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“Ho scelto te, Nino, perché sei l’unico in grado di parlare con un pezzo di legno”(Luigi Comencini)

Il ricordo che molti della mia generazione hanno di Nino Manfredi è legato al Pinocchio di Comencini del 1972. Lo sceneggiato “Le avventure di Pinocchio” andò in onda in aprile con successo enorme di pubblico e l’interpretazione più riuscita e più vera che corrispondeva  a quanto da bambini ci eravamo immaginati leggendo Collodi della figura di mastro Geppetto, uomo povero ma pieno di dignità e coraggio per cui nacque il mito di un attore che diventava mastro Geppetto senza finzioni ma diventando forse quello che Collodi avrebbe voluto se avesse conosciuto il mezzo televisivo. La favola per adulti che divertiva i piccoli e induceva alla riflessione i grandi incollò davanti al video milioni di italiani e le immagini in bianco e nero nella prima versione resero la storia più romantica e più vera. Alcuni teologi hanno visto l’eterno rapporto di amore tra Dio padre ( mastro Geppetto) e l’uomo ( Pinocchio). Il rapporto tra un padre e un figlio viene reso da Manfredi con stupore e straordinario amore.

In questo Saturnino Manfredi in arte Nino, riuscì meglio di altri a rendere il personaggio una persona credibile con una semplicità e consapevolezza di possedere il genio dell’artista in un candore di bambino, capace di stupirsi di ogni cosa nella consapevolezza che l’attore è colui che interpreta il vero sublimandolo.

La sua vita è stato un voler celebrare l’inno alla gioia di vivere in ogni istante anche quando pensava di non avere molti giorni davanti a sé e in questa consapevole incoscienza visse 83 anni con la maturità di un grande attore e l’incoscienza di un bambino consapevole di essere adulto ma di voler donare allegria perché aveva questo dono. Non lo voleva sprecare e anche il suo rapporto con i genitori fu di ribellione rispettosa perché li amava.

Francamente il fatto che non fosse credente ma parlava con Dio, lo rese ancora più credibile. E scrivere di lui per me è un piacere perché è come ricordare non una persona morta ma un protagonista del suo tempo, un simpatico conoscente che viveva a Roma e il cui pensiero faceva sorridere e pensare. Ed è per questo che in occasione del centenario della nascita mi piace ricordarlo non per i suoi centoventi film, non per le sue belle partecipazioni televisive sempre originali e cariche di una comicità da uomo della strada e gran signore al tempo stesso, ma per il Pinocchio. Coniò nel 1959 la famosa frase rimasta sino ai giorni nostri “Fusse che fusse la vorta bona” detto scaramantico per esorcizzare la fortuna  nel quotidiano. Sicuramente rimane un unicum nel panorama artistico che non trova uguali .

Una citazione merita Vittorio Gasmann che in un periodo difficile della sua vita, agli esordi, lo aiutò, dandogli una parte  nell’Amleto e questo a testimonianza di quanto l’amicizia avesse un valore. E questo sia di lezione non solo agli attori di oggi ma anche per quanti affrontano la quotidianità in tempi di Covid. Insieme si vince sempre perché mai ci sia in noi la tentazione dell’individualista  Caino “Sono forse io il custode di mio fratello?”.

Dario Felice Antonio Patruno    

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