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Quando c’erano le scuole di politica e si era eletti “fuori dagli schemi”

I grandi partiti storici del Novecento avevano le scuole di politica. Era la tappa iniziale per capire se un ragazzo, una ragazza, una donna, un uomo avevano predisposizione e passione per impegnarsi in politica.

Mi ritrovai eletto conigliere comunale a 20 anni, anzi 19 compiuti e venti da compiere, perché sono nato a fine anno, che quasi più fine non si può, senza aver fatto attività politica e attività di partito. E ovviamente nemmeno le scuole di politica o di partito. Le quali, tuttavia, hanno avuto un ruolo e una funzione importante fino all’inizio degli Anni Novanta, quando cambiò tutto. Venni eletto nel consiglio comunale di un Comune con meno di 5000 abitanti dove l’assemblea si suddivideva dunque così: 12 consiglieri alla maggioranza e 3 consiglieri alla minoranza. Io ero uno dei tre della minoranza. Neanche da sottolineare,  ça va sans dire, direbbero i francesi, ossia va da sé.

All’opposizione per cominciare fa anche bene, mi dicevano i consiglieri più anziani. Mi ritrovai eletto sostanzialmente perché leggevo in chiesa alla messa, mi dicevano che leggevo abbastanza bene, e perché facevo il raccontatore  di luoghi e borghi, santuari e miracoli, nelle gite parrocchiali organizzate dal mio parroco, l’arciprete, don Dualco, un sosia perfetto di don Camillo dei racconti di Giovannino Guareschi. Nonne, catechiste e parrocchiani votarono per me. Mica poco. Mica facile finire in consiglio comunale per meriti non politici e senza aver fatto scuola di politica o attività di partito. Però avevo fatto politica scolastica, come molti di noi in quegli anni, partendo magari dai consigli di classe, passando dai consigli di istituto, per merito della cosiddetta democrazia scolastica voluta e introdotta dai famosi Decreti delegati,  grande scolta programmatica e partecipativa di metà Anni Settanta.

E così al liceo dopo qualche esperienza di istituto finii eletto nel Consiglio Scolastico Distrettuale cioè quell’organismo che presiedeva al funzionamento e al raccordo tra territorio e diritto al studio in un gruppo di comuni. Non solo ma all’interno del consiglio finii anche in Giunta di Distretto cioè l’organismo guida. Lì incontrai un presidente di Consiglio di Distretto che mi insegnò molto, il prof. Paolo Bianchi, ricercatore e uomo di grande cultura. C’è un “prossimo”, nel senso cristiano ed umano, nelle vesti più impensate.

Il prof. Bianchi è stato un “prossimo” di didattica e pedagogia politica, nel senso di servizio. Riconoscimento del problema, studio degli atti, tanto studio, tanta ricerca, e poi ipotesi di soluzione, proposta di intervento nell’interesse della collettività servita. In fondo non è difficile, non sarebbe difficile. Mi accorsi che non fu male come scuola di rappresentanza ovviamente gratuita e partecipata, e cioè farsi carico dei doveri delle istituzioni e dei diritti dei fruitori, dell’omogeneità del servizio da garantire e distribuire ma anche della capacità di valutare processi innovativi e sperimentali. In due parole: fare politica. In quel caso scolastica.

Ricordo quei lontani anni perché la mancanza totale di scuola politica può portare a disastri nella gestione della politica. Come tutti sappiamo e ricordiamo i grandi partiti storici del Novecento avevano le scuole di politica: i democristiani come i comunisti, i socialisti come i laici repubblicani e liberali, i socialdemocratici e formazioni cosiddette minori. Era la tappa iniziale per capire se un ragazzo, una ragazza, una donna, un uomo avevano predisposizione e passione per impegnarsi in politica. Scuola in cui ti fornivano i contesti base e le nozioni fondamentali naturalmente anche in base all’orientamento politico e sociale.

E’ ovvio che alle Frattocchie scuola del Pci insegnavano e promuovevano concetti che vedevano ad esempio l’Urss come Paese dal sistema economico invidiabile mentre alla scuola democristiana ovviamente insegnavano e prospettavano altri valori, il servizio, la persona, il bisogno. Poi c’erano le scuole parallele di fatto, quelle praticate: una persona impegnata in politica prima di diventare sindaco o presidente di Provincia, faceva almeno due mandati (circa dieci anni) di consigliere comunale e almeno un mandato da assessore e quindi magari venivi considerato candidabile a sindaco nel comune in cui avevi già passato anche 15 anni di sedute, delibere, ordinanze, relazioni, commissioni e, volere o volare, due o tre concetti ti erano entrati in testa e raramente potevi scambiare fischi per fiaschi e cioè confondere un atto per un altro,  una delibera con una ordinanza, un piano regolatore con un rubinetto erogatore. Che alla fine sarebbero anche parenti, ma sempre due cose diverse.

Fabrizio Binacchi

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