La Poesia è per tutti
foto di copertina Federico Garcia Lorca
… la poesia non si mangia ma può diventare indispensabile
Rubrica culturale del Corriere di Puglia e Lucania, a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte
L’intento della rubrica è quello di sfatare l’idea che la poesia sia qualcosa di astruso e che possa piacere o non piacere. In realtà la poesia è nelle nostre vite più di quanto noi possiamo immaginare. Basti pensare alla commistione della poesia con le altre forme artistiche, per esempio alla musica pop, di cui essa è un riflesso.
Proporremo, ogni giorno, pochi grammi di poesia, legati ad un fatto del giorno o ad una data da ricordare sperando che, tra le mille incombenze quotidiane, ogni Lettore, possa ritagliarsi qualche minuto per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi.
Buona Poesia!
Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte
redazione@corrierepl.it
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Il 6 aprile 1912, moriva a Bologna Giovanni Pascoli, poeta, accademico e critico letterario. E’ considerato insieme a Gabriele D’Annunzio, il maggior poeta decadente italiano. Nasce a San Mauro di Romagna, il 31 dicembre 1855. All’età di dodici anni perde il padre, ucciso da una fucilata; la famiglia è costretta a lasciare la tenuta che il padre amministrava, perdendo quella condizione di benessere economico di cui godeva. Nell’arco dei sette anni successivi, Giovanni perderà la madre, una sorella e due fratelli. Prosegue gli studi prima a Firenze, poi a Bologna. Consegue la laurea in Lettere e inizia a insegnare greco e latino a Matera, Massa e Livorno. In questo periodo pubblica le prime raccolte di poesie: “L’ultima passeggiata” (1886) e “Myricae” (1891). Ottiene un posto per insegnare all’università, prima a Bologna, poi a Messina e infine a Pisa. La sua produzione poetica prosegue con i “Poemetti” (1897) e i “Canti di Castelvecchio” (1903). Ottiene la prestigiosa cattedra di Letteratura italiana a Bologna, prendendo il posto lasciato da Giosuè Carducci. Crollato l’ordine razionale del mondo, in cui aveva creduto il positivismo, il poeta, di fronte al dolore e al male che dominano sulla Terra, recupera il valore etico della sofferenza.
Il tuono
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d’arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s’udì di madre, e il moto di una culla.