da molte testate giornalistiche e da tutti i social, infatti, le autorità turche hanno cominciato a lanciare segnali minacciosi ed a esercitare una pressione nell’ombra comunque destinata a pesare sulla nostra economia. La prima a pagare per lo scontro tra Erdogan e Mario Draghi è stata Leonardo, la holding tecnologica di controllo statale. È stata sospesa l’acquisizione da parte della Turchia di dieci elicotteri di addestramento AW169, un’operazione da oltre 70 milioni di euro; un affare che doveva essere il primo fra tanti (con un guadagno per il lungo periodo di oltre 150 milioni per Leonardo) e che ormai sembrava chiuso, come confermato a fine marzo dal Presidente delle Industrie della Difesa, il turco Ismail Demir.

Dopo le parole di Draghi, però, in Turchia hanno scelto di “congelare” l’affare: una chiara ritorsione che potrebbe essere la prima di tante altre. Avvisi simili, con la sospensione di altri affari tra aziende italiane e turche, sono stati recapitati ad altre compagnie nazionali tra le quali l’Ansaldo Energia, proprietaria del 40% di un gruppo che da oltre un anno sta negoziando con le autorità turche per la gestione di oltre 100 milioni di debiti accumulati dalla centrale elettrica di Gebze (nella zona industriale di Istanbul). Insomma, una pressione come per voler dire “Noi vi serviamo”. D’altronde lo scorso anno tra Italia e Turchia vi sono stati affari per oltre 17 miliardi di euro, basti pensare alla Ferrero che lì ha una delle produzioni più importanti di nocciole.

Per il momento le ritorsioni della Turchia non preoccupano. Da Palazzo Chigi, infatti, riferiscono che la diplomazia è all’opera e che non serviranno scuse ufficiali per far rientrare la crisi. Ma dalla Turchia le intenzioni sembrano diverse, basti pensare che nelle ultime ore diversi ministri turchi si sono scagliati contro l’Italia; ad esempio, Mustafa Varank, Ministro dell’Industria, ha dichiarato di “non accettare lezioni di democrazia da chi ha inventato il fascismo”. Poi ha parlato di immigrazione, facendo notare che “l’Italia lascia morire i richiedenti asilo”. Insomma, nonostante il Governo minimizzi ci sono chiari segnali di tensione; vedremo se Draghi confermerà quanto detto in conferenza stampa, ossia se sarà “franco” nei confronti di Erdogan, non cedendo alla richiesta di scuse formali, ma se comunque verrà fatto il possibile vista “l’importanza di collaborare”.

Giacomo Marcario

Comitato di Redazione del Corrierepl.it

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