Principale Arte, Cultura & Società Poesia  ed  ermeneutica 

Poesia  ed  ermeneutica 

È assolutamente inevitabile che la soggettività di chi legge entri nell’interpretazione della parola poetica. Perché chi legge e interpreta, in realtà rifà a suo modo l’opera, la ricrea secondo le categorie della sua soggettività, la quale sempre emerge in qualsivoglia approccio conoscitivo. Ma da ciò, tuttavia, non deriva che tale intromissione sia un diritto istituzionalizzato, quanto piuttosto il limite che contrassegna la monadicità di una condizione.

In essa si esprime l’assoluta identità del soggetto con se stesso e l’assoluta impenetrabilità della prospettiva interiore sacralizzata attraverso la parola. La parola è infatti ciò che appartiene all’haecceitas, all’assoluta soggettività, soprattutto perché non ci riferiamo qui alla parola quotidiana, abusata e inflazionata, ma a quella poetica. Nel microcosmo umano si ripropone, pertanto, quell’assoluta unicità, irraggiungibile quanto nel macrocosmo divino. E allo stesso modo che l’essenza del trascendente risulta a noi solamente avvicinabile per gradi e mai prendibile, così l’unità monadica dell’haecceitas umana, è accostabile più o meno intimamente, ma mai interamente accessibile.

Ogni arbitraria intromissione è una violazione. La creazione poetica, o più genericamente artistica, corrisponde infatti all’atto divino che istituisce il mondo, la realtà che oltrepassa il suo Sé.

E l’uomo che riceve, con la sua stessa esistenza, il mondo, deve mostrare fedeltà alle sue leggi, non stravolgerle a suo arbitrio perché in esso e nelle sue leggi si dispiega ed esprime l’essenza della realtà suprema. Allo stesso modo, un’interpretazione che neghi il valore intrinseco all’opera d’arte,  alla sua inarrivabile haecceitas, sostituendole qualcos’altro ad arbitrio, è stravolgimento e trasgressione.

In sommo grado nella creazione artistica, ma più in generale in ogni prodotto dell’attività umana, si realizza l’essenza stessa dell’Essere che nel suo farsi Immanente alla realtà umana si pone come via e guida alla Trascendenza. Ogni processo conoscitivo e fattuale è infatti una creazione, e come tale è prolungamento  e manifestazione dell’opera dell’Essere, o se vogliamo, di Dio.

Il tendere a ciò che ci trascende è, sostanzialmente, il presupposto di ogni creatività artistica e, per certi versi, anche di ogni creatività umana. Nella creazione artistica l’uomo mette al mondo se stesso, ripete l’atto di Dio che estrapola da sé il suo Sé, ed esso diventa la Realtà, l’altro da sé rispetto all’Origine.

L’opera d’arte è la creazione di un mondo assolutamente individuale, l’estrapolazione di un sé, che senza quest’atto sarebbe stato “nullo”. Ma è, nello stesso tempo, continuazione della stessa creazione dell’Essere che si realizza in ogni atto umano che è nuova creazione.

Come Dio riflettendo il suo sé crea il mondo, la realtà nella quale l’uomo sta immerso, così l’artista mette al mondo il suo intimo sé, la sua individualità che rimarrebbe nascosta, e come inesistente, senza quest’atto. E quest’atto è, paradossalmente, ciò che traduce lo spirito -nella sua assoluta individualità- in materia, o per meglio dire, in prodotto fenomenico, e cioè artistico. E indica, per ciò stesso, uno scadimento dell’originario sé, così come la dimensione del reale, che si genera dall’Origine, rappresenta uno scadimento in confronto all’assoluta purezza ed unicità dell’Essere.

Ma la creazione è in ogni uomo. Ogni uomo ha in sé una capacità creativa che mette in atto in vari modi e misure. Così è per l’opera d’arte, la più essenziale messa al mondo di noi stessi, la più autentica forma di noi proiettata di fuori – che può, a sua volta, essere scandita in varie modulazioni.

Perciò, interpretare soggettivamente il prodotto artistico è inevitabile, ma non auspicabile. Perché sia possibile una più giusta interpretazione occorre una conoscenza dell’altro il più possibile profonda ed estesa perché rispettare l’opera della creazione è essenziale.

Se l’elemento soggettivo di chi interpreta entra nell’interpretazione, si crea un’ interferenza che è contaminazione, e questo rappresenta piuttosto un limite a tale penetrazione che è simile, per la sua irraggiungibilità, a quella della Monade-Dio.

Lo sforzo deve essere concepito come tentativo di  avvicinamento, mai concluso, alla  realtà  più

intima e più vera dell’altro, paragonabile a quello per cui attraverso la conoscenza più autentica e

profonda della realtà cerchiamo l’essenza ultima dell’Essere.

Si è sempre discusso intorno ad una possibile definizione della poesia, sulla sua scaturigine e sul valore da assegnare ad essa. Ma è difficile trovare risposte soddisfacenti a tali quesiti. D’altra parte, la conoscenza scientifica, che così grandi passi ha compiuto negli ultimi due secoli, sembrerebbe, per la sua stessa forza, oscurare ogni altra forma di conoscenza. La scienza produce progresso, teoria e tecnologia ormai indissolubilmente legate, comprendono e modificano la realtà che ci circonda. E il concetto di conoscenza è, sempre più legato a quello di utilità, ne costituisce il fine irrinunciabile da cui  il concetto di poesia sembrerebbe tagliato fuori.

Ma come la scienza ha un suo specifico approccio al mondo, suoi codici, suoi principi da applicare, così è per la poesia. Entrambe mirano allo stesso scopo: la conoscenza della realtà, una conoscenza che dia risposte a tutti i perché dell’uomo. Ma se unico è lo scopo, diverso è l’approccio, diversi gli strumenti adoperati. Entrambe leggono i diversi volti del reale che si fondono in unità. La scienza ne esplora vari settori con una ragione più asettica, mondata, il più possibile, della soggettività, col rigore che astrae dalla materia solo le forme essenziali, le strutture quantificabili e misurabili. Ma una ragione siffatta, nel suo astratto rigore, nella sua schematicità è uno strumento freddo, in grado di guardare solo alla superficie delle cose.

La poesia, al contrario, vuole andare al cuore della realtà, nell’anima delle cose, vuole sondarne le zone d’ombra, il mistero che il mondo racchiude nelle sue profondità, l’intima essenza dell’esistente, il suo fondamento e il suo senso più proprio. Forse è un tentativo: l’anima dell’uomo che avvicina l’anima del mondo e viceversa; e in questo tentativo vi è corrispondenza, vi è analogia, e da qui scaturisce quel senso panico che è la comunione col Tutto. In questo tentativo la ragione non ci appare disumanata, semplice struttura mentale invariabilmente presente in tutti gli uomini, ma fusione di individualità ed universalità, ragione che si colora del nostro sentire e della nostra anima.

Così, vari sono i modi di approccio e di comprensione del mondo che si integrano e si completano a vicenda per adempiere ad un unico scopo.

In questa assimilazione dei due poli della conoscenza in cui soggetto e oggetto divengono uno, la poesia attua quella sintesi che pone il microcosmo umano in stretta relazione col macrocosmo divino. La poesia – l’autentica e alta poesia – nasce, ovunque, da un’insoddisfazione di fondo, dall’angoscia che ci deriva da un senso di mancanza, di incompletezza, di castrazione dell’anima che sente forte il  bisogno di espandersi sino ad essere tutto – situazione che altrove, ho chiamato sentimento teocratico della coscienza.

   Struttura  portante dell’essere del mondo e al contempo, elemento essenziale dell’essere dell’uomo – secondo quanto sta sotto gli occhi di tutti, e secondo quanto Schopenhauer ha postulato nella sua analisi della realtà (Il mondo come volontà e rappresentazione) – è quella forza irrazionale, cieca, che è la Volontà, identificabile con la Vita stessa. La quale, in ambito materiale e puramente biologico assume i caratteri di cieco impulso vitale, ma essendo presupposto ed elemento fondativo di tutto l’Essere, è altresì alla base di ogni rappresentazione o conoscenza di esso.

Nell’ambito umano ed individuale, – la Volontà, o per meglio dire  la Volizione – si esplica invece consapevolmente in qualunque azione, scelta, o desiderio perseguito: è la molla di ogni consapevole agire per il conseguimento di un fine. Ogni progresso ed ogni conquista umana sono affidati ad essa: alla ineluttabilità del volere e dell’inseguire sempre qualcosa.

L’uomo, infatti, tende sempre a ciò che gli manca, e quando lo consegue c’è sempre qualcos’altro che gli manca. L’uomo manca sempre di qualcosa proprio perché essere limitato e imperfetto e, pertanto,  necessitato a desiderare sempre.

Solo L’Essere assoluto, in quanto Illimitato, Infinito, Perfetto, Eterno, non tende a niente, Egli è il «motore immobile» dell’universo, secondo la definizione aristotelica. Questo continuo tendere dell’uomo a qualcosa che sempre gli manca, questo bisogno di dilatazione dello spirito sino all’assolutezza – al già accennato sentimento teocratico della coscienza – che è il volere per sé la stessa radicalità dell’Essere, o assolutezza di Dio, è indice di questa mancanza radicale, di questa lontananza e irraggiungibilità che è la trascendenza divina, fine ultimo di ogni desiderare e di ogni divenire, fine che l’uomo – consapevolmente o inconsapevolmente – insegue, per sfuggire alla condizione di lontananza da tale perfezione e di abbandono al limite e alla finitezza della dimensione terrena. Condizioni che equivalgono al vivere una vita priva di senso, poiché solo l’Essere, nella sua assoluta radicalità e perfezione, potrebbe giustificare e dar significato all’esistenza, costituendone il fondamento e il principio.

Tale conoscenza, tuttavia, non appartiene agli uomini di questa terra, così Dio rimane sempre incomprensibile, al di là dell’orizzonte umano, infinitamente remoto rispetto alla realtà del nostro mondo e della nostra esistenza. Ma pure in tale impossibilità di prensione, l’uomo – e in lui anche la poesia – non smetteranno mai di cercare, tra le pieghe del Mistero, tra le ombre di un mondo che non fornisce sufficienti risposte ai nostri perché, quella Luce che è la stessa Verità dell’Essere.

Naturalmente tale ricerca si pone in termini problematici, dal momento che ciò che è limitato – l’uomo- non potrà mai comprendere l’Illimitato – l’Essere che ci sovrasta-  men che meno all’interno di quella struttura che chiamiamo “esistenza”.

Ma l’esigenza rimane, pur in questa consapevolezza, e pertanto l’uomo non smetterà mai di cercare – attraverso contraddizioni, incertezze, illusioni – qualcosa che riesca a fondare e a dare significato alla sua vita.

La struttura della nostra esistenza ha per essenza il limite: nella realtà tutto diviene proprio perché è limitato, condizionato, tutto è incanalato entro coordinate dalle quali, per nostra sola forza, non possiamo uscire. Ma questo ci comunica anche quella volontà di rottura di questi vincoli, il cui anelito sovrasta la ferrea struttura di questa gabbia – l’esistenza – che non ci consente il ricongiungimento con la totalità dell’Essere. Ma L’uomo, forse perché programmato – in questo tendere e desiderare infinito – anche a questo, al possibile raggiungimento di questa realtà, ha in sé l’aspirazione irriducibile a scardinare questo limite e queste barriere, e a ricongiungersi a quella Patria lontana che è la stessa pienezza e infinità dello Spirito.

Conosco due sole vie, che, pur all’interno di questa ferrea struttura che è l’esistenza, aprono uno spiraglio sulla realtà più vera: l’Amore, in quanto legge di tutto l’universo, e la Poesia che ne esprime Bellezza ed Armonia.

                          

Rossella Cerniglia

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